lunedì 29 febbraio 2016

Una nuova mutazione per l'infertilità

          Il gene in questione è SCARB1. Una sua variazione è già nota per essere alla base di una errata regolazione dei livelli del grasso nel sangue, ma la stessa anomalia potrebbe contribuire anche alla sterilità femminile, con una incidenza che va dall'8 al 13 per cento delle donne, e si ripercuote sul successo dei trattamenti difecondazione in vitro.
          SCARB1 è legato alla produzione di recettori delle lipoproteine ad alta densità (HDL), cioè del cosiddetto colesterolo buono. Ma Annabelle Rodriguez, specialista in endocrinologia della Scuola di Medicina e direttrice del centro di diabetologia dell'ateneo statunitense, ha rilevato che l'alterazione di questo gene ha effetti negativi anche sulla produzione di progesterone nelle donne – l'ormone che permette lo stabilirsi delle condizioni adatte alla fecondazione della cellula uovo e al suo impianto all’interno dell’utero – rendendo difficile la gravidanza.
          Lo studio è stato svolto tra novembre 2007 e marzo 2010. In questo periodo, Rodriguez e i suoi colleghi hanno analizzato le cellule e i fluidi follicolari prelevati dalle ovaie di 207 donne che, dopo essersi sottoposte a trattamenti ormonali per la procreazione medicalmente assistita, avevano ottenuto embrioni impiantabili. Tra queste, 9 erano portatrici dell'alterazione genetica. Durante i controlli successivi all'impianto (effettuati 42 giorni dopo il trasferimento degli embrioni per verificare se fossero presenti la sacca gestazionale e il battito fetale), i ricercatori hanno osservato che nessuna delle 9 donne con la mutazione era rimasta incinta. Dalle loro analisi, inoltre, si riscontravano bassi livelli di progesterone nonostante le cure ormonali, che prevedono la somministrazione dello steroide.
          Rodriguez è convinta che alla base di questo squilibrio ormonale ci sia proprio il gene SCARB1: per questo il team ha sviluppato un test, che si fa tramite l'analisi del sangue, con il quale è possibile rilevare l'anomalia.
          Gli autori dello studio precisano, però, che non esiste ancora una terapia approvata per le donne sterili con questa variante. Per ora, i ricercatori del Mit hanno ottenuto buoni risultati sui topi portatori della mutazione usando un farmaco anti-colesterolo che qualche anno fa è stato ritirato dal mercato statunitense perché abbassa pericolosamente i livelli di HDL nel sangue. I topi hanno recuperato la loro fertilità: un dato da cui si può partire per pensare a un farmaco analogo e specifico. 

Fonte: “Clinical impact of scavenger receptor class B type I gene polymorphisms on human female fertility”, Human Reproduction;

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