lunedì 16 marzo 2020

Venire al mondo con la camicia o con il cappello

«Nascere con la camicia» è un'espressione abbastanza diffusa utilizzata per indicare una persona accompagnata dalla buona sorte. L'espressione metaforica trae origine da un'usanza del passato che prevedeva una camicia da far indossare ai neonati in occasione del battesimo ad indicare la loro appartenenza ad una famiglia benestante. Una condizione fortunata, che preannunciava un'esistenza priva di difficoltà, almeno economiche, dalla quale deriva il significato ben auspicante dell'allegoria. Ma il senso dell'espressione ruota tutto intorno al concetto di avere la camicia che coincide con un avvenimento rarissimo, riscontrabile al momento della nascita. In un parto su ottantamila circa, infatti, si può assistere al bambino che nasce completamente avvolto nel suo sacco amniotico - con la camicia - o con alcuni frammenti di esso attaccati alla testa - con il cappello, secondo alcune tradizioni nordiche. La rarità con la quale si verifica la nascita con il sacco amniotico rende l'evento quasi miracoloso al quale sono attribuiti numerosi significati.

Scopriamo cosa si nasconde dietro questo avvenimento. Prima di tutto è importante sottolineare che nascere nel sacco amniotico intero non ha alcuna conseguenza pericolosa. Anzi: per il bambino che viene al mondo ancora protetto dall'involucro nel quale ha vissuto per nove mesi è positivo il perdurare di una condizione confortevole alla quale è abituato. Se in passato questo evento straordinario designava la nascita di bambini dotati di poteri magici e destinati a difendere gli altri dalle streghe, oggi si pensa che esso riduca lo stress del parto ed il trauma di ritrovarsi improvvisamente in un ambiente totalmente nuovo, rendendo i bambini più tranquilli anche durante la crescita. In un'interpretazione da mamme pancine, la fortuna riconosciuta alla nascita con la camicia deriverebbe dal senso di protezione che essa rappresenta, proprio come accadeva nel ventre materno. In tutto il mondo questo evento mantiene un fascino particolare celebrato nelle diverse culture locali come un fenomeno più o meno beneaugurante. In Nuova Guinea ed in Islanda, per esempio, si crede che i nati con la camicia siano preveggenti, mentre in Nord America ed in Indonesia questi bambini sono considerati capaci di comunicare con i fantasmi. Anche l'antichità ha prestato attenzione ai nati con la camicia, ma non sempre il fenomeno è stato considerato fortunato. Il primo nato con la camicia ricordato fu l'imperatore romano Diadumeniano, sconosciuto ai più poiché il suo regno durò solo sette giorni e proprio per questo non accompagnato dalla buona sorte. Nei Balcani l'evento designava neonati destinati a diventare vampiri ed in Scandinavia si riteneva fortunato il sacco bianco e maleaugurante quello scuro.

Che si creda o meno alle curiosità legate alla nascita con il sacco amniotico intero, si può diventare comunque dispensatori di fortuna, secondo una tradizione più moderna. È consuetudine, infatti, prevedere nel corredino dei neonati la presenza di una camicina di seta o cotone, semplice o ricamata, chiamata proprio camicia della fortuna, in una sorta di simbolo di buon augurio. Se questa usanza funzioni non si sa, ma tentare non costa molto!

Fonte https://www.tio.ch/rubriche/ti-mamme/1407764/venire-al-mondo-con-la-camicia-o-con-il-cappello

Cosa comprare quando si è incinta „ Gli accessori da acquistare in gravidanza “

       Quando si scopre di essere incinta, oltre alla felicità iniziale, ci si domanda subito come rendere piacevole i nove mesi.

       Oltre agli accessori per il piccolo come lettini, fasciatoi e il necessario per arredare la camera, non bisogna tralasciare il proprio benessere.

       Se gli abiti adatti ad ogni fase della gravidanza non possono mancare nel proprio guardaroba, ci sono anche accessori di cui non si può fare a meno.

       In commercio ci sono molte proposte, vediamo i migliori oggetti da avere nella propria routine quotidiana.

Olio di mandorle
Olio di mandorle-2
       Curare il proprio corpo è possibile anche durante la gravidanza. Per farlo al meglio e con un prodotto naturale, l’olio di mandorle non può mancare nella routine quotidiana. Il prodotto privo di profumazioni, per evitare il senso di nausea, è ideale per idratare la pelle. Perfetto per prevenire le smagliature e le irritazioni, può essere usato anche come maschera per capelli, come detergente per il viso o come struccante. Ricco di vitamine e acidi grassi essenziali può essere applicato da solo o con l'aggiunta di oli essenziali per creare delle miscele. Vegano, senza OGM e non testato su animali, è il prodotto perfetto per avere una pelle morbida e curata.

Pro. La pelle rimane idratata a lungo.
Contro. La confezione da un litro è un po’ grande.

Cuscino gravidanza-2Cuscino gravidanza
       Quando si è incinta, difficile dormire comodamente, quindi per aiutarvi e riposare serenamente, il cuscino a U è l’accessorio indispensabile. Grazie alla forma e all’imbottitura, il cuscino sostiene perfettamente la schiena, il collo, le spalle e le gambe. Realizzato in fibra anallergica di alta qualità, è perfetto per chi soffre di allergie. Facile da pulire può essere sistemato in base alle esigenze per avere il supporto necessario in ogni occasione. Il rivestimento rimovibile dotato di cerniera in cotone di alta qualità, può essere lavato a mano o in lavatrice. Ideale anche durante la fase dell’allattamento, diventa uno degli accessori indispensabili.

Pro. Comodo per dormire in ogni posizione.
Contro. Non è molto imbottito.

Braccialetti antinausea
Braccialetti antinausea-2       La nausea colpisce molte donne durante i primi mesi di gravidanza, alcune invece continuano ad avere problemi anche nei mesi successivi. Per alleviare questi sintomi un accessorio da avere sempre con voi, sono i braccialetti. Da indossare la mattina, non hanno controindicazioni. Durano nel tempo e sono ideali anche per chi soffre di mal d’auto. La confezione contiene 2 bracciali realizzati in uno speciale mix di tessuti ipoallergenici ed elasticizzati, per garantire una pressione calibrata sul polso e controllare con rapidità i sintomi della nausea, secondo il principio dell’agopuntura. Il bottoncino “a cupola” deve essere correttamente posizionato sul punto P6, che si trova tra i due tendini flessori centrali.

Pro. Aiutano ad alleviare i sintomi della nausea.
Contro. Sono meno efficaci se i sintomi sono intensi.

Cintura di sicurezza-3Cintura di sicurezza
       Per conservare la libertà di movimento, continuare a guidare è importante. Con la pancia che pian piano aumenta, la cintura potrebbe stringere e guidare senza potrebbe essere pericoloso. Quindi per mettersi al volante comodamente e in totale sicurezza, il supporto si adatta e permette alla cintura di passare sotto la pancia. Realizzata con materiali morbidi, traspiranti ed ecologici, soddisfa gli standard di sicurezza, mentre la parte inferiore del cuscino del sedile è antiscivolo. Facile da installare e da rimuovere, si adatta a molte auto. Con regolazione manuale può essere utilizzata dall'inizio della gravidanza fino alla nascita del bambino.

Pro. Si adatta perfettamente ad ogni fisicità.
Contro. La seduta si sposta leggermente.

Lacci elastici
Lacci elastici-2
       Allacciarsi le scarpe quando si è avanti con la gravidanza diventa quasi impossibile. Quindi per rendere tutto più facile, potete scegliere i lacci elastici. La struttura autobloccante rapida, è progettata per facilitare ogni operazione. Basta premere, tirare, rilasciare e in un attimo le scarpe saranno ancorate al piede. Il design ergonomico aiuta ad adattarsi ad ogni piede. Disponibile in diversi colori dal classico nero e bianco a colori fluo, i lacci sono perfetti per ogni tipo di scarpe.

Pro. Facili da utilizzare.
Contro. Il sistema non blocca in modo stretto.


Diario gravidanza
Diario gravidanza-2       Tenere un diario della gravidanza in cui annotare appuntamenti, esami, ma anche appunti sulle sensazioni fisiche ed emotive può essere un modo per conservare per sempre il ricordo dei nove mesi. In questo diario di gravidanza avrete tutto lo spazio per scrivere tutto ciò che vi succederà in questo periodo. Composto da piu' di 100 pagine, questo diario sara' il vostro compagno ideale. Avrete la possibilità di incollare le immagini confrontando il periodo precedente con quello successivo alla gravidanza. Un libro perfetto per voi o per fare un regalo a un’amica in dolce attesa.

Pro. Le pagine sono ben strutturate.
Contro. Per alcuni è un po’ minimal.

Fonte: https://www.today.it/best/bambini/gravidanza-e-allattamento/accessori-gravidanza-amazon.html

DONNA & SALUTE Vaccini in gravidanza

       I vaccini eseguibili in gravidanza rappresentano, al momento, un’occasione veramente importante di protezione per la madre e per il feto, proteggendo quest’ultimo da complicanze durante la gestazione o durante i primi mesi di vita. I vaccini, somministrabili alcuni per via orale, altri per via parenterale, creano un’immunizzazione attiva nei confronti di svariati virus e batteri.

Articolo
       Possono contenere una forma attenuata dell’agente patogeno (vaccini vivi attenuati), o proteine o tossine del patogeno (vaccini inattivati e/o con antigeni purificati). Una volta somministrati, stimolano delle cellule chiamate linfociti B a produrre anticorpi, in un tempo che va dalle due alle quattro settimane.

       Al momento, i vaccini effettuabili e raccomandati sono due, per via intramuscolare e in un’unica dose:


  • Il vaccino antinfluenzale, contro l’influenza stagionale che, anche se con decorso benigno, può rivelarsi pericolosa per bronchiti e polmoniti, a causa del calo delle difese immunitarie in gravidanza. Così facendo, si assicura un corretto sviluppo del feto, riducendo il rischio di parto prematuro, ritardo di crescita fetale, cardiopatie congenite, labbro leporino, difetti del tubo neurale, e si protegge il bambino anche nei primi mesi di vita, grazie agli anticorpi trasmessi dalla madre. Il periodo raccomandato per effettuare questo vaccino è generalmente fine ottobre.
  • Il vaccino antipertosse, che protegge dalla Bordetellapertussis, molto contagiosa, che provoca tosse intensa e persistente, con crisi di qualche minuto, tanto che in neonati e in bambini può provocare difficoltà di respiro tali da portare alla morte. Poiché il vaccino al neonato si può somministrare solo dal III mese di vita (61^ giorno di vita), la pertosse nei bimbi molto piccoli può sfociare in polmonite batterica, ipossia da difficoltà respiratoria, disidratazione ed encefalopatia, tanto che 7 casi su 10 dei decessi per pertosse si hanno in bambini minori di due mesi.

       Anche se la madre ha già contratto la malattia o effettuato la vaccinazione in passato, la si deve rinnovare in gravidanza, perché gli anticorpi tendono a diminuire con il tempo. Il periodo raccomandato è tra la 27^ e la 32^ settimana di gravidanza.

       Gli effetti collaterali dei vaccini nella madre sono rari e lievi (a meno di allergie sicure specifiche), e naturalmente sono prodotti sicuri per la salute del feto. Sarebbero da ripetere ad ogni gravidanza, perché gli antigeni del vaccino antinfluenzale cambiano ogni anno, e gli anticorpi per la pertosse diminuiscono nel tempo.

       Altri vaccini eseguibili in gravidanza, anche se solo su indicazioni specifiche, sono quelli contro l’epatite A, contro l’epatite B, antipneumococco, antimeningococco B, antimeningococco ACWY, antipoliomielite inattivo e anticolera.

       Sono sempre controindicati, in gravidanza, quelli con virus vivi attenuati come il vaccino MPR (Morbillo-Parotite-Rosolia), il vaccino antipoliomielite per via orale, l’antitifoide el’antitubercolare, perché potenzialmente dannosi per il feto.

Fonte https://www.ulisseonline.it/rubriche/donna-salute-vaccini-in-gravidanza/

Nicotina in gravidanza e ADHD: nuovo studio supporta il legame

Un nuovo studio pubblicato da Pediatrics sostiene che le donne in gravidanza che presentano elevati livelli di nicotina nel sangue hanno più probabilità di partorire bambini che svilupperanno il disturbo da deficit dell’attenzione/iperattività (ADHD).

Anche se non è stato il primo studio a rilevare un’associazione tra ADHD e esposizione in utero alla nicotina, le precedenti ricerche si sono basate sulle autosegnalazioni delle madri del fumo di sigarette piuttosto che su vere misurazioni della cotinina, il prodotto della degradazione della nicotina, nel sangue della madre.

Lo studio
Per osservare la presenza di un collegamento tra ADHD e nicotina, i ricercatori hanno attinto a due database finlandesi, di cui uno aveva i campioni di sangue delle future madri e l’altro teneva traccia dei bambini che avevano sviluppato il disturbo.

“In un ampio campione nazionale abbiamo riscontrato che le madri che avevano fumato durante la gravidanza, soprattutto quelle molto dipendenti dal fumo, avevano figli con un rischio piuttosto elevato di ADHD”, dice l’autore principale dello studio, Alan S. Brown, professore di psichiatria ed epidemiologia alla Columbia University di New York.

“Abbiamo ottenuto questo risultato dopo aver controllato molte variabili potenzialmente responsabili dell’associazione”.

Un rapporto del Governo USA del 2018 ha stimato nel 7,2% il tasso delle fumatrici che hanno partorito nel 2016, continuando a fumare in gravidanza. In Finlandia, la percentuale è simile, osservano Brown e colleghi.

I ricercatori hanno potuto raccogliere dati sui livelli di nicotina delle donne in gravidanza presso la Finish Maternity Cohort, che conserva campioni di siero raccolti all’inizio della gravidanza di 950.000 donne finlandesi.

Hanno poi analizzato dati  relativi a1.079 bambini nati tra il 1998 e il 1999 che avevano ricevuto diagnosi di ADHD e 1.079 controlli appaiati per età che non presentavano la condizione.

I campioni di siero delle madri di questi bambini sono stati testati per verificare la presenza di cotinina.

Oltre a questi dati, i ricercatori sono riusciti a raccogliere informazioni sui genitori, incluse eventuali diagnosi di ADHD, storia psichiatrica e abuso di sostanze.

Le evidenze
Lo studio ha scoperto che le madri di bambini con diagnosi di ADHD avevano un livello medio di cotinina nel sangue più che raddoppiato rispetto a quello delle madri dei soggetti di controllo.

I livelli in aumento di cotinina nei campioni delle donne erano associati a un rischio aumentato di ADHD nei figli, anche dopo aver considerato lo status socioeconomico dei genitori, la presenza di patologie mentali nei genitori e il peso dei bambini alla nascita.

Dividendo le coppie madre-bambino in tre gruppi a seconda dei livelli di cotinina nel sangue delle madri, i ricercatori hanno stabilito che quelle che presentavano la maggiore esposizione alla nicotina avevano 2,21 volte più probabilità di avere un figlio con ADHD rispetto a quelle con i livelli minimi di esposizione alla sostanza.

Quando i ricercatori hanno diviso le coppie in 10 gruppi, hanno riscontrato che le donne con la maggiore esposizione presentavano 3,34 volte probabilità in più di avere un figlio con tale disturbo.

Brown non è certo del modo in cui il fumo della madre influisca sul rischio del figlio di ADHD, ma afferma che “possiamo fare delle ipotesi perché sappiamo che la nicotina attraversa la placenta e negli studi sugli animali. Questo è correlato a un’aumentata attività motoria”.

I commenti
“Si tratta di un lavoro prezioso e ritengono che contribuirà alla letteratura in questo campo, innanzitutto mostrando una misura biologica dei livelli sierici di cotinina rispetto alle autosegnalazioni per valutare l’esposizione prenatale alla nicotina”, dice Christopher Hammond, assistente di psichiatria della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, non coinvolto nello studio.
“Un elemento convincente del nuovo rapporto è la scoperta che il rischio di ADHD aumenta con l’aumentare dei livelli di esposizione alla nicotina. Altri studi non hanno mostrato questa risposta correlata alla dose allo stesso modo. I modelli animali hanno indicato che la nicotina colpisce i circuiti cerebrali in via di sviluppo, determinando una minore connettività tra le regioni del cervello associate ad attenzione e regolazione emotiva e quelle coinvolte nella ricompensa e nell’elaborazione delle emozioni. Questi studi hanno suggerito l’esistenza di una sorta di compromissione del controllo top-down sulle risposte di ricompensa e sui centri di elaborazione delle emozioni”.


Fonte: Pediatrics 2019

Alcolici in gravidanza: astensione unico approccio sicuro

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Fare uso di alcolici durante la gravidanza porta a un peggioramento delle funzioni cognitive a lungo termine nei bambini. Lo dimostrano i risultati della più completa e recente revisione della letteratura sull’argomento.

La ricerca dell’Università di Bristol, pubblicata sull’International Journal of Epidemiology, ha esaminato 23 studi sul consumo di alcolici in gravidanza e ha mostrato che fare uso di queste sostanze potrebbe essere associato anche ad altre problematiche come un minor peso alla nascita.



I risultati di questa revisione della letteratura rafforzano le linee guida #DRYMESTER dei Chief Medical Officers del Regno Unito, che suggeriscono l’astensione completa dall’alcol in tutti i trimestri di gravidanza.

Per studiare gli effetti del consumo di alcol durante la gravidanza, i ricercatori, finanziati dal National Institute for Health Research (NIHR) e dal Medical Research Council (MRC), hanno combinato per la prima volta i risultati di studi molto diversi fra loro. Le ricerche includevano studi tradizionali, come quelli randomizzati e controllati, il confronto di bambini provenienti dalle stesse famiglie le cui madri avevano ridotto o aumentato il consumo di alcol tra una gravidanza e l’altra e un approccio basato su marcatori genetici, definito “randomizzazione mendeliana”.



In precedenza, le ricerca su questo argomento erano state condotte basandosi esclusivamente su studi “osservazionali”, i quali presentano dei limiti: può essere impossibile distinguere ciò che è causato dall’alcol da ciò che è causato da altri fattori, come l’istruzione di una donna o l’ambiente familiare, così come la predisposizione genetica che può influenzare lo sviluppo e le funzioni cognitive del bambino a lungo termine.

Le differenti tipologie di studio analizzate in questa ricerca utilizzano metodiche diverse per ridurre al minimo o eliminare questi fattori “confondenti”, in modo che i risultati siano più affidabili.

Tutti gli studi inclusi nella revisione hanno cercato di confrontare gruppi di persone con le stesse caratteristiche, che differivano solo per quanto riguardava l’esposizione all’alcol durante la gravidanza.

Fare uso di alcolici durante la gravidanza porta a un peggioramento delle funzioni cognitive a lungo termine nei bambini: l'astensione completa è l'unico approccioLa dott.ssa Luisa Zuccolo, responsabile dello studio e docente di epidemiologia presso la Bristol Medical School: Population Health Sciences, ha affermato: “L’insieme delle prove dei danni che l’alcol può causare ai bambini prima che nascano è in crescita, e la nostra revisione è la prima ad esaminare l’intera gamma di studi sull’argomento. È improbabile che questo sia un risultato casuale, in quanto abbiamo preso in considerazione una varietà di approcci e risultati. Il nostro lavoro conferma l’attuale consenso scientifico: il consumo di alcol durante la gravidanza può influenzare le capacità cognitive del bambino più avanti nella vita. L’uso di sostanze alcoliche potrebbe anche portare a un minor peso alla nascita”.


L’esperta ha ribadito: “Il nostro studio rafforza la linea guida dei Chief Medical Officers del Regno Unito: DRYMESTER (astenersi in tutti i trimestri) è l’unico approccio sicuro”.

Fonte https://www.corrierenazionale.it/2020/02/07/alcolici-in-gravidanza-astensione-unico-approccio-sicuro/

domenica 15 marzo 2020

GRAVIDANZA E ALLATTAMENTO, QUALI RISCHI CON IL CORONAVIRUS?

Donne alla ricerca di gravidanza
«Da quando si è avuta la percezione che il coronavirus non è più un problema lontano, che riguarda solo i paesi asiatici, ricevo numerose richieste di consulti da pazienti che desiderano sapere se interrompere la ricerca di una gravidanza e attendere un momento più tranquillo per riprovarci. Questo mi accade sia con pazienti fertili, che stanno quindi provando a concepire in maniera naturale, sia con pazienti infertili che stanno seguendo un percorso di procreazione medicalmente assistita (PMA)” spiega il dottor Mignini Renzini professore a contratto presso la Scuola di Specializzazione in Ginecologia e Ostetricia dell’Università di Milano-Bicocca; referente medico per gli aspetti clinici dei centri Eugin in Italia e responsabile del Centro di Procreazione Medicalmente Assistita della Casa di Cura La Madonnina di Milano. «Innanzitutto, è importante precisare che qualsiasi sia il metodo di concepimento, i comportamenti da tenere e le precauzioni sono gli stessi. Presso la Clinica Eugin, dove eseguiamo trattamenti di fecondazione omologa ed eterologa, proviamo a confortare le coppie e raccomandiamo loro di adottare scrupolosamente le norme e misure dettate dalle Istituzioni allo scopo di prevenire il contagio. Per quel che riguarda poi l’aspetto riproduttivo, non sono presenti ad oggi evidenze circa la possibile trasmissione del virus attraverso gli ovociti o liquido seminale. Quindi, da un punto di vista laboratoristico, l’impiego dei gameti dei coniugi o di donatore/donatrice nei trattamenti di fecondazione assistita risulta essere sicuro esattamente come alcune settimane fa, prima dell’avvento del virus».


Donne in dolce attesa
La preoccupazione principale di tutte le pazienti in gravidanza è quella di poter trasmettere – in caso di positività – il virus al feto. Gli studi riguardanti la trasmissione verticale del virus – ossia dalla madre al feto - non sono ancora del tutto conclusi, ma sono indicativi di assenza di passaggio transplacentare del SARS-CoV-2, la sigla corretta che indica il coronavirus di cui tanto si parla. Si può pertanto al momento propendere per assenza di embriopatie legate all’infezione in corso di gravidanza. Un recentissimo studio condotto in Cina e pubblicato su The Lancet, riporta i primi 19 casi di donne in gravidanza e neonati da madri con sintomatologia clinica da COVID-19 e sappiamo che il virus non è stato rilevato nel liquido amniotico o nel sangue neonatale prelevato da cordone ombelicale. Ne è recente conferma anche il caso del neonato di Piacenza nato negativo da madre positiva. Un ulteriore studio pubblicato da The Lancet nel Vol. 395 del 7 marzo 2020 afferma che nei due casi di infezione neonatale verificatisi in Cina – registrati 17 giorni e 36 ore dopo la nascita – vi è stato, rispettivamente, nel primo caso un contatto diretto con persone positive al coronavirus (la madre e la caposala del reparto maternità), mentre nel secondo caso un contatto diretto non può essere escluso. Al contempo, lo studio rileva che non vi è al momento evidenza di trasmissione verticale da mamma a bambino.
«In ogni caso, le donne in gravidanza sono considerate una popolazione suscettibile di infezioni respiratorie virali, anche per quanto riguarda la semplice influenza stagionale. Per questa ragione il consiglio, sia per loro sia per le persone che vivono a loro stretto contatto, è quello di seguire il più scrupolosamente possibile il Decalogo Coronavirus emanato dal Ministero della Salute e le norme dettate dal buonsenso: lavandosi e disinfettandosi spesso le mani, evitando il contatto ravvicinato con persone che soffrono di infezioni respiratorie acute, evitando viaggi, a meno che non sia strettamente necessario, evitando di frequentare luoghi affollati. Anche in questo caso, che la gravidanza si sia ottenuta con metodi naturali o mediante procreazione assistita, i comportamenti da tenere sono esattamente gli stessi” spiega il dottor Mignini Renzini.

Donne che allattano
Le preoccupazioni legate alla possibilità di contagio non terminano con la nascita del bambino, ma continuano durante l’allattamento.
Non vi sono al momento evidenze di trasmissibilità del virus attraverso il latte materno e il virus non è stato rilevato già nel latte raccolto dopo la prima poppata – detto colostro - delle donne affette. Di conseguenza - date le informazioni scientifiche attualmente disponibili e il notevole ruolo protettivo del latte materno - gli specialisti ritengono che, nel caso di donna con sospetta o confermata infezione da coronavirus, se le condizioni cliniche lo consentono e nel rispetto del suo desiderio, l’allattamento possa essere avviato e mantenuto direttamente al seno o con biberon. La cosa fondamentale, durante l’allattamento, è ovviamente la protezione del neonato dal possibile contagio. Per ridurre il rischio di trasmissione al bambino, si raccomandano l’adozione delle procedure preventive come l’igiene delle mani e l’uso, durante la poppata, di dispositivi di protezione come mascherina e guanti in lattice usa e getta, secondo le raccomandazioni del Ministero della Salute. Nel caso in cui madre e bambino debbano essere temporaneamente separati, è possibile aiutare la madre a mantenere la produzione di latte attraverso tiralatte, che dovrà essere effettuata seguendo le stesse indicazioni igieniche, e la somministrazione al bambino attraverso biberon. In caso di positività al virus, sarà il curante a valutare eventuali controindicazioni all’allattamento derivanti da terapie farmacologiche in atto, sebbene al momento la terapia per i pazienti affetti da coronavirus non si basi in primis sulla prescrizione di farmaci.

«Fortunatamente viviamo in un Paese dotato di un Sistema Sanitario che rappresenta un’eccellenza a livello internazionale e che ha risposto in maniera pronta, competente ed efficace a questa nuova sfida che ci si impone. Confidiamo nel fatto che a breve questo periodo di emergenza, sebbene stia richiedendo un importante sacrificio a tutti i livelli, possa diventare un lontano ricordo per i nostri pazienti”conclude il dottor Mario Mignini Renzini.

Fonte https://www.famigliacristiana.it/articolo/gravidanza-e-allattamento-quali-rischi-con-il-coronavirus.aspx

Rischio di tumore per i bambini nati con fecondazione assistita? Nessun allarme

Chi è nato grazie a tecniche di fecondazione assistita corre dei rischi in più per la propria salute? Avrà, ad esempio, maggiori probabilità di ammalarsi di cancro? Se lo sono chiesti i ricercatori dell’Università di Copenhagen che hanno analizzato i dati relativi a oltre un milione di bambini nati in Danimarca, facendo un confronto fra quanti erano stati partoriti da madri rimaste incinte per via naturale e quanti erano invece stati concepiti grazie al trasferimento di embrioni crioconservati. Gli esiti della loro indagine sono stati pubblicati sulla rivista scientifica Jama (Journal of American Medical Association) e le conclusioni indicano un «minimo aumento statisticamente significativo» del pericolo di ammalarsi di un tumore in età pediatrica solo per coloro che sono nati tramite il trasferimento di embrioni congelati (FET), mentre nessun rischio appare collegato ad altre tecniche di fecondazione assistita.«Questo esito parziale non deve allarmare nessuno, però – spiega Fedro Peccatori, direttore dell’Unità di Fertilità e Procreazione in Oncologia all’Istituto Europeo di Oncologia (Ieo) di Milano -. Per due motivi: primo, gli stessi autori della ricerca spiegano che è soltanto il tassello di un quadro più ampio e che non significa avere una risposta definitiva; secondo, altri studi sullo stesso tema sono giunti a conclusioni diverse. Quindi è giusto che la scienza indaghi, ma per ora questa indagine non modifica nulla nella vita delle mamme e dei loro bambini».

Lo studio
(Getty Images)Nella ricerca danese sono stati esaminate le informazioni relative a 1.085.172 bambini nati nel Paese fra il 1996 e il 2012, seguiti dal 1996 al 2015, per un totale di 2.217 piccoli che hanno ricevuto una diagnosi di cancro infantile. «E’ una ricerca ben strutturata, ma è importante sottolineare che si tratta di uno studio retrospettivo di tipo osservazionale – sottolinea Barbara Buonomo, ginecologa che lavora nella stessa Unità allo Ieo -: si tratta cioè di un’indagine che fornisce importanti osservazioni di tipo epidemiologico, ma non consente di stabilire associazioni causali tra fattori rischio e condizioni patologiche. Gli autori stessi indicano tra i limiti dello studio il non poter escludere l’esistenza di fattori di confondimento, responsabili del risultato emerso (limite questo comune agli studi di tipo osservazionale). Ovvero, in pratica, i numeri raccolti non sono collegati a una causa, quel lieve aumento che si registra potrebbe essere dovuto a molte ragioni e nulla indica un legame preciso con le tecniche di procreazione assistita. E poi, se è vero che un milione di bambini sono una casistica ampia “in assoluto”, il numero è limitato se si decide di indagare su un evento raro quali sono i tumori nell’infanzia».

Statistica e realtà
Concretamente, dunque, il rischio per i bimbi è reale o no? «Per ora non c’è alcun bisogno di allarmarsi – risponde Peccatori -. Sulla base dei dati disponibili ad oggi (da questo e da altri articoli della letteratura) non è possibile definire un rapporto causa effetto e giungere a una conclusione definitiva. Certamente è necessario proseguire gli studi osservazionali sui bambini nati da procreazione medicalmente assistita, in modo da avere conferme della sicurezza per la loro salute (come è già stato fatto anche per il rischio-tumore per le donne che ricorrono a queste tecniche per diventare mamme), ma non serve fare controlli particolari sui bambini e i genitori possono stare tranquilli». Allora perché gli esiti dello studio danese parlano di «minimo aumento statisticamente significativo»?«Perché è la definizione che si usa in statistica e negli studi scientifici che però non corrisponde al concetto del linguaggio di tutti i giorni – conclude Stefania Noli, ginecologa dell’Unità di Fertilità e Procreazione in Oncologia dello Ieo -. Gli stessi termini in statistica e nel senso comune indicano cose differenti, insomma. Per questo l'interpretazione dei dati è spesso complessa quando si cerca di tradurla per il vasto pubblico: “statisticamente significativo” non vuol dire rilevante o importante, ma solo che è diversa da un numero-limite. Le conclusioni dello studio, quindi, non dicono che i bambini avuti tramite FET corrano maggiori pericoli di sviluppare un tumore».

Fonte https://www.corriere.it/salute/sportello_cancro/20_febbraio_17/rischio-tumore-bambini-nati-fecondazione-assistita-nessun-allarme-ee0e233e-4e76-11ea-a892-fc53d230a93c.shtml

Progesterone in gravidanza e rischio di parto prematuro

Il progesterone in gravidanza si dimostra molto utile per prevenire il rischio di un parto prematuro. Viene somministrato alla gestante, infatti, in caso di contrazioni uterine multiple (la cosiddetta "ipercontrattilità") che può portare a un parto prematuro. Il progesterone, in questi casi, riesce a rilassare la muscolatura dell'utero, eliminando le contrazioni.

Secondo numerosi studi, la somministrazione di progesterone aiuterebbe anche in caso di gravidanze a rischio perché minacciate da carenza di luteina e fattori immunologici. Infine, risulta utilissimo anche per ritardare il parto nelle donne con minaccia di parto prematuro e a travaglio già iniziato.

Effetti collaterali
Gli effetti collaterali dell'assunzione di progesterone possono essere diversi. Tra quelli più comuni figurano emicrania e cefalea, insonnia e irritabilità, nausea e vertigini, alterazioni della libido e disturbi mestruali o perdite vaginali, acne o orticaria. In certi casi può portare anche dolori nella zona del basso ventre. Potrebbe comportare inoltre un lieve aumento di peso e ritenzione idrica.


Ricordiamo che l'assunzione di progesterone può avvenire solo durante il primo trimestre di gravidanza: nei trimestri successivi potrebbe portare a ittero colestatico o malattie epatocellularie e va valutata col proprio medico a seconda dei casi.

Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/progesterone-in-gravidanza-s4009993.html

Pregoressia in gravidanza: cos'è, come si affronta

       Oltre ad anoressia e bulimia, esistono altri disturbi alimentari di cui si sente ancora parlare poco, ma sempre più diffusi come la pregoressia, ovvero la paura di ingrassare in gravidanza. In occasione della Giornata del Fiocchetto Lilla scopriamo che cos’è e cosa fare per superarla
Paura di ingrassare in gravidanza. Si chiama pregoressia ed è un problema alimentare di cui si sente ancora parlare poco, ma sempre più diffuso tra le donne in dolce attesa. Solo in Italia secondo i dati del Ministero della Salute sono più di 3 milioni le persone che soffrono di disturbi alimentari. Ogni anno il 15 Marzo si celebra la Giornata Nazionale del Fiocchetto Lilla. L’obiettivo è di diffondere una maggiore consapevolezza del problema attraverso alcune iniziative sul tema, che quest’anno saranno solo online in ottemperanza alle misure prese dal Governo per l’emergenza epidemiologica da Coronavirus in corso nel nostro Paese.

CHE COS’E LA PREGORESSIA
«Il termine nasce dall’unione delle parole inglesi “pregnancy” e “anorexia”, gravidanza e anoressia» spiega Laura Dalla Ragione, psichiatra e psicoterapeuta, responsabile della Rete per i Disturbi del Comportamento Alimentare della USL 1 dell’Umbria. «Questo disturbo si manifesta nelle donne incinte attraverso una forte ossessione per il peso corporeo e il controllo del cibo». «Si tratta di un problema alimentare recente che ancora non è stato riconosciuto dal DSM-5, il principale manuale di diagnostica dei disturbi mentali, ma che esiste e che negli ultimi anni sta diventato sempre più frequente» prosegue l’esperta.

COS’HA DI DIVERSO RISPETTO AD ANORESSIA E BULIMIA
«Ciò che differenza la pregoressia dall’anoressia e dalla bulimia è il periodo di esordio: la gravidanza» spiega la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione. «Dietro al rifiuto del cibo anche in questo caso c’è la distorsione della propria immagine e l’ossessione del peso. Ma a differenza degli altri problemi del comportamento alimentare l’evento scatenante in questi casi è rappresentato dalla gravidanza. Quest’ultima è un momento di profonda trasformazione per la donna, non solo a livello corporeo, ma anche emotivo» spiega l’esperta.

COME SI MANIFESTA
«Le manifestazioni della pregoressia possono essere simili a quelli dell’anoressia (ossessivo controllo del peso, digiuni, eccessivo esercizio fisico) oppure a quelli della bulimia (alternanza tra digiuni e abbuffate, vomito autoindotto). Il disturbo è spesso accompagnato da depressione e ansia scatenate dal corpo che cambia». «Le donne che ne soffrono hanno difficoltà ad accogliere serenamente la maternità e ne parlano talvolta in maniera distaccata» spiega l’esperta. «Nel tempo iniziano poi a percepire una forte insoddisfazione verso il loro corpo, per poi dare eccessiva importanza al peso e ai cambiamenti della propria immagine. Più che la felicità di aspettare un bambino chi ne soffre si focalizza sull’ossessione di non prendere peso» spiega la psicoterapeuta Laura Dalla Ragione.

Картинки по запросу "Pregoressia in gravidanza: cos'è, come si affronta"PERCHÈ CI SI AMMALA DI PREGORESSIA
«Come in tutti gli altri disturbi alimentari, anche nella pregoressia i problemi con il cibo e il conflitto con il proprio corpo rappresentano solo la punta dell’iceberg del disagio che si vive» spiega l’esperta. «Il rapporto conflittuale con il cibo è semplicemente il mezzo attraverso il quale si cerca di comunicare un malessere all’esterno. Si tratta di una sofferenza che ha radici molto profonde. È legata a un disagio che ha a che fare con la propria identità e il controllo di sé. Nella stragrande maggioranza dei casi dietro alla pregoressia ci sono il timore di non essere all’altezza del compito di madre e la paura di non riuscire a gestire un bambino» spiega l’esperta.

DA DOVE NASCE IL DISTURBO
La pregoressia come gli altri disturbi alimentari può essere scatenato da più fattori. «La presenza di disturbi alimentari di cui si è sofferto in precedenza rappresenta sicuramente un aspetto da non sottovalutare. Anche l’ambiente sociale e quello familiare hanno però un peso rilevante» precisa Laura Dalla Ragione.

COSA FARE: LE SOLUZIONI
«Chiedere aiuto a uno specialista di disturbi alimentari è fondamentale per affrontare il problema. Inoltre è importante informare il medico di base e il ginecologo che segue la donna in dolce attesa. Sul sito Disturbi alimentari online è possibile trovare la mappatura dei servizi territoriali, ospedalieri e privati accreditati specializzati nella cura dei DCA, e anche una mappa delle associazioni che offrono supporto» spiega l’esperta.

COSA EVITARE: GLI ERRORI
«L’atteggiamento da avere con la persona che soffre di pregoressia deve essere comprensivo e accogliente, mai giudicante o svalutante. Il giudizio e la svalutazione possono portare a un peggioramento del disturbo stesso. L’errore più frequente è quello di pensare che basta solo la volontà per risolvere il problema. In realtà non è così. Serve un accompagnamento e un percorso di cura» conclude l’esperta.

Fonte https://www.vanityfair.it/benessere/dieta-e-alimentazione/2020/03/15/pregoressia-gravidanza-sintomi-soluzioni-disturbi-alimentari

Frutta secca in gravidanza? Bambini più intelligenti

Consumare frutta secca durante il primo trimestre di gravidanza porta benefici all’intelligenza del nascituro. Le mamme che mangiano almeno 3 porzioni a settimana da 30 grammi di noci o nocciole o pinoli o mandorle etc, avranno bimbi con migliori funzioni cognitive, capacità di mantenere l’attenzione e memoria a 18 mesi, 5 e 8 anni rispetto ai coetanei le cui mamme non consumavano frutta secca nei primi tre mesi di gestazione. A rivelarlo è uno studio condotto da esperti del Barcelona Institute for Global Health (ISGlobal) e pubblicato sull’European Journal of Epidemiology.

Lo studio ha coinvolto oltre 2.200 coppie madre-figlio. La donna ha compilato questionari alimentari specificando il consumo di frutta secca nel primo trimestre di gravidanza e in quelli successivi. I bambini sono stati analizzati con test ad hoc per misurarne il livello di sviluppo neurocognitivo a 18 mesi, 5 e 8 anni. Ebbene sono risultati avvantaggiati sul fronte delle funzioni cognitive, di memoria e attenzione i figli delle donne che hanno consumato almeno tre porzioni settimanali di frutta secca.

Questo è il primo studio che esplora i possibili benefici del consumo di frutta secca durante la gravidanza sullo sviluppo neurocognitivo del bambino a lungo termine. La nutrizione materna è un fattore determinante per lo sviluppo del cervello del feto e può avere effetti a lungo termine, spiega Florence Gignac, primo autore dello studio. “Pensiamo che gli effetti positivi osservati potrebbero essere dovuti al fatto che la frutta secca contiene alte concentrazioni di acido folico e grassi essenziali come gli omega3 e omega6 – spiega – Questi tendono ad accumularsi nel tessuto neurale, particolarmente nelle aree frontali del cervello che influenzano memoria e funzioni esecutive”.

Fonte http://www.nutrieprevieni.it/frutta-secca-in-gravidanza-bambini-piu-intelligenti-ID18883

sabato 14 marzo 2020

Fumo paterno in gravidanza e rischio di asma nel nascituro

Secondo uno studio sui cambiamenti chimici nel DNA, i bambini esposti al fumo di tabacco da parte del padre mentre si trovano nell’utero potrebbero avere più probabilità di sviluppare asma entro i sei anni.

Anche se l’esposizione prenatale al fumo è da tempo legata a un rischio aumentato di asma nei bambini, l’attuale studio offre nuove evidenze che ad essere potenzialmente nocivo non è solo il fumo di una donna in gravidanza.

I ricercatori – guidati da Kuender Yang del Nationale Defence Medical Center di Taipei –  hanno seguito 756 bambini per sei anni. Quasi uno su quattro era stato esposto al fumo da parte del padre, che aveva fumato mentre il bimbo si stava sviluppando nell’utero; solo tre madri avevano fumato.

Nel complesso, il 31% dei soggetti con padri che avevano fumato durante la gravidanza entro i sei anni hanno sviluppato asma, rispetto al 23% di quelli non esposti al fumo da parte del padre.L’asma era anche più comune tra i figli di soggetti grandi fumatori.

“I bambini con esposizione prenatale al fumo di oltre 20 sigarette al giorno da parte del padre presentavano un rischio significativamente più elevato di sviluppare asma rispetto a quelli senza una tale esposizione”, osserva Yang.

Circa il 35% dei piccoli i cui padri erano grandi fumatori hanno sviluppato asma, rispetto al 25% di quelli con padri che fumavano di meno e al 23% di quelli i cui padri non avevano mai fumato durante la gravidanza.

Il fumo paterno durante la gravidanza si associava anche a cambiamenti nella metilazione del DNA su porzioni di geni coinvolti nella funzionalità del sistema immunitario e nello sviluppo dell’asma.

I ricercatori hanno prelevato il DNA dei neonati dal sangue cordonale subito dopo la nascita e hanno scoperto che più i padri avevano fumato durante la gravidanza, maggiore era l’aumento della metilazione del DNA su tratti di tre specifici geni che rivestono un ruolo nella funzione immunitaria.

I bambini con i più marcati aumenti nella metilazione alla nascita, riguardanti tutti e tre i geni, presentavano quasi il doppio del rischio di sviluppare asma entro i sei anni rispetto agli altri partecipanti allo studio.

Sebbene il fumo paterno durante la gravidanza sia stato correlato all’asma infantile, esso non sembrava influire sulla sensibilità dei bambini agli allergeni o sui livelli totali di IgE, un anticorpo associato all’asma.

“Ciò indica che il rischio di asma per esposizione al tabacco è diverso da quello di asma allergica, dovuta ad allergie o a sensibilizzazione allergica tramite l’anticorpo IgE”, osserva Avni Joshi, ricercatrice presso il Mayo Clinic Children’s Center di Rochester, Minnesota, non coinvolta nello studio.

Lo studio non è stato concepito per provare se o come l’esposizione prenatale al fumo possa direttamente causare modifiche epigenetiche o come tali cambiamenti possano produrre asma nei bambini.

Non è ancora chiaro come le alterazioni notate lungo il filamento di DNA in cui è aumentata la metilazione possano provocare l’asma, osserva il team dello studio su Frontiers in Genetics, online il 31 maggio.

Fonte: Frontiers in Genetics 2019

Lisa Rapaport

Tampone vaginale in gravidanza: costo, come si esegue e come farlo in esenzione

Scopriamo cos’è il tampone vaginale in gravidanza, il costo, come si esegue e come farlo in esenzione. Il tampone vaginale fa parte della lunga lista di accertamenti e controlli utili per tenere sotto controllo la salute della mamma e del bambino durante la gestazione. Il tampone va eseguito tra la trentacinquesima e la trentasettesima settimana e verifica l’eventuale presenza dello streptococco beta emolitico nel secreto vaginale.


Come si fa
Tampone vaginale in gravidanza: costo, come si esegue e come farlo in esenzioneIl tampone in gravidanza è un esame semplice e indolore. Ecco come avviene la preparazione: un tampone, un piccolo strumento simile a un banale cotton fioc, viene imbevuto con un campione di secreto vaginale, che, poi, verrà sottoposto a una serie di analisi specifiche in grado di evidenziare la presenza dell’agente patogeno. In alcuni casi si effettuano anche un tampone rettale e un tampone cervicale, se prescritti dal ginecologo. Spesso si usa l’espressione “tampone vaginale” per indicare anche quello cervicale ma non sono esattamente la stessa cosa: quest’ultimo serve infatti a individuare la presenza di microrganismi patogeni responsabili di processi cervico-uterini mentre il tampone vaginale individua la presenza di microrganismi responsabili di processi infettivivaginali.

Come prepararsi e quando farli? Per prima cosa bisogna prenotarlo in una data non prossima al ciclo e astenersi nelle 24 ore che precedono il test dai rapporti sessuali. Vanno sospesi il giorno dell’esame sia bagni che lavaggi vaginali così come eventuali cure a base di creme e ovuli. Dove si fa e quando andare in ospedale? Come premesso, il tampone va eseguito tra la 35esima e 37esima settimana; lo si può fare direttamente in Ospedale oppure può essere eseguito dal ginecologo su richiesta.

I risultati del tampone vagino rettale, sottoposto a tutte le analisi del caso presso un laboratorio specializzato, sono solitamente disponibili nell’arco di una settimana.


Perché farlo?
Il tampone vaginale è un esame utile per individuare la presenza dello streptococco, un nemico della salute della mamma e del nascituro, che, per evitare rischi a carico di entrambi, va individuato e smascherato in anticipo. In particolare, lo streptococco beta emolitico gruppo B, che è normalmente presente nell’apparato riproduttivo e nel basso intestino delle donne sane nel 15-20% dei casi, potrebbe entrare nel circolo sanguigno del bambino durante la nascita, sia che il parto avvenga naturalmente o con il taglio cesareo. In questa eventualità, il piccolo può essere vittima di un’infezione da streptococco che causa la comparsa di diverse patologie, come la meningite e la polmonite. Da non sottovalutare anche le implicazioni per la mamma, perché l’infezione da streptococco può provocare la rottura delle acque e il parto prematuro. Le cause di un tampone positivo in gravidanza dipendono quindi dalla presenza dello streptococco nella madre. In questo caso lo specialista prescrive una terapia antibiotica per scongiurare rischi per la gestante e il bambino.

Come si prende
Lo streptococco non si prende in alcun modo particolare perché come premesso, fa parte della flora batterica della mucosa genitale e del basso tratto intestinale, e nella maggioranza delle donne risulta assolutamente innocuo. E’ in alcune circostanze come la gravidanza che lo streptococco beta emolitico di gruppo B può diventare pericoloso perché si corre il rischio di trasmetterlo al bambino, soprattutto durante il parto.

Il costo
Il tampone vaginale, pur essendo uno degli esami vivamente raccomandati durante la gravidanza, non rientra tra gli accertamenti garantiti dal Servizio Sanitario Nazionale. Almeno non in tutte le regioni. Infatti, se in alcune regioni per effettuare questo esame in regime di esenzione è necessario rientrare in particolari categorie di gestanti, cioè con gravidanza a rischio o con fascia di reddito molto bassa per esempio, in altre è gratuito. In linea di massima, quando non è oggetto di esenzione ed è a carico della gestante il costo per il tampone vaginale in gravidanza si aggira tra i 14 e i 35 euro.

Gravidanza: sport e cibi sani per stare bene

 – L’età media delle mamme cresce, quali sono i controlli che è bene fare oltre quelli obbligatori?

“Questo sicuramente è un problema di tutti i Paesi occidentali e in particolar modo dell’Italia. Il nostro Paese infatti possiede un indice di natalità che è il più basso del mondo. Le coppie concepiscono mediamente 1,2 figli, per dirla in termini economici, non assicurando così la pensione alle generazioni future. Cala moltissimo la natalità e le donne diventano mamme in età sempre più avanzata. La media nazionale è di circa 32 anni, le partorienti nel nostro ospedale sono anche più adulte con un’età che si aggira intorno ai 34 anni. La nostra struttura è al centro di Roma e questo restituisce la fotografia di una popolazione precisa. La gravidanza, in età avanzata, può dare maggiori problemi rispetto a una gravidanza portata avanti in età fisiologicamente più ‘adeguata’. Poichè l’età, per rimanere in gravidanza, dal punto di vista biologico oscilla tra i 25 e i 26 anni. Nelle gravidanze over 40 le problematiche aumentano correlate legate all’età come il diabete, l’ipertensione, la pressione alta detta anche preclamsia tanto che noi medici siamo costretti ad intervenire più di quanto dovremmo”.



– E’ bene sfatare il mito che ancora resiste, ossia che in gravidanza si mangia per due. Quali sono le regole alimentari che la donna deve seguire soprattutto se è obesa o in sovrappeso?

La gravidanza dalla A alla Z, i consigli per vivere nove mesi in salute del professor Francesco Maneschi, direttore dell'Uoc di Ginecologia e ostetricia dell'azienda ospedaliera San Giovanni Addolorata di Roma“Proprio lo scorso anno, in veste di presidente della Fondazione Confalonieri Ragonese, abbiamo pubblicato una linea guida con relative raccomandazioni della dieta in gravidanza che può essere consultata nei siti delle maggiori società scientifiche. Il mito di alimentarsi per due aveva un senso tempo fa quando, per molti secoli e millenni, l’accesso al cibo è stato difficile per tutti e anche per la donna in gravidanza. Proprio per questo l’organismo delle mamme ha sviluppato la capacità di assimilare moltissimo il cibo. 50 anni fa, quindi, aveva un senso consigliare di ‘mangiare per due’ mentre attualmente è uno svantaggio. Oggi l’accesso al cibo è molto facile. Spesso le persone consumano ‘cibo spazzatura’ e soprattutto in quantità abbondanti finendo per assimilare in gravidanza molti chili. Questo fattore, unito alla crescente età, sono i principali problemi della gestazione. L’appello che rivolgo è mangiare meno e alzarsi da tavola non completamente sazie può essere una regola pratica da osservare. E poi non è solo una questione di quantità di cibo ma soprattutto di qualità. La dieta mediterranea, con la sua piramide alimentare costituita da frutta, verdura e pesce, nelle giuste quantità, costituisce la scelta vincente per la donna in gravidanza”.



– Che tipo di attività fisica si può fare con il pancione?

“Tutto ciò che si faceva prima può essere sicuramente fatto in gravidanza. Se la donna ha una particolare attitudine atletica può proseguire anche in gravidanza. In caso contrario anche coloro che non sono abituate a praticare sport possono dedicarsi alla camminata, ad andare in bicicletta o praticare il nuoto che è lo sport ideale da svolgere in gravidanza poiché regala alle donne con il pancione una gradevole sensazione di assenza di gravità restituendo loro leggerezza. La regola generale comunque è muoversi. Non sussiste alcun motivo, se non nel caso di alcune patologie come ipertensione o preclamsia, per non muoversi in gravidanza. Anzi tutti gli studi dimostrano che più ci si muove meno complicazioni si hanno in gestazione”.

– Come prepararsi bene al parto?


“Prepararsi a un evento così importante è forse impossibile fino in fondo. Ma ci si può andare vicino se la donna tiene a mente tutti i consigli detti prima e cioè fare movimento, alimentarsi bene e poco riuscendo così da rispondere a un momento ‘faticoso’ e bellissimo qual è il parto. Un momento definito dalle mamme, e anche dai papà, il più bello della loro vita”.

Fonte https://www.corrierenazionale.it/2019/12/14/gravidanza-sport-e-cibi-sani-per-stare-bene/

Coronavirus e gravidanza. L’esperto conferma: il virus non si trasmette dalla madre al feto

       "Non c'è possibilità di trasmissione del Covid-19 tramite la placenta e neanche attraverso l'allattamento" ha dichiarato a Fanpage.it Enrico Ferrazzi, direttore dell'Unità di Ostetricia del Policlinico di Milano. Una buona notizia per tutte le donne incinta preoccupate dal virus che ha messo sotto scacco l'Italia. "E poi fino ad ora, nelle donne in gravidanza che hanno contratto il Coronavirus, l'infezione si è manifestata in forma lieve o media, fortunatamente. Soltanto in un caso su 100mila una donna incinta è stata intubata e in un altro caso, proprio ieri al Policlinico, è stato necessario ricorrere a un cesareo d'urgenza, alla 35esima settimana, perché ci siamo accorti che la paziente stava iniziando ad avere delle difficoltà respiratorie. Ma in generale l'andamento è positivo".

Coronavirus e gravidanza: quali rischi?
      Una donna incinta non ha più o meno possibilità di contrarre il Coronavirus, rispetto alle altre, per questo le raccomandazioni sono quelle di condurre una vita normale, continuare regolarmente i propri controlli e adottare ovviamente le precauzioni igieniche necessarie. "Lavarsi spesso le mani, evitare di uscire se possibile e stare attente anche alla pulizia delle superfici, sappiamo infatti che il virus può resistere fino a 72 ore: queste le indicazioni a cui far sempre attenzione". E per le donne che manifestano sintomi sospetti è indispensabile ovviamente sempre avvisare il proprio medico o recarsi al pronto soccorso ostetrico quando i segnali appaiano particolarmente gravi. Fermo restando la necessità di fare una valutazione caso per caso, per una donna che al momento del parto abbia l'infezione da Coronavirus in atto si consiglia un parto naturale: "Si raccomanda il parto naturale perché il cesareo espone il bambino a un maggior rischio di trasmissione del virus". Per quel che riguarda l'allattamento, il rischio di contagio è escluso: "Ovviamente le donne che però hanno l'infezione in corso dovranno evitare di allattare direttamente e dovranno ricorrere al tiralatte".

Coronavirus e gravidanza: lo studio e le raccomandazioni
      A ulteriore conferma di questi dati c'è uno studio del Royal College of Obstetricians & Gynaecologists, che chiarisce proprio che la trasmissione del Coronavirus non risulta avvenire tramite placenta e per questo si può ritenere altamente improbabile anche l'eventualità che il virus causi lo sviluppo sul feto di effetti congeniti. Più pericoloso per le donne in gravidanza è il virus H1N1. "Il virus influenzale, che da settembre a oggi ha causato circa 3000 decessi, ha uno sviluppo particolarmente aggressivo sulle donne in gravidanza. Fortunatamente per quello però esiste il vaccino". Un'ulteriore raccomandazione riguarda invece lo stile di vita: "Cerchiamo di introdurre nell'alimentazione cibi ricchi di vitamina C, come arance, kiwi e limone, e poi non dobbiamo dimenticare la vitamina D: per quanto possibile, nel rispetto della quarantena, cerchiamo di prendere luce, magari stando sul balcone o alla finestra".

Fonte: https://www.fanpage.it/attualita/coronavirus-e-gravidanza-lesperto-conferma-il-virus-non-si-trasmette-dalla-madre-al-feto/

Quando e in che modalità è necessario assumere progesterone in gravidanza?

      Se nelle prime settimane di gravidanza durante l'ecografia risulta un lieve distacco della placenta oppure si verificano delle perdite di sangue, il ginecologo potrebbe prescrivere alla gestante del progesterone: aumentando i livelli di questo ormone, infatti, si favorirà l'impianto dell'embrione nell'utero e il suo accoglimento. Attenzione, però: la decisione spetta al tuo medico, e non tutti concordano sui benefici di tale somministrazione, perché potrebbe in seguito falsare le diagnosi, non facendo risultare effettivo un aborto già avvenuto. Fidati, quindi, di quello che propone il tuo medico!
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      Nel caso in cui tu cominciassi a prendere del progesterone sotto controllo medico, l'assunzione non andrà comunque oltre le prime settimane di gravidanza, quelle che hanno un rischio di aborto più alto: smetterai di assumere l'ormone nel momento in cui la placenta sarà in grado di produrlo da sola.

      Le preparazioni a base di progesterone che sono in commercio funzionano a rilascio continuo, permettendo al corpo di utilizzare l'ormone in base ai propri bisogno. La somministrazione può avvenire in forma di crema vaginale per uso topico, in forma di ovuli da prendere per via vaginale, di compresse da assumere per via orale o di soluzioni per iniezioni intramuscolari.

      Gli ovuli per via vaginale sono i più diffusi: vanno inseriti direttamente nella vagina e questo minimizza gli effetti collaterali del farmaco, consentendo un maggiore assorbimento dell'ormone e non sforzando il fegato.

Fonte https://www.alfemminile.com/gravidanza/progesterone-in-gravidanza-s4009993.html

venerdì 13 marzo 2020

Endometriosi: se diagnosticata in tempo sì a gravidanza

Se diagnosticata precocemente, l’endometriosi non pregiudica la gravidanza. Che le donne affette da endometriosi non riescano mai a concepire o portare a termine una gravidanza non è, infatti, sempre vero, purché vi sia una diagnosi il più precoce possibile e ci si affidi ad un approccio multidisciplinare nella cura della malattia. A fare il punto della situazione è Mario Mignini Renzini, Direttore Medico del Centro di Medicina della Riproduzione Biogenesi e Responsabile dell’Unità Operativa di Ginecologia presso gli Istituti Clinici Zucchi di Monza, del Gruppo San Donato.

L’endometriosi è una patologia femminile cronica recidivante e di difficile diagnosi che colpisce tra il 2 e il 10% delle donne italiane – con un totale stimato di circa 3 milioni di casi, secondo dati del ministero della Saluti aggiornati al 2019 – e di cui soffre il 50% delle donne infertili, secondo le linee guida ESHRE del 2013. Si tratta di una delle malattie femminili più temute – proprio perché spesso legata all’impossibilità di avere figli – e al contempo più misteriose e sconosciute, complice anche la difficoltà nella diagnosi che spesso viene formulata in ritardo, dopo un lungo e dispendioso percorso.

Caratterizzata dalla anomala presenza di endometrio all’esterno dell’utero, che causa uno stato di infiammazione cronica, spesso non genera alcun sintomo, rendendo di conseguenza sconosciuta la reale incidenza di questa patologia. Circa il 5% delle donne in periodo fertile è affetta da endometriosi. Percentuale che arriva al 25-50% nelle donne infertili, fino a toccare il 60-70% in coloro che hanno dolore pelvico cronico. Il tasso di incidenza massimo dell’endometriosi si verifica nelle donne tra i 25 e i 35 anni, anche se la malattia compare spesso in fasce di età più basse.


“L’endometriosi è correlata all’infertilità in circa il 50% dei casi, ma questo non significa che le donne affette da questa patologia non possano mai avere figli. La malattia non si presenta sempre con le stesse caratteristiche e intensità e la prevenzione e una diagnosi precoce possano fare la differenza”, spiega Mignini Renzini. “Nelle donne affette da endometriosi è indispensabile una consulenza qualificata per affrontare quelle che sono le problematiche principali legate alla malattia endometriosica: da un lato la sintomatologia – dolore pelvico, dolore mestruale, dolore durante i rapporti sessuali – e dall’altro il rischio di sviluppare una condizione di sterilità.” prosegue l’esperto.

“Le terapie mediche e le strategie chirurgiche devono tener conto del desiderio principale della paziente – trattamento della sintomatologia e/o desiderio di prole attuale o futuro – e mettere in campo tutti le combinazioni terapeutiche per soddisfare queste aspettative. Se da un lato la terapia medica può alleviare i sintomi dell’endometriosi, questa, per lo più, non è compatibile con la ricerca immediata di una gravidanza. D’altra parte, la terapia chirurgica, considerando l’elevata probabilità che la malattia endometriosica possa recidivare, deve da un lato cercare di migliorare la possibilità di una gravidanza spontanea e dall’altro, ove questo non sia possibile, essere associata ad un trattamento di PMA per consentire l’insorgenza di una gravidanza o mettere in atto procedure di preservazione della fertilità – come la crioconservazione dei propri ovociti – in caso la gravidanza non sia un progetto immediato”.

“Ancora più critica è la strategia da adottare in caso di recidiva di endometriosi: la probabilità di recidiva delle cisti ovariche endometriosiche dopo asportazione laparoscopica è di circa il 10%. In questi casi, non solo la presenza della cisti endometriosica, ma anche la sua rimozione può ridurre in maniera significativa la riserva ovarica: la probabilità di gravidanza dopo un secondo intervento si dimezza rispetto a quella successiva alla prima chirurgia”, spiega Mignini Renzini. “Per questo motivo la vitrificazione degli ovociti può essere un’opzione consigliabile una volta effettuata la diagnosi in giovane età. Questo consente alla donna di sottoporsi alle terapie necessarie e poi, nel caso non si riuscisse ad ottenere una gravidanza spontanea, ricorrere alla procreazione assistita impiegando i propri ovociti”.

Fonte http://www.nutrieprevieni.it/endometriosi-se-diagnosticata-in-tempo-si-a-gravidanza-ID19511

Dolore all'ombelico in gravidanza: cause e cosa fare

Un dolore all’ombelico in gravidanza può essere considerato normale, ma quali sono le cause e cosa fare se dovesse essere persistente? Se sei intorno all’ottavo mese di gravidanza l’ombelico comincia a diventare piatto perché l’utero, ormai ingrossatosi, esercita una pressione sull’addome spingendolo in fuori causando fastidio o prurito alla cute. Ma esiste la possibilità che il dolore all’ombelico sia causato dall’appendicite, una patologia che potrebbe presentarsi più frequentemente nel secondo trimestre e che può provocare il parto pretermine e problemi anche gravi alla madre.

Dolore all’ombelico in gravidanza: cause e cosa fare
Durante la gravidanza i due fasci muscolari paralleli che proteggono gli organi interni si modificano, così come l’utero, che ingrandendosi, provoca una pressione sull’ombelico con un conseguente dolore o fastidio.

Il dolore all’ombelico nelle prime settimane di gravidanza
Il dolore o il fastidio all’ombelico all’inizio della gravidanza è un sintomo normale poichè causato dalle alterazioni dei muscoli addominali che si preparano ad allungarsi e a separarsi.

Fastidio all’ombelico alla fine della gravidanza
Arrivate alla 38esima settimana di gravidanza, il fondo uterino sale fino a pochi centimetri di distanza dal diaframma e l’ombelico cambia aspetto. La pressione dell’utero fa distendere la pelle e l’ombelico arriva ad appiattirsi completamente per poi riprendere il suo aspetto normale solo dopo il parto. Durante questo processo la zona addominale diventa sensibile portando la gestante ad avvertire fastidio o dolore anche solo se l’ombelico viene sfiorato.


Cosa fare
Se il dolore all’ombelico è causato dall’ingrandirsi dell’utero non vi sono cure o trattamenti da effettuare poichè si tratta di un sintomo fisiologico della gravidanza.

Altre possibile cause del dolore all’ombelico
Le altre cause che possono portare dolori nella zona ombelicale sono:


  • ernia ombelicale
  • stitichezza
  • meteorismo
  • indigestione
  • sindrome del colon irritabile
  • appendicite
  • ulcera
  • infezioni del tratto urinario
  • morbo di Crohn
  • cisti ovariche
  • infezione dello stomaco
  • problemi di colecisti
  • pancreatite
  • intossicazione alimentare
  • tumore al pancreas o al colon


Abbiamo visto che uno dei sintomi dell’appendicite è il dolore all’ombelico.
L’infiammazione dell’appendice è una patologia fra le più comuni durante la gravidanza tanto da colpire in media 1 futura mamma su 1000. Secondo il Journal of the American Pregnancy Association è infatti la complicanza chirurgica extrauterina che si verifica più spesso durante la gravidanza.
I sintomi di appendicite possono però essere facilmente fraintesi durante la gravidanza, quindi è importante riconoscere i segni al fine di ottenere una diagnosi e un trattamento adeguati. Anche se risulta colpire più frequentemente nei primi mesi della gravidanza, non sono rari i casi di appendicite anche nell’ultimo trimestre.
Nel caso di un dolore attorno all’ombelico che nell’arco di alcune ore si sposta nell’area addominale destra diventando più forte consigliamo alla futura mamma di recarsi al Pronto Soccorso per una visita urgente da parte di un medico specialista.

Cosa fare in presenza di altri sintomi
Se oltre alla sensazione di fastidio, bruciore, prurito o dolore sopportabile all’ombelico provocata dall’utero in crescita si dovessero presentare altri sintomi quali ad esempio perdite ematiche importanti, febbre, nausea o vomito o dolori che si irradiano alle pareti laterali dell’addome e alla parte inferiore della schiena è consigliabile rivolgersi al medico curante.

Coronavirus Covid-19 e gravidanza. Noia (Gemelli): “Non si trasmette da mamma a bambino”

      A Wuhan 19 donne incinte con polmonite da Covid-19 non hanno trasmesso l'infezione ai figli che sono nati perfettamente sani. Un bimbo negativo al Covid-19 è nato nei giorni scorsi a Piacenza da madre positiva, e risulta sana la figlia del "paziente uno", la cui mamma si era anch'essa ammalata. "Non ci sono dati scientifici che dimostrino il passaggio del coronavirus in gravidanza da mamma a bambino. Le donne in attesa possono stare tranquille, assumere naturalmente tutte le precauzioni per non esporsi al contagio, ma se anche questo accadesse, continuare a vivere la gravidanza con serenità". Parole rassicuranti quelle di Giuseppe Noia, docente di medicina prenatale al Policlinico Gemelli e presidente dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc)


      “Il passaggio del Coronavirus Covid-19 dalla madre al feto durante la gravidanza non è dimostrato, ed occorre sfatare fake news di eventuali danni fetali da polmonite”. Lo dice al Sir Giuseppe Noia, docente di medicina prenatale al Policlinico Gemelli e presidente dell’Associazione italiana ginecologi ostetrici cattolici (Aigoc). Nei giorni scorsi una signora del basso Lodigiano, positiva al coronavirus, ha partorito a Piacenza senza problemi e il bambino è risultato negativo al test sul Covid-19. La moglie del “paziente numero uno”, il podista di Codogno, anche lei positiva e incinta all’ottavo mese, è stata ricoverata all’ospedale Sacco di Milano da cui è uscita la settimana scorsa per portare a termine a casa la gravidanza. Notizie rassicuranti ma che non bastano a tranquillizzare le mamme in attesa, come ci conferma Noia, che è anche presidente della Fondazione “Il cuore in una goccia” e consultore del Dicastero laici, famiglia e vita. “In questa emergenza, per tranquillizzare molte donne in gravidanza diventa importantissimo, in mezzo alle fake news che si rincorrono, offrire risposte fondate su dati scientifici di conoscenza”.
      “La polmonite da coronavirus Covid-19 nelle donna in gravidanza – esordisce – non è più grave di quella contratta dalla popolazione generale”.

      Secondo lo scienziato, “occorre rivedere il concetto un po’ datato di una presunta immunodepressione in gravidanza che esponga le donne a rischi maggiori”. Questa infezione è molto recente e si conosce ancora poco, a differenza della Sars del 2002-2003 e della Mers del 2012, ma Noia cita gli studi relativi a casi di Wuhan, pubblicati tre settimane fa, a febbraio, da due autorevoli riviste scientifiche: The Lancet e Pediatric Transplantation. The Lancet riporta uno studio sulla gravidanza di nove donne con polmoniti confermate da Covid-19 e sui loro bambini nati con parto cesareo; Pediatric Transplantation su dieci neonati partoriti anch’essi da madri con polmoniti da Covid-19 che presentavano caratteristiche cliniche tranquillizzanti e ottima reattività
      Diciannove casi in tutto; numeri piccoli forse, “ma significativi – precisa l’esperto – perché si riferiscono a Wuhan, l’area in cui è scoppiata con virulenza l’epidemia”.
      Questi due lavori “dicono che per la maggior parte i piccoli sono nati per via cesarea, ma anche in quelli nati per via vaginale il neonato non si è infettato”.

      Quali sono le reali evidenze che non ci sia trasmissione in gravidanza del Covid-19? “In questi casi, le analisi effettuate sui neonati, incrociate con i dati testati su liquido amniotico, sangue dal cordone ombelicale, latte materno, non hanno mostrato passaggio dalla madre al feto del virus Covid-19.
      Non vi sono dunque evidenze scientificamente forti per supportare la possibilità di trasmissione verticale dell’infezione da mamma a figlio”.

      E allora, quali precauzioni assumere? “Il parto cesareo sarebbe consigliabile, ma vediamo che anche i bimbi nati per via vaginale sono risultati negativi. Occorre piuttosto fare attenzione al post partum: se la mamma è positiva è meglio evitare il contatto ravvicinato con il bambino per scongiurare un contagio dopo la nascita”. Di qui l’indicazione di differire l’allattamento al seno, tirando e raccogliendo il latte che qualcun altro potrà somministrare al neonato.

      “Studi precedenti – prosegue – avevano mostrato che il virus della Sars poteva essere associato a complicazioni materne e fetali, come aborto spontaneo, parto prematuro e riduzione della crescita fetale, in alcuni casi morte prenatale”. Di qui la preoccupazione di questi giorni, “ma questi studi mostrano che nulla del genere si è verificato con il Covid-19”. In questi casi il virus è stato contratto nell’ultima fase della gravidanza, ma se avvenisse nel primo trimestre, chiediamo all’esperto, potrebbe provocare malformazioni fetali? “Sul Covid-19 – la risposta – non abbiamo dati di infezione al terzo mese, quindi elementi certi, però per estrapolazione rispetto ai due coronavirus precedenti – Sars e Mers – che pur essendo diversi da quello attuale, nell’80% hanno lo stesso genoma,
non vi sono dati in letteratura che parlino di un aumento di malformazioni. Il solo caso di infezione da Sars avvenuta a 7 settimane di gravidanza ha condotto alla nascita a 38 settimane di un bimbo assolutamente sano”.

      Alla domanda se in gravidanza il sistema immunitario di una donna cambi, Noia replica che “nella donna gravida si verifica una immuno-modulazione, cioè la donna si difende in maniera differente. Assumendo omega tre, acido folico e diversi ricostituenti, in qualche modo le difese immunitarie tendono a proteggerla meglio ma non si può dire che si rafforzino”.
Rassicurante il messaggio dell’esperto per le mamme in attesa:
      “Non vi sono dati scientifici che dimostrino il passaggio del coronavirus in gravidanza da mamma a bambino. Le donne in attesa possono stare tranquille, assumere naturalmente tutte le precauzioni per non esporsi al contagio, ma se anche questo accadesse, continuare a vivere la gravidanza con serenità”.

Fonte https://www.agensir.it/italia/2020/03/13/coronavirus-covid-19-e-gravidanza-noia-gemelli-non-si-trasmette-da-mamma-a-bambino/