venerdì 19 febbraio 2016

Tradite dal proprio corpo


Tradite nel proprio corpo.
Ma di quale corpo si tratta?


            Scheler ed Husserl hanno sottolineato con efficacia la distinzione tra corpo fisico (korner) e corpo vivente (leib), tra il corpo oggettivato dalla scienza, disponibile per un’analisi anatomo-fisiologica ed il corpo proprio concretamente vissuto e sperimentato nell’esistenza.

            Queste due dimensioni non esistono separatamente l’una dall’altra e ciò è reso ancora più evidente in alcuni momenti di fondamentale importanza nella vita della donna: l’esperienza dell’amore e l’esperienza della malattia, poiché la condizione di infertilità comprende e rimanda sia all’esperienza dell’amore, dell’erotismo e della generatività - benché negata - che a quella della malattia e della sofferenza.

            La medicina, in Occidente, ha trascurato troppo spesso un approccio olistico e psicosomatico, costruendo un’immagine del corpo prevalentemente orientata alla ripartizione del corpo stesso in organi, apparati, funzioni; la devitalizzazione e la reificazione sono così rischi di una tecnologia e di una medicina che eludono i significati simbolici di cui il corpo si è rivestito, significati fortemente espressi nella generazione e nella sessualità.

            La medicina della riproduzione pur agendo sul corpo nella sua configurazione biofisiologica ne travalica i confini, lo differenzia dalle cose, gli restituisce una vitalità intenzionale, la possibilità di ritrovare identità e progetto.
            La tecnologia della riproduzione restituisce al corpo non più sterile la dimensione dello psichico, dell’essere nelle relazioni.

Scrive Carmine Ventimiglia:
“………si può leggere l’accanimento terapeutico del “corpo sterile” come espressione di una intenzionalità che prima ancora di configurarsi come bisogno di un figlio ad ogni costo, sottende quella di un corpo vivente ad ogni costo”.

            Credo non esista ambito in cui la relazione tra i processi psicologici e quelli fisiologici sia così evidente come in quello delle funzioni riproduttive.

            Il medico, consapevole che i suoi interlocutori sono persone e non i “loro prodotti generativi”, deve riconoscere e rispettare la simbolicità delle funzioni su cui interviene, pesare la risonanza emotiva del suo agire.
            E’ indispensabile allora poter contare sulla competenza comunicativa che comprende l’ascolto empatico della donna e del suo compagno, che vanno considerati, come coppia, un’unità psicosomatica, il corpo della donna come un “corpo parlato dallo psichico” – scrive Franco Fornari.
            Senza dubbio un approccio clinico multidisciplinare contribuirebbe ad impedire che la strumentalizzazione del corpo divenisse pericolosa e tirannica e che il ricorso alla tecnologia prendesse il sopravvento sull’ascolto del corpo femminile.
            E, così, Dominique Garange descrive alcune donne in trattamento FIVET:
“Totalmente medicalizzate, da non avere più parole per esprimere il loro desiderio di avere un bambino.
            Nel loro vocabolario si trovano solo cifre statistiche, curve termiche e grafici. Raccontano le loro ecografie, le loro celioscopie, vivono al ritmo dei cicli Fivet. Corpi stimolati, aperti e richiusi, ma in fin dei conti vuoti”.  
di Paola Mutinelli

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