sabato 14 maggio 2016

Mille in coda per avere un figlio ma solo trecento ce la fanno

L’iter troppo lungo. Impossibile far fronte a una simile domanda con una sola biologa a tempo pieno, affiancata da quattro medici e uno psicologo di supporto. In questo momento quel che si riesce a fare al “Gianluigi Beltrame” è scritto nei dati forniti dalla direzione sanitaria, che parlano di una media di 120 coppie che vanno alla prima visita dopo aver atteso 15 mesi. E questo è solo il primo passo per diventare mamme e papà.
Dopo il consulto, se si viene giudicati idonei, l'iter procede in modo altrettanto lento. Ci vogliono altri 15 mesi per arrivare al primo ciclo di trattamenti con il trasferimento del materiale biologico nell'utero della donna. Tradotto in cifre il sogno di provare ad avere un figlio si concretizza, dopo una lunga attesa, per 26 donne ogni mese. Sono così suddivise: 8 di loro effettuano cicli di inseminazione intrauterina semplice, una metodica ambulatoriale con cui il seme maschile viene depositato dopo un trattamento nell'apparato genitale femminile; nei restanti 18 casi si tratta invece di interventi più complessi quali la Fivet e Icsi. La prima è la fertilizzazione di ovulo e spermatozoo in vitro con successivo impianto, la seconda è una tecnica che permette di fecondare l'ovulo tramite la microiniezione di uno spermatozoo selezionato in precedenza.
Pochi interventi. Lavorando a questo ritmo il centro opitergino riesce a svolgere circa 312 pratiche all'anno, pari a un quarto delle 1.200 domande iniziali, alle quali va aggiunto l'arretrato delle annate precedenti. Tuttavia, la percentuale di successo è incoraggiante: si attesta attorno al 35 per cento (un buon risultato viste le forze a disposizione) che può competere con gli esiti di procreazione medicalmente assistita (pma) dei migliori centri d'Italia.
La proposta. Ora però, l'Usl 9 punta a fare di più per le sue coppie. «Le difficoltà sull'omologa ci sono e con esse la migrazione dei pazienti verso il Friuli Venezia Giulia», conferma Francesco Benazzi, direttore generale dell'Usl 9. Qualcosa però si sta muovendo: l'azienda sanitaria trevigiana intende rimediare ai disagi con l'assunzione di un biologo dedicato e l'individuazione di una strategia su scala provinciale per seguire gli utenti che soffrono di infertilità. Nei prossimi mesi si cercherà di accelerare la presa in carico delle coppie alla ricerca di una gravidanza, dato che il tempo è una variabile fondamentale per il buon esito della pratica (la fertilità è inversamente proporzionale all'età che avanza). «Abbiamo chiesto alla Regione di poter assumere un nuovo biologo per seguire tutto il processo», spiega il dg Benazzi. Il passaggio è cruciale perché il biologo è una figura strategica per il buon funzionamento dei centri di pma. A lui competono le selezioni dei gameti, la fecondazione in vitro e il successivo impianto. Senza infoltire l'organico del centro di Oderzo l'attività continuerà a funzionare a rilento.
Conegliano e Oderzo. Accanto alla nuova professionalità da introdurre, la strategia del numero uno della sanità trevigiana, è già proiettata a ragionare in un'ottica territoriale ad ampio raggio. «Una volta che si attiverà l'Usl provinciale indicheremo due poli di riferimento per la procreazione medicalmente assistita: Conegliano che, con l'équipe del dottor Andrea Baffoni, è già molto forte in questo campo e Oderzo (con l'Ostetricia e Ginecologia diretti dal primario Roberto Baccichet) che sta rafforzando il servizio. Attraverso la sinergia tra le due realtà risponderemo in modo più rapido alle domande, indirizzando i cittadini dove si fa prima». Mobile sarà anche il nuovo biologo: se autorizzato dalla Regione, andrà in appoggio ai due centri trevigiani di Usl 7 e Usl 9 a seconda delle necessità. Insomma, si ragiona in un’ottica di Usl provinciale.

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