Ogni vita umana è preziosa: merita rispetto e attenzione; merita cura e amore; e merita di essere ricordata, perché la vita di ogni persona, a prescindere dalla sua durata, lascia unsegno originale e indelebile. Lo sa bene la psicologa e psicoterapeuta Cinzia Baccaglini, massima esperta italiana nel campo del post aborto, e recentemente autrice del libro “50 domande sul Post Aborto” . Noi di Notizie ProVita le abbiamo posto alcune domande.
Innanzitutto, che cosa s’intende con sindrome post-aborto? Il ricordo che una madre ha del proprio bambino è indelebile?
Io preferisco sempre parlare di conseguenze psichiche post aborto dove la sindrome è uno dei quadri descrittivi. Ci possono essere infatti 3 quadri clinici:
- Psicosi post-aborto: quadro di scollamento dalla realtà di natura psichiatrica che si sviluppa immediatamente dopo l’aborto e può durare oltre i 6 mesi.
- Disturbo da stress post-aborto (PTSD): si sviluppa a partire dai 3 ai 6 mesi dopo l’aborto e presenta i sintomi tipici dei reduci del Vietnam: risvegli notturni, incubi, tachicardia, aumento dell’ansia, allucinazioni olfattive, uditive, visive, pensieri e immagini intrusive (flashback), irritabilità o scoppi di collera, difficoltà a concentrarsi, ipervigilanza, esagerate risposte di allarme, somatizzazioni.
- Sindrome post aborto: può insorgere sia subito dopo l’evento aborto, ma anche a distanza di anni, persino decenni, con incapacità di provare emozioni, distacco dagli affetti, disturbi della comunicazione, disturbi del pensiero, disturbi dell’alimentazione, disturbi della sfera sessuale, disturbi neurovegetativi, disturbi fobici, disturbi d’ansia,depressione, pensieri suicidari, tentativi di suicidio, disturbi del sonno, inizio o aumento di sostanze stupefacenti, alcol o psicofarmaci.
Le conseguenze psichiche post aborto volontario sono studiate in America fin dagli anni ’60 dello scorso secolo. La definizione di Post abortion stress syndrome si deve a Vincent Rue nel 1981, durante un congresso su “Aborto e relazioni familiari” tenutosi in America davanti alla Commissione giustizia del Senato. Deve essere ricordato che non è un termine accettato né dall’American Psychologic Association, né dall’American Psychiatric Associatione che non compare come categoria nei manuali diagnostici. Rientra comunque all’interno del Disturbo post traumatico da stress. La descrizione della PAS di Vincent Rue è la seguente:
- L’esposizione o la diretta partecipazione, al di là delle usuali esperienze umane, a una morte intenzionalmente provocata e percepita come traumatica.
- La rivisitazione incontrollata e negativa dell’evento di morte rappresentato dall’aborto, per es. attraverso ricordi improvvisi, incubi, dolore intenso e reazioni nel giorno dell’anniversario.
- Il sussistere di tentativi vani, intesi a evitare o addirittura negare i propri ricordi e il dolore emotivo provato, con una ridotta capacità di reazione nei confronti degli altri e del proprio ambiente.
- L’esperienza di sintomi da accresciuta vigilanza non presenti prima dell’aborto, incluso il senso di colpa provato in rapporto alla propria sopravvivenza.
La manifestazione di questi sintomi dipende dal tipo di aborto ma soprattutto di struttura di personalità della persona coinvolta, cioè dalla sua storia personale, familiare, relazionale, altri avvenimenti di vita precedenti o successivi e ‘carattere’ nel senso di costruzione della sua identità. Ci sono donne che avvertono subito questo profondo dolore e mancanza, magari perché costrette dal partner o dalla situazione, e la giustificazione “Non potevo fare diversamente” non è sufficiente per colmare il vuoto di un figlio ucciso, una bara nascosta nei meandri del cuore e dell’anima. Altre donne avvertono questa frattura della coscienza solo a seguito del tempo che passa e del susseguirsi di altri avvenimenti della vita, sia positivi che negativi (morte di altri figli, morte dei genitori, morte del padre del bimbo, nascita di un nipotino, entrata in menopausa); solo allora prendono consapevolezza di ciò che realmente sentono per quel fatto accaduto magari anche decenni prima e rimasto a lungo latente. Altre donne ancora, invece, si mettono faccia a faccia con l’aborto del proprio bimbo persino in punto di morte.
C’è qualche differenza tra la sindrome conseguente a un aborto spontaneo e la sindrome che colpisce le donne che hanno scelto (in maniera più o meno libera) di abortire?
Perdere un figlio con un aborto spontaneo è doloroso ma, a seguito di una sofferenza intensa nei primi mesi, si risolve solitamente con un’elaborazione naturale del lutto. A volte rimangono domande come: avrò fatto tutto il possibile? Avrò fatto qualcosa di sbagliato perché non è con noi? Il ricordo di quel figlio rimane comunque. Possono esserci ovviamente dei blocchi psichici dovuti alla storia personale ma nulla a che vedere con le impennate dei sintomi psichici a seguito di aborto volontario, in particolare in coincidenza della presunta del parto o dell’anniversario dell’aborto.
Come mai una donna può arrivare a decidere di abortire?
Le motivazioni sono le più svariate e quasi mai economiche, anche se nel momento attuale di crisi potrebbe essere percepito così. Il più delle volte questo motivo viene addotto come causa principale per non andare a volgere lo sguardo all’interno della persona, mentre quello che sta alla base è invece il fatto di non sentirsi amate e quindi il pensiero di non essere in grado di amare il proprio figlio, di non essere all’altezza, di non poter dare tutto in tutti i campi (senza rendersi conto che questo è impossibile per tutti). Forse non è un caso che sempre più donne che abortiscono hanno alle spalle madri che hanno abortito, che loro lo sappiano o lo scoprano dopo.
Il dramma dell’aborto non coinvolge solamente la donna, ma anche il padre del bambino, gli eventuali fratelli, i nonni, gli operatori sanitari… e la lista potrebbe continuare. Come viene rielaborato l’aborto da tutti questi soggetti? Anche per loro il ricordo del bambino morto rimane indelebile?
La risposta a questa domanda richiederebbe molto spazio poiché molte sono le variabili in campo per ogni categoria summenzionata. Dipende se sono stati attori attivi nella scelta, se l’hanno saputo dopo, se sono stati indifferenti, se hanno accompagnato la donna che andava ad abortire, se hanno fatto di tutto per impedirlo e nonostante questo l’aborto è stato fatto. Una cosa però è certa: c’è scappato il morto ammazzato, il concepito (figlio, nipote, fratello/sorella, paziente), e questo può essere tacitato dalla coscienza per molto tempo con forti negazioni, rimozioni, spostamenti e giustificazioni ma alla fine, in qualche modo, ritorna – talvolta quando uno meno se lo aspetta – e riapre ferite.
In questa giornata vorremmo dare una prospettiva positiva a tutte le donne e le persone che sono state – direttamente o meno – coinvolte in una vita che è terminata con l’aborto. E’ possibile elaborare una memoria positiva del bambino concepito e mai venuto alla luce?
Certamente. Occorre tuttavia operare una distinzione tra aborto spontaneo o volontario.
Per l’aborto spontaneo è innanzitutto importante dare un nome al bambino (le mamme hanno una straordinaria capacità di riconoscere se fosse maschio o femmina). Sentirlo esattamente come uno/a di famiglia che se ne è andato troppo prematuramente e improvvisamente. Se possibile seppellirlo – esiste uno specifico decreto Donat Cattin per richiedere il corpicino ed è previsto uno specifico rito per le esequie dei bimbi morti senza Battesimo. Per chi è credente, infine, pregare per lui/lei e offrire Sante Messe in suo suffragio. In una parola è importante ‘farne memoria’. Molti continuano a festeggiare il giorno dell’aborto come una tripla data: di nascita su questo mondo, di morte e di nascita al Cielo. La cosa che non si deve assolutamente fare è bloccare questo dolore di perdita o minimizzarlo. E’ importante attraversare tutte le tappe della rielaborazione del lutto per un figlio in Cielo, così come per tutte le altre persone a noi care, e se lo si necessita rivolgersi a psicoterapeuti. Altri riti e ritualità sono fuorvianti e a volte dannosi, poiché fissano con tratti ossessivi una cosa che tutto sommato, seppur con sofferenza, è avvenuta naturalmente.
Per l’aborto volontario le cose sono un po’ più complicate perché è il senso di colpa a farla da padrone. Anche in questo caso dare il nome va bene, senza tuttavia confonderlo con Battesimi, Benedizioni o altro. Ci deve essere un approccio integrato e diversificato a seconda delle persone che si hanno di fronte e del loro coinvolgimento nell’aborto. E’ necessaria una stretta collaborazione tra le persone che seguono chi ha abortito e fatto fecondazioni extracorporee affinchè il percorso non sia frammentato mettendo la persona a rischio di aggravamenti psicopatologici. E’ un percorso che può durare anche anni pertanto bisogna diffidare dalle proposte a breve termine, a spot occasionali o a protocolli uguali per tutti. Non dimentichiamo che l’ideazione suicidaria è molto alta soprattutto nelle reazioni ‘da anniversario’ e che la responsabilità di chi prende in carico queste persone altrettanto. Bisogna diffidare da chi non ha i titoli professionali di competenza. L’elaborazione del lutto spetta agli psicoterapeuti e agli psichiatri-psicoterapeuti.
Anche nel mondo cattolico a volte il tema del post aborto viene visto come nicchia ecologica lavorativa, mentre non dovrebbe essere così. Per chi crede dobbiamo ricordare che per l’aborto (chi lo fa, lo pratica, lo consiglia o lo facilita) è prevista la scomunica ipso factoe latae sentenziae, pertanto anche il cammino spirituale deve essere con sacerdoti preparati e formati a questo delicato argomento (eccezionalmente dall’8 dicembre sarà invece possibile con tutti i sacerdoti per concessione del Papa e solo per l’Anno della Misericordia). Molte derive di angiologia e di new age, con riti molto fantasiosi e per nulla aderenti né alla dottrina né alla realtà del postaborto, stanno purtroppo imperversando con risultato di aggravamenti psicopatologici per le persone interessate. Bisogna prestare attenzione.
Per la festività del 2 novembre un consiglio che può essere dato, in particolare alle mamme che non hanno potuto seppellire i propri bimbi perché messi nei rifiuti speciali ospedalieri e bruciati, può anche essere quello di andare nel cimitero locale e, se c’è un luogo dove vengano ricordati questi bimbi, portare un fiore. Laddove questo non ci sia, in ogni cimitero c’è una piccola area dove vengono sepolti per legge – con la scritta “feto” – i bambini del secondo trimestre. Laddove non ci sia nemmeno questo è possibile mettere un fiore su una tomba non curata e disadorna: è comunque un gesto di pietà.
Ricordiamo però che il ricordo del bimbo deve essere una presenza accompagnatrice, non un’assenza persecutoria. Non perdiamo la Speranza!
Fonte : scroll_news
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