mercoledì 11 novembre 2015

Come comunicare ai bambini di essere nati da una fecondazione assistita

        Aldilà delle implicazioni o delle osservazioni etiche (spesso sarebbe meglio dire ideologiche) che possono scatenare dibattiti su chi possa essere maggiormente meritevole di chiamarsi famiglia, questi studi offrono degli spunti di riflessione interessanti. E’ di grande attualità il tema della fecondazione assistita, specie in Italia in cui si è cominciato a parlare di eterologa. I numeri sono sempre in aumento, sia delle coppie che si rivolgono ai centri per la fecondazione omologa sia per quelle che si muovono per l’eterologa in Italia anche se i limiti sono ancora tanti e rivolgersi all’estero continua ad essere la via più semplice.
 


        Dal 1978, anno della nascita della prima bambina con fecondazione artificiale, al 2009, sono stati oltre tre milioni nel mondo i bambini nati attraverso le tecnologie riproduttive. Ma la procreazione assistita non è solo una questione di adulti che vogliono essere genitori, ma anche di figli che vogliono capire come sono nati. Così di fronte alla domanda “Mamma, papà come sono nato?” si affacciano nella mente dei genitori dubbi e paure lo dico o non lo dico, e se lo dico, come glielo dico? mi accetterà ancora come genitore? si sentirà diverso/a?͟ ma poi i bambini nati da fecondazione artificiale, sono realmente diversi dagli altri? Gli studi su questo argomento spaziano.


        Ad esempio, in uno studio del 2013 viene confrontato la capacità di regolazione emotiva tra bambini nati da maternità surrogate, fecondazione eterologa e concepimento naturale. La questione era se la presenza di un legame biologico (sia genetico o attraverso la gravidanza) incidesse in qualche modo sui bambini che sono stati valutati in tre diverse fasi di vita: a tre, sette e dieci anni attraverso il Strengths and Difficulties Questionnaire.
       
        Questo questionario viene somministrato alla madre e all’insegnante quando il bambino ha 7 e 10 anni. Oltre a una valutazione sul bambino è stata analizzata la qualità della relazione tra i genitori, la qualità delle cure materne e lo stato mentale della madre. I risultati mostrano che non ci sono differenze tra bambini concepiti tramite fecondazione eterologa e bambini concepiti naturalmente. Le differenze ci sono tra quelli nati da maternità surrogata e fecondazione eterologa. In particolare i primi mostrano una minor capacità di regolazione emotiva.

        Una variabile importante è il grado di distress della madre nello svelare (o nel tener nascoste) le origini biologiche del figlio. A differenza di altri studi, lo svelamento aumentava la disregolazione, probabilmente a causa dello stress comunicato dalla madre. In altri studi, in cui si pone l’attenzione su come e quando parlare ai propri figli, ne emerge che non è il contenuto in sé a mettere in difficoltà, quanto piuttosto il timore che non si venga riconosciuti come genitori a tutti gli effetti. Sono state identificate cinque tipi di storie che vengono usate, a seconda dell’età del bambino, per spiegare come sono venuti al mondo.
       
        C’è la storia dell’ aiutante, in cui i genitori insistono sull’idea che hanno avuto bisogno di qualcuno per avere un bambino. L’aiutante può essere un medico o un donatore che ha la caratteristica di essere una persona speciale perché hanno aiutato mamma e papà ad averti. C’è la storia dei pezzi di ricambio, in cui l’attenzione viene messa sul corpo malfunzionante (o rotto) e sulla necessità di trovare una soluzione. C’è la questione delle famiglie diverse, cioè che ci sono famiglie tradizionali e poi quelle speciali in cui manca un genitore o sono entrambi dello stesso sesso o hanno bambini adottivi oppure bambini nati con la fecondazione artificiale. Si pone dunque l’accento sulla varietà e sul valore della famiglia. Ci sono poi genitori che enfatizzano il dolore che hanno attraversato all’idea di non poter essere genitori , la fatica fatta per averlo e la gioia quando hanno trovato il modo di esserlo. Una sorta di travaglio d’amore. Infine c’è la versione più scientifica (dado e bulloni) per bambini che già maneggiano concetti di biologia e di scienze, in cui si usano esplicitamente termini come donatrice di ovuli o donatore di sperma.


        E’ dunque chiaro che il problema esista. Ed è un problema sul come comunicare, ma ancora prima è un problema sulla propria inadeguatezza, sulla propria vergogna e sul proprio senso di colpa verso il partner prima e verso il figlio poi. Attraverso la fecondazione eterologa è vero che si offre una grande possibilità a coppie cui altrimenti non rimarrebbe altra via se non l’elaborazione della genitorialità mancata, ma è anche vero che l’elaborazione di tutto questo si colora di delicate sfumature. Ricorrere a un donatore, o a una donatrice, significa fare un passo in più. Si tratta, non solo di rivedere alcuni fondamenti della propria identità che passano, grazie a canali culturali e sociali, attraverso la propria capacità riproduttiva; ma anche confrontarsi con un altro che ha ciò che si vorrebbe avere e, quindi, superare una dinamica agonistica (che altrimenti si vive rispetto alle gravidanze altrui) per trasformarla in aiuto e collaborazione.

        Superare la sensazione di essere prima una persona (e una coppia) fallata, permette di non sentirsi un genitore diverso che ha figli diversi. Dunque, ancora prima di essere genitori occorre accettare le difficoltà ad avere figli, la necessità di chiedere aiuto e averne elaborato i vissuti emotivi. Perché è chiaro che se come genitori ci si sente inadeguati, il messaggio che arriverà ai figli non sarà di serenità indipendentemente dal modo in cui sono stati concepiti.

Fonte http://www.stateofmind.it/2015/10/fecondazione-assistita-comunicarlo-bambini/

 


 
 

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