lunedì 24 settembre 2018

Villocentesi in gravidanza: a cosa serve?

         La villocentesi è un esame invasivo che prevede il prelievo di frammenti di villi coriali della placenta, tramite un ago che penetra nell’addome della donna incinta. Il test può essere eseguito, in rari casi, anche per via transcervicale e in questo caso la cavità uterina viene raggiunta tramite un catetere vaginale. Ad ogni modo il prelievo viene sempre eseguito sotto controllo ecografico

         La villocentesi si effettua tra la decima e la dodicesima settimana. Il prelievo del tessuto coriale viene effettuato in sede ambulatoriale, spesso senza richiedere anestesia. Prima di effettuare l’esame, però, la futura mamma deve eseguire un esame ecografico per accertare la vitalità del feto. È inoltre importante stabilire l’epoca gestazionale (attraverso la biometria fetale) e la più idonea sede di accesso al tessuto coriale3. Durante l’esame ecografico potrebbero già essere individuate eventuali anomalie di impianto o nella conformazione dell’utero e si può decide se effettuare o meno l’intervento3. La villocentesi ha le stesse indicazioni dell’amniocentesi: viene consigliato in modo particolare alle donne che al momento della gravidanza hanno più di 35 anni, specialmente se sono presenti in famiglia anomalie cromosomiche, malattie genetiche o difetti congeniti del metabolismo oppure se si sono rilevati eventuali malformazioni fetali durante l’ecografia.

         I villi coriali ottenuti con il prelievo vengono analizzati in laboratorio, e dalla loro analisi si può risalire ad eventuali anomalie cromosomiche nel feto, come la Sindrome di Down (Trisomia del cromosoma 21), oppure di malattie genetiche, come per esempio la fibrosi cistica. Su richiesta, inoltre, è possibile scoprire la paternità del bambino.

         La villocentesi è da preferirsi rispetto all’amniocentesi per l’analisi di malattie genetiche e dei difetti congeniti del metabolismo. Questo perché i villi coriali sono una fonte più ricca di DNA rispetto agli amniociti. Altro vantaggio della villocentesi è che può essere effettuata prima in gravidanza e ha tempi di attesa ridotti per la diagnosi. Per quanto riguarda invece la diagnosi di eventuali infezioni, invece, è preferibile sottoporsi all’amniocentesi in quanto più sensibile anche a piccole quantità di agente infettante3.

         La villocentesi presenta delle complicanze tra cui il rischio di aborto dell’1%, che decresce con l’avanzare dell’epoca gestazionale e aumenta con l’avanzare dell’età materna. Inoltre, la bravura e l’esperienza dell’operatore sanitario, incide su questa percentuale3.

         Nelle ore immediatamente seguenti all’esecuzione del test, le donne potranno avere dei piccoli dolori addominali, ma in caso si noti anche del sangue oppure febbre, è molto importante contattare il proprio ginecologo. I risultati dell’esame, di solito, arrivano entro 20 giorni e sono affidabili nella rilevazione di anomalie cromosomiche, come la Sindrome di Down, la trisomia 18 e le aneuploidie dei cromosomi sessuali4.

         Tuttavia, come accennato, la villocentesi non è l’unica opzione. Durante i nove mesi di gravidanza, dopo un consulto con il ginecologo, le donne possono scegliere di effettuare un esame di screening non invasivo, che non presenta alcun rischio di aborto. Questi esami sono definiti “probabilistici”, in quanto rivelano la percentuale di probabilità per cui sia presente un’anomalia cromosomica nel feto. Il test del DNA fetale è uno degli esami di screening precoce. Questo test si può svolgere già dalla decima settimana di gravidanza, ed è affidabile nel 99,9% dei casi nel rilevare le principali anomalie cromosomiche.


Fonti:

Fondazione Umberto Veronesi – fondazioneveronesi.it
Lo sviluppo prenatale dell’uomo: Embriologia ad orientamento clinico – T. V. N. Persaud, Mark G. Torchia, Keith L. Moore.

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