venerdì 18 dicembre 2015

Fecondazione eterologa: capriccio o diritto?

Fecondazione eterologa: capriccio o diritto?
          La recente sentenza della Corte costituzionale sembra aver sgombrato il campo da ogni possibile dubbio: la fecondazione eterologa è un diritto. La rivista MicroMega, però, nell'ultimo numero in edicola dal 23 ottobre (scopri qui il sommario del numero), prova a porsi alcuni interrogativi radicali in un serrato dialogo senza perifrasi fra due magistrati, sostenitori di due tesi opposte. E, nelle righe che introducono il confronto, il direttore della rivista Paolo Flores d'Arcais riflette: "Nessuno di noi ha chiesto di essere messo al mondo. Chi lo ha deciso si assume perciò dei doveri verso chi nascerà, il quale, a determinate condizioni, potrebbe preferire di non essere mai nato. È il nascituro che ha dei diritti. Sia chiaro, e per evitare interessate amalgame coi sanfedisti: ha questi diritti una volta al mondo, non quando è embrione (dunque non-persona). Diritti che si riassumono nel dovere dei genitori di assicurare al figlio, per il possibile, le migliori condizioni di vita e in primo luogo di serenità psicologica. Ma un figlio di padre ignoto sotto questo profilo nasce già con un handicap, nessuna acrobazia di psicologi può cancellare la circostanza. Vorrà sapere, scoprire il padre biologico (in genere durante l'adolescenza, periodo già percorso da sofferenze). Il desiderio di due coniugi di avere un figlio non può dunque essere di per sé un diritto (anche per le coppie omosessuali, checché ne pretenda un paralizzante e censorio 'politically correct'). Meno che mai con la mostruosità 'proprietarià dell'utero in affitto. Deve cedere al diritto futuro del figlio di godere di condizioni ottimali. Il 'dirittò proprietario dei genitori (perché di questo si tratta, ed è strano che abbia spazio a sinistra) già legittima forme di vera e propria tortura sui prematuri con handicap dolorosissimi (in Italia, non più in Olanda grazie all'eutanasia neonatale)". 


          Il dialogo, di cui pubblichiamo di seguito la prima parte, è all'interno di un numero monografico della rivista dedicato ai temi della giustizia, con contributi, tra gli altri, di Scarpinato, Gratteri, Cordero, Travaglio, Caselli, Davigo, Colombo, Malavenda, Spataro. Clicca qui per leggere il sommario completo.


Fecondazione eterologa: capriccio o diritto?
PAOLO BORGNA/RITA SANLORENZO
Paolo Borgna
          Mi sono convinto dell'inesistenza di un diritto alla fecondazione eterologa leggendo la sentenza della Corte costituzionale che questo diritto afferma. Prima avevo soltanto perplessità di fondo e avvertivo confusamente come una stonatura la frase  -  ormai diventata un luogo comune indiscusso  -  che la "naturale aspirazione alla procreazione" è un diritto naturale.                           Semplicemente, mi chiedevo: ma siamo sicuri che ogni naturale e comprensibile desiderio debba essere considerato un diritto e come tale riconosciuto e tutelato? Non c'è, al fondo di questa idea, una concezione intimamente individualista? 
Sono le domande di molti. Ora, dopo aver letto la sentenza 162/2014 della Corte, queste domande confuse mi si sono meglio chiarite. Non ne scrivo come esperto di diritto costituzionale, perché tale non sono. E tanto meno come conoscitore delle tematiche della procreazione assistita (materia su cui dichiaro la mia ignoranza). Ne scrivo dunque a te, Rita, che invece da tempo studi tale materia e hai salutato con grande soddisfazione questa sentenza. Te ne parlo, semplicemente, come cultore della storia dell'evoluzione dei diritti nell'Italia repubblicana. Una storia che ebbe, nei primi decenni, un percorso faticoso, contrastato dalle tante scorie autoritarie che gli apparati statali e la società civile avevano ereditato dagli anni del regime e che furono spazzate via, a partire dal 1956, proprio grazie al ruolo propulsivo delle sentenze della Corte costituzionale. Ma quel tipo di intervento operava in modo limpido: registrando l'irriducibile contrasto tra leggi vigenti ed espliciti princìpi sanciti in Costituzione. Pensa all'evidenza del contrasto tra un'istruttoria penale in cui la difesa era totalmente assente (l'avvocato può esser presente all'interrogatorio dell'imputato soltanto dal 1971!) e il principio dell'articolo 24 secondo cui "la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".

          La sentenza 162 della Corte esce completamente da questi parametri: afferma un diritto che non solo non è scritto nella Carta, ma lo fa derivare da princìpi costituzionali di carattere generale di cui viene data un'interpretazione talmente opinabile e creativa da sconfinare nella discrezionalità politica che in democrazia dovrebbe essere il "giardino proibito" riservato al legislatore. 

          Mi avevano convinto le precedenti pronunce dei tribunali che avevano affermato la possibilità (negata dalla legge 40 del 2004) di ottenere la diagnosi pre-impianto degli embrioni per le coppie sterili o infertili(1); e della Corte costituzionale che aveva cancellato l'imposizione del contemporaneo impianto di tutti gli embrioni (2): perché quell'imposizione era crudele verso la donna e le negava, nel momento del concepimento, una possibilità di scelta che avrebbe potuto evitare un successivo aborto terapeutico. 

          Ma la questione della fecondazione eterologa  -  la possibilità, per una coppia sterile, di ricorrere a gameti ricevuti da soggetti esterni  -  è diversa. Qui non si tratta di impedire alla coppia la possibilità di avvalersi delle tecniche che la scienza offre per evitare che il figlio sia affetto da malattie geneticamente trasmissibili e dunque impedire sofferenze ai genitori e al nascituro. Qui si tratta di affermare il "diritto al figlio": non di evitare un male, ma di realizzare un desiderio. La sentenza della Corte lo afferma con passaggi argomentativi che proprio non mi convincono. Ma poiché, come ho detto, non mi ritengo un esperto della materia, mi ha fatto piacere riscontrare tutti i miei dubbi in un commento alla sentenza della costituzionalista Chiara Tripodina, che sui rapporti tra scienza, diritti e pratica medica ha dedicato anni di studio (3). Uso questo suo scritto come traccia per le mie osservazioni.
          La Corte, innanzitutto, afferma come diritto "incoercibile", espressione della "fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi" la volontà della coppia, anche sterile, di diventare genitori. Questo diritto  -  dice la sentenza  -  si fonda sugli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione (diritti inviolabili dell'uomo, principio di eguaglianza, tutela della famiglia e della maternità) e deve essere tutelato anche quando si esercita mediante la scelta di ricorrere alla fecondazione eterologa. Qui c'è il primo salto mortale sul fronte storico: i costituenti scrissero l'articolo 31 per incoraggiare la formazione della famiglia e favorire il superamento di ostacoli economici e sociali. Non pensavano certo a ostacoli opposti dalla natura. Si dirà: ma poiché oggi (diversamente dal '48) l'ostacolo posto dalla natura è superabile grazie alla tecnica, impedirne il ricorso significa limitare il diritto a formare una famiglia. Sennonché: è evidente che non tutto ciò che la tecnica consente deve diventare diritto. Bisogna porre dei limiti. E allora: chi deve porli? Chi deve valutare e ponderare i diversi interessi in gioco? Il legislatore o i giudici? Dice la sentenza: è vero che la valutazione delle "contrapposte esigenze" spetta "primariamente alla valutazione del legislatore". Ma poiché siamo di fronte non a un qualunque diritto ma a un "diritto inviolabile dell'uomo" (questo è il senso del richiamo all'articolo 2 Cost.), la Corte non può rinunciare a verificare se il bilanciamento di queste contrapposte esigenze e valori sia stato ragionevole. Il "continuo e diretto contatto con le forze vitali dei loro paesi"  -  che, nel 2011, aveva indotto la Corte europea dei diritti dell'uomo a ritenere che spettasse ai singoli Stati il "più ampio" margine di apprezzamento sulle "questioni di sensibilità morale o etica" (4)  -  ora svanisce: completamente assorbito dalla rivendicazione di poter decidere da parte della nostra Corte. Viene da esclamare: "Povera sovranità popolare! Come ti hanno ridotta...". Qui, anziché parlamenti sovrani che plasmano le leggi interpretando "le forze vitali dei loro paesi", abbiamo dei giudici che interpretano le Costituzioni e dettano leggi ascoltando e dando voce allo "spirito del tempo". E noi sappiamo quanto, nel corso del Novecento, la seduzione dello "spirito del tempo" abbia prodotto mostri.

Rita Sanlorenzo 
          Mi stuzzica molto questa tua verve polemica, caro Paolo. Ti riconosco, come sempre, un sincero slancio ideale, unito a una capacità di pensiero e di riflessione di ampio respiro, che va ben oltre i limitati confini della cultura giuridica. Ma questa volta non credo proprio di poter seguire il tuo ragionamento, e provo a spiegarti perché.

          Innanzitutto, partirei da alcuni dati di realtà. La sterilità è una malattia, e come tale deve essere riconosciuta, secondo quanto stabilito già da molti anni dall'Organizzazione mondiale della sanità. Non solo: come tale deve essere curata, secondo quanto è permesso dall'evoluzione della scienza medica. Non sempre, non a ogni costo, perché alla possibilità di applicare delle terapie può essere necessario trovare dei limiti: questo lo sottolinei tu, ma se fai attenzione, questo lo ammette limpidamente anche la sentenza che tu critichi con tanta veemenza. Tra le vostre posizioni corre però una differenza essenziale: tu sostieni che solo il legislatore può effettuare il giudizio di bilanciamento tra i vari interessi in gioco, pena la mortificazione della volontà popolare che ha espresso quella contingente maggioranza chiamata a compiere la scelta, squisitamente politica. La Corte invece ritiene di essere chiamata a verificare la ragionevolezza dell'esercizio di discrezionalità compiuto dal legislatore, perché ci si trova pur sempre di fronte a un divieto che condiziona la libertà di autodeterminazione dell'individuo all'interno di sfere privatissime quali la famiglia e la genitorialità. E meno male, dico io. Lasciando al legislatore la sostanziale esclusiva in materia, si sarebbe permessa la sopravvivenza di previsioni punitive e che sembravano dettate dalla sola volontà di disincentivare il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita, e che invece i giudici costituzionali hanno provveduto a eliminare, come tu stesso ricordi, sul rilievo della tutela della salute della donna, da un lato, ma anche della necessità di arrestare il legislatore laddove è la scienza medica che deve prendersi cura della salute delle persone (5). È anche in questo caso, questione di limiti oltre ai quali nemmeno la scelta della politica può andare: su questo sei d'accordo anche tu. Vediamo se il percorso seguito dalla Corte costituzionale può (io sostengo: deve) essere sostenuto e condiviso anche quando si occupa della fecondazione eterologa.
          Intanto, ti sottopongo un altro fatto oggettivo. La fecondazione eterologa sino al 2004 è stata permessa in Italia. Anzi, vi erano fior di circolari ministeriali che regolavano tra l'altro le pratiche per la raccolta del seme, e gli accertamenti da compiere sulle donne destinate a ricevere la donazione, al fine di tutelare l'eventuale nascituro, e che vietavano ogni forma di remunerazione per i donatori. Il divieto all'eterologa è intervenuto con la sciagurata legge 40, legge quanto più ideologica, crudele, insensata: legge che, tu lo ricordi, è stata smontata in un decennio da una serie coerente di decisioni  -  anche da parte di organismi sovranazionali, come la Corte europea dei diritti dell'uomo che, con la decisione Costa-Pavan ha messo nel nulla il divieto di diagnosi preimpianto  -  di cui la sentenza 162 costituisce l'ultimo (per ora) traguardo. Se la politica volesse davvero riaffermare la sua primazia, dovrebbe mettersi di fronte alla necessità di riscrivere l'intera disciplina, questa volta tenendo conto dei princìpi che le Corti hanno via via dettato in materia: ma lo stallo che su tutti i temi eticamente sensibili registra l'attività del legislatore, rende estremamente improbabile questo scatto d'orgoglio... 
Ma torniamo a noi. La legge 40, con la sua infinita serie di divieti e di limiti e di criminalizzazioni per i trasgressori, mostra sin dall'esordio la sua insensatezza, dichiarando di voler assicurare i diritti di tutti i soggetti coinvolti, "compreso il concepito": dimenticando che per il nostro sistema giuridico, sino alla nascita non esiste alcuna soggettività giuridica. Si trattava di un chiaro ballon d'essai, che preludeva  -  per fortuna, solo nelle intenzioni  -  all'attacco politico nei confronti dell'aborto, contro cui periodicamente ripartono le puntate polemiche di certo integralismo cattolico. In questo contesto, si inserisce (anche) il divieto di ricorrere a donatori di gameti per le coppie (di maggiorenni, di sesso diverso, in età potenzialmente fertile, limite generale previsto dalla legge che non è stato toccato dalle questioni di costituzionalità) del tutto infertili: divieto che già entra in collisione con la premessa posta dallo stesso legislatore, quando afferma che le disposizioni che seguono sono poste "al fine di favorire la soluzione dei problemi riproduttivi derivanti dalla sterilità o dall'infertilità umana". Devi ammetterlo anche tu, la contraddizione è clamorosa, perché da una parte si dichiara un fine, dall'altro si nega il mezzo per perseguirlo... e allora perché scandalizzarsi per il giudizio di ragionevolezza a cui la Corte ha sottoposto la specifica questione che le veniva sottoposta? 


          Un giudizio che parte da un presupposto su cui forse un po' travisi: non si va ad affermare il "diritto al figlio", come tu scrivi, ma ci si preoccupa di comprendere perché, in nome di quali valori, può essere costretta una libertà  -  fin lì accordata  -  che (su questo, spero, sarai d'accordo) attiene al nucleo più naturale e autentico delle aspirazioni umane, l'aspirazione alla genitorialità. Ecco, in nome di che cosa frustrare e inibire questa ambizione? Di una volontà legislativa sadicamente volta a ostacolare, a inibire, a frustrare, a punire? Io dico che questo atteggiamento rende nel complesso odioso il divieto, e meritevole di accoglimento la richiesta di eliminarlo.

Il dialogo completo è pubblicato sul numero 7/2014 di MicroMega

Paolo Borgna - Magistrato dal 1981, è attualmente procuratore aggiunto presso la procura della Repubblica di Torino, dove coordina il gruppo di lavoro Sicurezza urbana. Tra le sue pubblicazioni, tutte edite da Laterza: Clandestinità (e altri errori di destra e di sinistra) (2011), Un Paese migliore. Vita di Alessandro Galante Garrone (2006) e Il giudice e i suoi limiti (con M. Maddalena, 2003). Sempre presso Laterza è di prossima pubblicazione la sua biografia di Giorgio Agosti.
Rita Sanlorenzo
 - Magistrato dal 1986, dal 1992 è giudice del lavoro, attualmente alla Corte d'appello di Torino. È componente del comitato di redazione della rivista Questione Giustizia, per la quale ha seguito tra l'altro l'evoluzione giurisprudenziale relativa alla legge 40/2004 in materia di procreazione assistita. È autrice del volume E lo chiamano lavoro (con C. Ponterio), in uscita per le Edizioni Gruppo Abele.

NOTE: 

1) Tribunale di Cagliari, 22-24/9/2007; Tribunale di Firenze, 17/12/2007; Tar Lazio, 21/1/2008, n. 398; Tribunale di Bologna, 29/6/2009; Tribunale di Cagliari, 9/11/2012. Di fronte alla Corte costituzionale pende la questione dell'estensione di questa possibilità anche alle coppie fertili, ma portatrici di malattie genetiche.
2) Corte cost. 151/2009.
3) C. Tripodina, "Il "diritto al figlio" tramite fecondazione eterologa: la Corte costituzionale decide di decidere", in via di pubblicazione su Giurisprudenza costituzionale, n.3/2014.
4) Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu), decisione della Grande Camera del 3/11/2011.
5) Corte cost. 151/2009.


Fonte http://d.repubblica.it/attualita/2014/10/27/news/diritto_fecondazione_eterologa_dibattito-2347427/

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