Era un processo di smantellamento che andava avanti ormai da anni. E ieri è stata sferrata la picconata più grossa: la Corte Costituzionale ha stabilito una volta per tutte che il divieto di fecondazione assistita eterologa è incostituzionale. Le coppie non fertili che vogliono avere un figlio, da oggi, non saranno più costrette ad andare all’estero (uno dei tanti escamotage che rendevano il divieto aggirabile), ma potranno ricorrere alla donazione di ovociti e spermatozoi sul suolo italiano. Proviamo allora, con l’aiuto del vademecum dell’Istituto superiore di sanità, a fare un po’ di chiarezza su come funziona la procreazione medicalmente assistita (Pma)
Il percorso della Pma: l’anamnesi
Se la coppia, dopo un “ragionevole periodo di rapporti non protetti, in genere indicato con un anno, massimo due”, non riesce ad avere figli, la prima cosa da fare è raccogliere la storia clinica individuale di uomo e donna, per individuare trattamenti precedenti che possono aver danneggiato la fertilità (cura dei tumori, per esempio), fattori legati allo stile di vita (consumo di alcol o tabacco), informazioni sulla vita sessuale e su eventuali terapie per l’infertilità tentate in passato.
I medici raccomandano una certa tempestività: “Arrivare a una diagnosi corretta nel minor tempo possibile è di importanza fondamentale: specie se la donna non è più giovanissima (ha cioè più di 35 anni), più tempo si perde e minori sono le possibilità di successo di un trattamento di Pma”.
Le indagini A questo punto, la coppia si sottopone a una serie di analisi di base, tra cui esami ormonali, per valutare i livelli di ormoni sessuali presenti nel sangue (che nella donna danno indicazioni sulla regolarità dell’ovulazione e sull’età biologica dell’ovaio), ecografie, tamponi vaginali, pap-test (per la donna) e spermiogramma e spermiocultura (per l’uomo). Se questi esami non fossero sufficienti a stabilire le cause dell’infertilità, il medico prescrive indagini più approfondite, come isterosalpingografia, ecoisterosonografia e isteroscopia nella donna (servono a valutare lo stato di salute di utero e tube) e test di vitalità e di frammentazione del Dna degli spermatozoi per l’uomo.
Quando ricorrere alla Pma A seconda dell’esito delle analisi, i medici decidono se l’infertilità deve essere trattata o meno con la Pma. Se non nella donna non funziona l’ovulazione a causa di uno squilibrio ormonale connesso al peso, per esempio, in molti casi bassa tornare al peso forma, o intervenire con terapie farmacologiche di stimolazione ovarica. Per problemi anatomici è possibile ricorrere a soluzioni chirurgiche (per esempio in casi di criptorchidismo, cioè mancata discesa di testicoli nello scroto, o varicocele, cioè dilatazione delle vene del testicolo). Quando, invece, il concepimento spontaneo è impossibile o estremamente remoto e gli interventi farmacologici o chirurgici sono inadeguati, è necessario ricorrere alla Pma. “Ad esempio”, spiega ancora l’Istituto Superiore di Sanità, “una donna con le tube chiuse o danneggiate in modo irreparabile o un uomo con valori spermatici troppo deficitari non possono sperare in un concepimento naturale né in un reale ripristino della capacità riproduttiva. Anche le coppie che non sono completamente sterili ma che non riescono a concepire spontaneamente dopo due anni, dopo aver effettuato i dovuti accertamenti, sono candidate ideali per la Pma”. È a questo punto necessario individuare la tecnica più idonea per la particolare coppia e il particolare problema.
Le tecniche Le tecniche di Pma sono classificate sostanzialmente in tre livelli. Fanno parte del primo livello le procedure meno complesse, tra cui l’inseminazione semplice, che consiste nell’inserimento della cavità uterina del liquido seminale che può essere fresco o scongelato (è la cosiddetta intra-uterine-insemination, o Iua).
Se l’infertilità da affrontare è più grave, si può ricorrere alle tecniche di secondo livello, più complesse e invasive, che differiscono tra loro soprattutto per le modalità di fecondazione. Una delle più utilizzate è la Fivet (fertilizzazione in vitro con trasferimento di embrioni): tre degli ovociti prelevati vengono posti su una piastra nella quale si versa una goccia di liquido seminale. Se gli ovociti si fecondano, gli embrioni ottenuti, fino a un massimo di tre, vengono trasferiti nell’utero: la tecnica è applicabile in casi di infertilità maschile non troppo grave (almeno un milione di spermatozoi per millilitro di liquido seminale). Al di sotto di questa soglia conviene invece ricorrere alla Icsi (Intracytoplasmatic sperm injection), in cui un singolo spermatozoo viene inserito direttamente con micropipetta nell’ovocita. La Icsi è una delle tecniche più diffuse, perché ha ottime percentuali di successo anche in casi di infertilità maschile grave o gravissima: anche se nel liquido seminale non sono presenti spermatozoi, è possibile usare quelli prelevati direttamente dai testicoli o dall’epididimo. Per migliorare l’attecchimento dell’embrione nell’utero, infine, si può praticare una sorta di breccia nella zona che circonda l’ovocita fecondato (il cosiddetto hatching assistito).
L’unica tecnica di terzo livello, che richiede l’anestesia totale della donna e prevedo la fecondazione in vivo, è ormai quasi inutilizzata. In sostanza, i gameti maschili e femminili vengono caricati in un catetere e trasferiti nelle tube della donna, dove avviene il concepimento. Sebbene questa tecnica abbia buone percentuali di successo (anche perché è quella che più si avvicina alle condizioni naturali) è fortemente invasiva e poco ripetibile e per questo praticata sempre meno.
Gravidanza Già dodici giorni dopo il trasferimento dell’embrione in utero, le donne che si sono sottoposte a Pma eseguono un dosaggio ormonale per confermare l’inizio della gravidanza. In caso di esito positivo, 6-7 settimane dopo si esegue la prima ecografia: se non insorgono complicazioni, il percorso di Pma si ritiene concluso con successo e la donna può continuare a farsi seguire dal proprio ginecologo di fiducia.
Dove farla Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono presenti 358 centri di Pma (di cui 135 pubblici o privati convenzionati con il Ssn), ben distribuiti su tutto il territorio nazionale, con un leggero squilibrio di centri pubblici in favore del nord. Il 45% dei centri applica tecniche di primo livello, mentre il restante 55% pratica tecniche di secondo e terzo livello. La lista completa dei centri italiani, con relative informazioni e contatti, è disponibile sul sito dell’Iss.
Fonte https://www.wired.it/scienza/medicina/2014/04/10/ecco-come-funziona-la-pma/
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