Il latte materno è l’alimento migliore che si possa offrire ai neonati. Il più completo. È ricco di calcio e proteine utili per la formazione e rafforzare le ossa. È una fonte importante di acidi grassi essenziali, indispensabili per la crescita del cervello e della facoltà cognitiva. E contiene importanti fattori tra cui le immunoglobuline e i prebiotici, che aiutano l’organismo in crescita a proteggersi da batteri, virus e altri agenti causa di malattie, e principi attivi che promuovono lo sviluppo del sistema digerente. Per questo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), come ricorda la Società Italiana di Nutrizione Pediatrica, raccomandal’allattamento al seno esclusivo per almeno i primi 6 mesi e poi il più a lungo possibile, anche fino ai due anni, secondo il desiderio di mamma e bambino.
Anche il Tavolo Tecnico sull’Allattamento del Ministero della Salute promuove l’allattamento al seno anche oltre il primo anno di vita per i benefici che apporta allo sviluppo cognitivo, affettivo e relazionale del bambino, alla sua salute (in termini di prevenzione dell’obesità) e a quella della mamma (perché più si allatta minore è il rischio di cancro al seno).
Ma se non si allatta, quale latte scegliere dopo i 12 mesi? Le visioni non sono unanimi
Se tutti concordano sul valore del latte materno, invece non c’è unanimità di pensiero, anche tra gli addetti ai lavori, su quale latte sia il più idoneo per sostituire quello materno(o quello in formula in caso di lattanti non allattati al seno) dopo i 12 mesi, se la mamma non allatta più. Nel secondo anno di vita, i piccoli di casa sono già svezzati e, chi più chi meno, partecipano ai pasti con il resto della famiglia: c’è chi mangia solo pappe preparate ad hoc per loro, e chi assaggia un po’ tutto quello che c’è a tavola. Il latte, in ogni caso, non è più il protagonista assoluto della loro dieta.
E se alcuni pediatri e nutrizionisti danno il via libera al latte vaccino, il latte di latteria che consumano anche mamma e papà, per altri invece è meglio ricorrere al cosiddetto latte di crescita, un prodotto pensato espressamente per i bambini da uno a tre anni.
È di questo parere, per esempio, Marcello Giovannini, presidente della Società Italiana di Nutrizione Pediatrica. “È importante ricordare – sottolinea - che il bambino non è un ‘piccolo adulto’ e quindi anche il latte deve essere a misura di bambino. Il latte vaccino, che ha un contenuto di proteine più alto del latte materno, è il meno indicato per i neonati e i lattanti e non deve essere dato prima dei 12 mesi. Ma un atteggiamento ancora più prudente suggerisce di rimandarne l’introduzione dopo i 24 mesi, anche perché è povero di ferro, nutriente indispensabile per lo sviluppo cerebrale e la crescita psicofisica”.
Rispetto al latte materno, il latte di mucca contiene infatti il triplo delle proteine mentre il ferro che fornisce è meno biodisponibile: cioè meno assorbibile dall’organismo. “Il latte di crescita, invece, essenzialmente è meno grasso, contiene meno proteine (il contenuto proteico si avvicina a quello del latte materno) ed è arricchito di alcuni micronutrienti, come ferro e zinco. Potrebbe, dunque, essere d’aiuto nella gestione dei bambini dal punto di vista nutrizionale e contribuire a ridurre il rischio di sovrappeso e obesità” dice Gian Vincenzo Zuccotti, direttore scientifico del Centro di ricerca nutrizionale dell'Università di Milano e della clinica pediatrica dell'Ospedale dei bambini Buzzi. Anche se questo non significa che un bambino che assume latte vaccino sarà certamente obeso, perché il latte è solo uno degli alimenti, e non il principale, della sua dieta.
Zuccotti, dunque, non mette al bando il latte di mucca dalla tavola dei bambini, ma è più propenso a ritardarne l’introduzione a favore del latte di crescita, che paragona a una macchina full optional “perché arricchito di componenti (come acidi grassi polinsaturi, oligosaccaridi, lattoferrina) funzionali allo sviluppo del bambino”.
Secondo Claudio Maffeis, direttore dell’Unità di diabetologia, nutrizione clinica e obesità dell'Università di Verona “compiuto l’anno, i bimbi possono assumere il latte di mucca, ma bisogna fare attenzione all’eccesso di apporto proteico”. In altre parole, secondo il professore di pediatria all’ateneo veronese, bisogna tenere d’occhio la quantità totale di proteine assunta nel corso della giornata, attraverso il latte e altri alimenti, quali cereali, carne, pesce, uova, formaggio.
“Sommando questi apporti, non si devono superare i limiti consigliati dai Larn (Livelli di Assunzione Raccomandata dei Nutrienti), che dai 12 ai 24 mesi passano da 1,2 a 1 grammo per chilo di peso corporeo al giorno. Consumando latte vaccino, che contiene circa 3,4 g di proteine ogni 100 ml, è più facile superarli. Infatti, un biberon di latte di 300 ml soddisfa da solo il bisogno proteico giornaliero di un bimbo che pesa 9 chili. Con il latte di crescita, il rischio di somministrare proteine in eccesso, fattore di rischio per lo sviluppo dell'eccesso di peso, è minore”.
“In pratica – continua Maffeis – per soddisfare i bisogni nutrizionali dei bambini e al contempo evitare eccessi si può usare sia il latte di crescita sia il latte vaccino, scelta che però richiede ai genitori di controllare ancora più attentamente l’apporto di nutrienti nei cinque pasti giornalieri (colazione, merenda, pranzo, merenda e cena)”.
Insomma, il latte di crescita è una scelta possibile, ma non indispensabile, se grazie a una dieta equilibrata si riesce a garantire il giusto apporto di nutrienti.
E proprio su questo fa leva l’Istituto federale per la valutazione del rischio (BfR) nel considerare superfluo il latte di crescita. Secondo l’ente tedesco che si occupa di sicurezza degli alimenti, infatti, nell’ambito di una dieta equilibrata, il latte speciale per l’infanzia non è necessario per soddisfare le esigenze nutrizionali dei bambini. Anzi, “questi prodotti, arricchiti in vitamine e minerali, potrebbero comportare un’assunzione eccessiva di alcuni micronutrienti (ferro e zinco, per esempio), a discapito di altri presenti in quantità inferiore rispetto al latte vaccino”. Il Bfr, in sostanza, raccomanda il consumo del latte di mucca, ma scremato, che contiene meno grassi rispetto a quello intero.
Dello stesso parere anche l’Associazione Culturale Pediatri (Acp), che ribadisce: l’uso dei latti di crescita non può e non deve essere lo strumento offerto in vista di una nutrizione più bilanciata. “Anzi – aggiunge il pediatra Sergio Conti Nibali, responsabile del gruppo nutrizione Acp - l’alto contenuto di zuccheri e il conseguente sapore dolce potrebbero influenzare le preferenze del bambino per i cibi dolci e favorire sovrappeso e obesità”. Insomma, tra gli zuccheri aggiunti (saccarosio, glucosio, fruttosio o maltosio), i carboidrati complessi e aromi, si finisce col vanificare il presunto beneficio di un latte meno proteico.
“Quindi se la mamma non allatta, dopo l’anno il bambino può assumere tranquillamente latte vaccino fresco intero” perché rispetto all’adulto ha maggior bisogno di grassi per chilo di peso corporeo. “Del resto - continua Conti Nibali - anche l’Agenzia europea per la sicurezza alimentare (Efsa) ha ribadito che l’uso dei cosiddetti latti di crescita non apporta alcun valore aggiunto rispetto a una dieta bilanciata”. Come si legge infatti in una nota, “gli esperti scientifici dell’Efsa non sono riusciti a individuare “alcun ruolo unico” degli alimenti per la prima infanzia (comunemente denominati “latti di crescita”) nella dieta dei bambini da uno a tre anni, concludendo che non sono più efficaci degli altri alimenti nell’apportare sostanze nutritive”.
Hanno anche evidenziato che i bambini UE di questa fascia d’età hanno un elevato apporto di proteine, sale e potassio, ma un basso apporto di fibre alimentari: tale però da non destare preoccupazione. Assumono invece a sufficienza tutti gli altri micronutrienti utili per il benessere dell’organismo, con l’eccezione del ferro e dello iodio, ma vere e proprie carenze si riscontrano solo in alcuni paesi dell’Est europeo.
E allora quale latte comprare? E' un non problema
Quindi che fare? Se la mamma ha smesso di allattare che cosa portare a casa dagli scaffali del supermercato? A dirimere la questione ci pensa Riccardo Davanzo, neonatologo dell’Ospedale pediatrico Burlo Garofolo di Trieste e presidente del Tavolo Tecnico ministeriale per la promozione dell’allattamento al seno.
“Dopo l’anno, la scelta del latte è un non problema. Mentre ricerche scientifiche hanno ormai ampiamente dimostrato che il latte materno è un concentrato di fattori nutritivi e che è bene promuovere l’allattamento al seno almeno fino al 12esimo mese, perché riduce il rischio obesità, il rischio di morte in culla e lo sviluppo di allergie e altre malattie, non ci sono altrettanti studi per sostenere che dopo sia meglio il latte di mucca o quello di crescita”.
Il latte di crescita soddisfa criteri nutrizionali rispettabili e ha una buona palabilità, ma non è un must. Per contro il latte vaccino è più grasso e più ricco di proteine, ma nel secondo anno di vita il bambino beve molto meno latte. “Non creiamo dunque un castello dottrinale sulla scelta tra un latte e l’altro. Io personalmente non ho mai prescritto il latte di crescita, ma se i genitori optano per questa scelta non dico che fanno male. Così come non si devono fasciare la testa se i propri figli il latte lo rifiutano: non c’è nulla nel latte che non si possa trovare anche in altri alimenti”.
Ecco perché, secondo Davanzo, mentre più fronti si spendono per promuovere l’allattamento materno, perché i benefici che ne derivano per mamma e bambino sono ben documentati da dati scientifici, nessun ministero della Salute, né in Italia né all’estero, si scompone a giudicare i latti di crescita.
E su questo concordano anche Zuccotti e Maffeis: “l’unico latte necessario è quello materno, alimento essenziale che deve essere incoraggiato il più a lungo possibile”.
Fonte http://www.nostrofiglio.it/bambino/bambino-1-3-anni/alimentazione/latte-ai-bambini-dopo-i-12-mesi
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