venerdì 30 settembre 2016

Fertilità e infertilità, quello che non si è detto

       Dopo le polemiche, l’indignazione, l'ironia scatenate sui social media - con una risonanza tale da guadagnarsi l’attenzione del New York Times, eccoci infine al 22 settembre, il famigerato fertilityday.

       Nel polverone che è seguito alla campagna ministeriale, suonata offensiva o inopportuna per molte e molti (e ora rivista e corretta), c’è stata anche molta confusione: argomenti di natura medica e di salute pubblica o individuale si sono mischiati con questioni prettamente sociali e politiche. Proviamo a fare chiarezza.

"NON VOGLIAMO" OPPURE "NON POSSIAMO" FARE FIGLI?
       Il presupposto dell'iniziativa è che in Italia si assiste a un calo dellafertilità. Ma quelli che da noi, e in altri Paesi occidentali, sono in caduta libera sono

#fecondità, intesa come propensione a fare figli, e
#natalità, col risultato che siamo uno dei paesi con il tasso più basso al mondo di nuovi nati, 1,37 per donna (la media europea è 1,6).

       Questo è ciò che in inglese si indica con fertility: «Ma in italiano è differente: fertilità è la capacità di avere figli, l’opposto della sterilità”, spiega Maria Castiglioni, docente di demografia all’Università di Padova. Certo, essere fertili è uno degli aspetti sottostanti della fecondità, ma i due concetti non coincidono per i demografi, e neppure per il senso comune: non fare figli non significa necessariamente non essere capaci di farli. Significa (anche) che non ci sono le condizioni, economiche e sociali, per pensare di metterli al mondo, come molti hanno sottolineato.


#fertilityday, fertility day 2016, fertilità, fecondità, natalità
       Sulla falsariga delle cartoline della campagna #fertilityday, ecco una delle tante risposte sui social network.

COME SI CALCOLA LA FERTILITÀ?
       «Non è facile studiarla e misurarla», aggiunge Castiglioni, «innanzi tutto perché non viene considerata in astratto, ma su coppie concrete, ciascuna con il proprio modo di vivere la sessualità. Poi perché, con la diffusione della contraccezione, è difficile dire quanto le possibilità di concepire siano le stesse, superiori o inferiori rispetto al passato.»
        
       La maggior parte dei dati sulla fertilità deriva da epoche precedenti alla nostra. Per stimare il cosiddetto tasso naturale di fertilità, i demografi prendono di solito in considerazione popolazioni presso cui non veniva usata alcuna forma di controllo delle nascite (criterio peraltro contestato da alcuni storici). In quelle condizioni - questo è il ragionamento - se la coppia era fertile, i figli arrivavano subito dopo il matrimonio.

       La serie di dati più nota, sulla popolazione che viveva nelle campagne francesi tra la fine del Seicento e i primi decenni dell’Ottocento, ha trovato un tasso di infertilità di circa il 5 per cento.
        
       Altro modo di studiare la questione è prendere dati dalle popolazioni moderne che per scelta non fanno uso di contraccettivi, per esempio glihutteriti, comunità protestanti che vivono in maniera tradizionale, un po’ come i più noti amish. In queste popolazioni si stima che la sterilità primaria, cioè di una coppia incapace di avere figli fin dall’inizio della vita riproduttiva, sia di nuovo circa il 5 per cento.

SIAMO MENO FERTILI CHE IN PASSATO?
       Rispondendo alle critiche, il ministro della salute Beatrice Lorenzin ha affermato che la campagna non intendeva essere una “chiamata alla riproduzione”, ma un invito a discutere di prevenzione della fertilità, dato che il 15-20 per cento delle coppie nei paesi industrializzati - una su cinque - secondo le statistiche dell’Organizzazione mondiale della sanità, ha problemi nel concepimento di figli.

       Ma davvero la fertilità, intesa come capacità di fare figli, quando lo si voglia, è diminuita rispetto all’epoca dei nostri nonni o bisnonni? «I pochi dati affidabili a disposizione non danno l’impressione che in assoluto la fertilità sia peggiorata» afferma Castiglioni. Per esempio, secondo l’ultimo rapporto Sessualità e riproduzione nell’Italia contemporanea, dell’Associazione italiana per gli studi di popolazione, le coppie sterili in senso stretto sono ancora più o meno il 5 per cento del totale, mentre superano il 10 per cento dopo che la donna è oltre i 35 anni, e il 25 per cento se la donna è ultraquarantenne. Il 15-20 per cento è quindi complessivo, mentre la suddivisione per classi di età dà un'immagine più sfumata (e probabilmente anche meno "drammatica").


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Fonte http://www.focus.it/scienza/salute/fertilita-e-infertilita-quello-che-non-si-e-detto

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