venerdì 23 settembre 2016

Ho deciso di fare la fecondazione assistita

      Non sempre ciò che desideriamo si realizza, spesso bisogna arrendersi anche dopo aver lottato. Ma, ho sempre pensato che, gettare la spugna ancor prima di averle tentate tutte, è sciocco. Questo vale ancor di più se la ragione per cui si intraprende una battaglia significa per te la felicità assoluta.
      Per me felicità assoluta è il completamento della mia famiglia, è regalare a me e mio marito la gioia di un figlio. Così dopo 3 anni di tentativi falliti, la fecondazione assistita resta l’unica via da percorrere. Quando io e mio marito abbiamo deciso di tentare non sapevamo a cosa stavamo andando incontro. Mossi dal desiderio e con un pizzico di incoscienza (che a volte ci vuole), ci siamo buttati in questa nuova avventura.
Inizia l'avventura delal fecondazione assistita
      Non avevo idea degli esami ai quali mi sarei dovuta sottoporre: una corsa contro il tempo se volevo assicurarmi l’intervento a giugno. Ho cercato di orientarmi tra strutture pubbliche e ciniche private, dove possibile provavo a risparmiare.
      La mia prima isteroscopia in un ospedale pubblico è stata traumatica: l’apparecchio troppo vecchio aveva una sonda di uno spessore imbarazzante, parte dell’attrezzatura era rotta e rattoppata alla meglio con dello scotch, nessuna anestesia. “Solo la forza di una donna può riuscire a sopportare certe cose” pensavo mentre ero sdraiata sul lettino con gli occhi pieni di lacrime. Poi la doccia fredda: scoprivo solo allora, dopo anni di controlli tra i più accurati, che avevo un problemino all’utero e un polipo da bruciare. Nulla di troppo invalidante ma, prima di ricorrere alla fecondazione, era obbligatorio fare un salto da un ginecologo per un intervento finalizzato a rendere il mio utero pronto per accogliere un bel bambino.
fecondazione assistitaL'operazione imprevista
      Non mi preoccupava l’operazione - in certi momenti sei accecata dal desiderio - ciò che mi rattristava di più era il dover rimandare la fecondazione di un paio di mesi. E di quei due mesi ho un ricordo vago, provo con la mente a ripercorrerli, per cercare di metabolizzare questo lungo processo che oggi fa di me una persona diversa. Mi sembravano interminabili eppure ora sembrano essere volati.
      Ricordo che archiviata l’operazione all’utero, sono ricominciate le analisi, l’angoscia di conoscere i risultati, i conti a fine mese per le spese sostenute.
Il momento delle analisi
      Arriva finalmente l’ora di iniziare la terapia: iniezioni, pillole, monitoraggi continui.
      È stato uno dei momenti più complicati della mia vita, ero nervosa, tesa, negativa: il mio corpo gonfio di ormoni non reagiva alle cure come avrebbe dovuto e le stimolazioni avevano fatto crescere solo 5 ovociti. Pochi, pochissimi per una donna di 31 anni. Per la mia dottoressa era opportuno rimandare e ricominciare tutto il mese successivo.
      Non ci potevo credere, erano stati giorni intensi, snervanti, al limite della sopportazione. Avevo seguito il protocollo alla perfezione, avevo speso tutti i miei risparmi per sentirmi dire che forse era il caso di far slittare ancora l’intervento.
      Ci abbiamo pensato tanto alla possibilità di riprovare più avanti. Per me però non sarebbe stato possibile, dovevo ricominciare a lavorare e certo non mi sarei potuta assentare ancora.
      Non c’era tempo da perdere, alla fine - pensavo dentro di me - in natura basta un solo ovulo per restare incinta quindi, su 5 forse, almeno uno, poteva essere quello giusto.
      Sentivo che era giusto tentare, che tutta quella fatica non poteva essere stata vana, che era arrivato il momento di avere il coraggio di andare fino infondo.
Fonte http://www.donnamoderna.com/news/societa/fecondazione-assistita-esami-analisi

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