domenica 27 settembre 2015

Il bambino non mangia. Aiuto!

        Le mamme e i papà nell’esprimere le loro preoccupazioni riguardo i comportamenti alimentari dei propri bambini riferiscono di frequente: mio figlio fa i capricci! Non mangia niente!        Approfondendo il discorso dei genitori, può emergere, tuttavia, che, in realtà, il bimbo mangia, anche se non tutto quello che gli viene proposto. Il 'non mangia niente', quindi, denunciato da mamme e papà si riferisce, in realtà, solo ad alcuni piatti o alimenti.


        Che cosa si intende, allora, con “selettività alimentare”?         Alcuni bimbi fanno fatica a mangiare particolari cibi, di determinati colori o consistenze, o si rifiutano di assaggiare cibi nuovi, manifestando una certa rigidità nelle loro scelte alimentari. “É come se Braccio di Ferro si rifiutasse di mangiare gli spinaci!” e tutti gli alimenti di colore verde. 
        Ciò che si osserva, inoltre, è un effettivo “braccio di ferro” a tavola tra genitori e bambini, fatto di insistenze e rifiuti. La caparbietà del rifiuto dei piccoli, che si oppongono alla proposta di alimenti in precedenza accettati e mangiati volentieri e con gusto, spesso stupisce e preoccupa le mamme e i papà.         Sebbene questi comportamenti possano spaventare, la selettività non riguarda necessariamente situazioni patologiche: si tratta di quadri che potremmo definire di “bizzarria alimentare”, in cui i genitori vedono che il proprio bambino si comporta “normalmente”, tranne che nei momenti del pasto e nel rapporto con il cibo (ovvero sono assenti disturbi del sonno, del gioco, delle condotte evacuatorie e nell’ambiente familiare non sono presenti particolari problematiche). 
        Ciò che si osserva è che “l’insistenza genera sempre un certo grado di resistenza”: può crearsi, cioè, un circolo vizioso controproducente che crea un cortocircuito e può condurre a una forma di rifiuto caparbio o a un’apparente regressione.         In questi casi, la selettività dei cibi può attestare un malessere del mondo interiore del bambino e affinché tale comportamento possa assumere un significato che lo traduca, ad esempio, in una domanda, in un appello, è necessario che qualcuno lo ascolti e gli dia un senso.         É necessario, dunque, che gli adulti non lo considerino solo “un capriccio alimentare”.         Il bambino chiudendo la bocca e vietando l’accesso a ciò che l’altro propone e a ciò che dall’altro proviene, sta provando a segnalare che il vero motivo del suo pianto e del suo rifiuto non è la fame, ma il dubbio sull’amore: “Che posto ho io nel tuo cuore?”. Attraverso il “no” ad alcuni alimenti e rifiutandosi di mangiare, il bambino desidera che l’altro lo ascolti, lo accolga e lo riconosca non solo come un oggetto da nutrire, ma come soggetto.         Il rifiuto del cibo può manifestarsi anche all’interno di quadri più generali in cui sono presenti anche altre condotte oppositive, come per esempio, difficoltà a stare seduti a tavola e ad accettare la tripartizione del pasto, oppure fatica ad adattarsi all’uso corretto delle posate oppure, ancora, improvvise predilezioni per un certo tipo di cibo a discapito di quelli proposti.         In tali casi, potrebbe trattarsi di una strategia del bambino che cerca di modificare una politica educativa familiare eccessivamente rigida nella quale non si sente riconosciuto. 
     
  Queste condotte, quindi, possono costituire un’espressione transitoria di un malessere, di un’impossibilità a fare, a dire, a capire o ad affrontare uno specifico momento evolutivo. É importante cercare di contestualizzare la protesta alimentare, che riguarda il rapporto del bambino con le regole e le aspettative dei genitori, per poter interpretare e dare un senso al rifiuto all’interno della storia di quel bambino, di quei genitori e di quella famiglia in particolare. Dunque come’è possibile cercare di alleviare l’atmosfera familiare e far sì che il momento del pasto divenga meno teso? 
        Ridimensionando il braccio di ferro a tavola a volte è possibile che il nodo si sciolga. I bambini fin da piccoli devono poter essere e sentirsi accolti nella loro particolarità e devono poter esprimere i loro gusti alimentari così come poter manifestare transitori periodi di inappetenza, senza incontrare negli adulti insistenze controproducenti, ma trovando nelle mamme e nei papà interlocutori disposti ad accogliere e tradurre, oltre che assegnare un significato ed uno statuto specifico ed importante, ai comportamenti di ciascuno

Fonte http://www.bambinopoli.it/eta-prescolare/il-bambino-non-mangia-aiuto/2651/

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