domenica 23 dicembre 2018

Mamma dopo un tumore: le strategie possibili per riuscirci

Storia di Silvia e della sua maternità dopo un cancro del seno
maternita_dopo_tumore       Mi tesorito: Silvia (47 anni, madrilena) chiama così sua figlia Valentina di due anni e mezzo: “Il mio piccolo tesoro”. Nella sua tenerezza non c'è di mezzo solo l'amore materno, ma anche la consapevolezza di essere riuscita ad avverare un sogno che, per come si erano messe le cose, avrebbe anche potuto non esaudire mai.

Quando aveva 38 anni, infatti, a Silvia è stato diagnosticato un tumore al seno.

       “Il medico disse subito che non sarei morta, ma che ci sarebbero stati anni di terapie: prima l'intervento, poi la chemioterapia e la radioterapia, infine i farmaci di mantenimento”, ricorda. Per fortuna, il medico le disse subito anche un'altra cosa, e cioè che se in futuro desiderava provare ad avere figli avrebbe dovuto avviare subito un percorso di preservazione della sua fertilità. Le terapie alle quale doveva sottoporsi, infatti, le avrebbero salvato la vita, ma avrebbero anche potuto compromettere per sempre le sue possibilità di diventare mamma.

       Così, Silvia ha scelto di congelare i suoi ovociti e per sicurezza anche il tessuto ovarico, affidandosi agli specialisti dell'Ivi, Istituto valenciano di infertilità, il gruppo privato di riproduzione assistita più grande al mondo, che proprio in quegli anni cominciava i suoi programmi di crioconservazione di ovociti, offrendoli gratuitamente alle donne colpite da tumore.

Quando la diagnosi è under 40
       Il caso di Silvia non è isolato. In Italia ogni anno sono circa 5000 le donne con meno di 40 anni che ricevono una diagnosi di tumore: in genere tumore del seno, secondo i dati 2018 dell'Associazione italiana registri tumori, ma anche melanoma e tumori della tiroide, della cervice uterina e del colon retto. La buona notizia è che grazie agli avanzamenti nella cura si stima che, in tutto il mondo, il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi sia oggi intorno al 65% e che in alcuni casi, come per il tumore del seno, superi l'85%.

       Significa che, fatti i conti con la malattia, può rinascere il desiderio di diventare mamma, magari accantonato per il periodo della terapia. Il problema è che praticamente tutti i trattamenti antitumorali – chirurgia, radioterapia, chemioterapia, ormonoterapia – possono compromettere la fertilità. In modo temporaneo o permanente. “Proprio nel caso di cancro del seno, il più diffuso tra le donne in età fertile, è molto elevata l'associazione tra trattamenti e menopausa precoce” conferma l'oncologo Giacomo Corrado del Policlinico Gemelli di Roma.

       Per fortuna, oggi esistono varie strategie che permettono di preservare le funzioni essenziali per la fertilità, da mettere in campo prima di cominciare i trattamenti antitumorali.

       Strategie sulle quali si è fatto il punto nei giorni scorsi a Milano, in un incontro organizzato proprio da IVI al quale hanno partecipato anche l'oncologo Corrado,  la vice presidente dell'Associazione italiana malati di cancro (Aimac) Elisabetta Iannelli e la responsabile del Registro di procreazione medicalmente assistita dell'Istituto superiore di sanità, Giulia Scaravelli. La quale ha sottolineato con forza l'importanza di una cultura della preservazione della fertilità tra le pazienti ma anche e sopratutto tra i medici, non sempre aggiornati sulle possibilità offerte dagli avanzamenti tecnici e sui risultati più recenti della ricerca.

       D'altra parte già nel 2006 l'Associazione americana di oncologia clinica evidenziava la necessità di informare le pazienti più giovani della possibilità di preservare la propria fertilità, perché l'infertilità che può conseguire ai trattamenti può essere associata a forti disagi psicosociali.

Come preservare la fertilità
Картинки по запросу Come preservare la fertilità       Sono oggi disponibili vari approcci per cercare di mettere il più possibile al riparo la fertilità prima di affrontare i trattamenti antitumorali. Vediamoli.

Protezione farmacologica delle ovaie
       È una strategia che non richiede interventi chirurgici ed è stata messa a punto soprattutto grazie al lavoro del gruppo di Lucia Del Mastro dell'Ospedale San Martino-Istituto per la ricerca sul cancro di Genova, rappresentando dunque un fiore all'occhiello della ricerca clinica italiana.

       Si basa sulla somministrazione di farmaci (ormoni sintetici analoghi di ormoni sessuali umani) che mettono a riposo le cellule ovariche destinate alla riproduzione, limitando il danno determinato in particolare dalla chemioterapia. Il trattamento è a carico del Servizio sanitario nazionale e al momento la sua efficacia è dimostrata  soprattutto per il tumore del seno, mentre mancano ancora dati definitivi per altre patologie.

       “L'utilizzo di questi farmaci non preclude comunque la possibilità di effettuare contemporaneamente anche il congelamento degli ovociti” precisa Corrado.

Congelamento degli ovociti
       Si tratta di una tecnica molto simile a quella utilizzata nell'ambito di procedure di procreazione medicalmente assistita e prevede stimolazione ovarica, prelievo degli ovociti e successivo congelamento. Ci sono solo alcune differenze nelle procedure di stimolazione, per evitare l'eventuale rischio di ripresa della malattia, che è stato a lungo paventato in alcune circostanze.

        Gli ovociti congelati potranno essere utilizzati in futuro, una volta terminati i trattamenti antitumorali, nell'ambito di tecniche di fecondazione assistita, in particolare la Icsi.


Congelamento della corteccia ovarica
       In questo caso non si mettono in freezer singoli ovociti ma frammenti di tessuto ovarico, che vengono prelevati con un piccolo intervento in laparoscopia e potranno in seguito essere reimpiantati nell'organismo materno. Qui, se tutto va bene, riprenderanno a funzionare producendo sia ovociti sia ormoni femminili e consentendo la possibilità di una gravidanza spontanea, senza ricorso a tecniche di Pma.

       “Nell'esperienza di IVI il congelamento della corteccia ovarica è in generale meno efficiente del congelamento di ovociti, ma ci sono situazioni nelle quali è comunque la strategia più indicata” spiega il ginecologo Antonio Pellicer, presidente di IVI. Per esempio, il congelamento di tessuto ovarico è consigliato se non c'è alcun tempo da perdere prima di cominciare il trattamento antitumorale: può infatti essere effettuato subito dopo la diagnosi della malattia, mentre per il congelamento degli ovociti occorre in genere un tempo tecnico di un paio di settimane. In molti casi è possibile aspettare, in altri no.

Картинки по запросу Come preservare la fertilità        “La conservazione di corteccia ovarica è inoltre l'unica tecnica possibile nel caso di pazienti giovanissime, che non abbiano ancora raggiunto la pubertà, e potrebbe essere indicata anche quando la riserva ovarica non è molto buona” continua Pellicer. Precisando che spesso è comunque possibile percorrere entrambe le strade, cioè sia il congelamento della corteccia ovarica sia quello degli ovociti. “È molto importante la collaborazione e il confronto tra ginecologo ed oncologo per suggerire alla donna la strategia più opportuna nel suo caso”.

Trasposizione ovarica

         Si tratta di un intervento chirurgico che può essere proposto quando la donna deve sottoporsi a radioterapia della zona pelvica. Consiste nello spostamento delle ovaie il più lontano possibile dal campo di irradiazione, in modo da proteggerle. Le indicazioni per questa tecnica dipendono molto dal tipo di tumore da trattare e dal tipo di radioterapia che deve essere effettuata.

Fonte https://www.nostrofiglio.it/concepimento/infertilita/mamma-dopo-tumore-strategie-possibili

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