Per rispondere correttamente alla sua domanda sulla "prevenzione" delle anomalie congenite sono costretto ad essere lungo e a cominciare con due premesse. La prima sul concetto di prevenzione, l'altra sul rapporto medico-paziente.
La prevenzione si basa su due strategie:
Le tecniche di diagnosi prenatale purtroppo non rientrano in nessuna di queste strategie, poiché permettono di identificare le malattie non tanto nella fase pre-sintomatica, quanto in quella prenatale. La legge consente l'interruzione della gravidanza alle gestanti che non sopporterebbero il peso psicologico di avere un bambino con una grave anomalia, si tratta quindi di una scelta molto ponderata e spesso sofferta.
Veniamo al secondo concetto generale: il rapporto tra medico e paziente. Il medico ha due compiti:
Queste due premesse chiariscono dunque che la diagnosi prenatale non è una forma di "prevenzione" e non può essere "consigliata" da nessuno. È una scelta di ogni singola gestante fatta sulle proprie caratteristiche, la propria storia, l'eventuale problema del feto, i rischi legati alla tecnica diagnostica. Ecco che possiamo entrare in alcuni dettagli. Le principali tecniche di diagnosi prenatale sono tre: ecografia, amniocentesi e villocentesi (tralascerò la cordocentesi che ha indicazioni del tutto particolari).
L'ecografia non è invasiva e non comporta rischi per la madre o per il feto. Utilizzata per seguire in modo più attento una gravidanza (con qualche dubbio sulla sua efficacia nelle gravidanze del tutto normali) consente di verificare l'esistenza di gravi malformazioni sin dalla 16 - 20 settimana di gestazione.
La sua attendibilità non è perfetta, soprattutto per quanto riguarda le malformazioni meno gravi e quando viene effettuata di routine, cioè non mirata e non guidata da un precedente problema. L'ecografia non è comunque in grado né di determinare lo stato di salute del feto nel suo complesso né di diagnosticare le anomalie congenite di carattere funzionale (es.: malattie metaboliche, sordità, danni cerebrali).
L'amniocentesi è una tecnica invasiva che consiste nel prelevare circa 20 ml di liquido amniotico (che circonda il feto) intorno alla 16° settimana di gestazione. Consente di eseguire un'analisi cromosomica delle cellule fetali che galleggiano nel liquido amniotico, e, in determinati casi, di eseguire speciali analisi per malattie biochimiche o infettive.
La risposta dell'esame è disponibile dopo 2-3 settimane. Purtroppo l'amniocentesi determina un aborto in un caso su 100-200. Per questo motivo non può essere eseguita di routine come l'ecografia, ma è una scelta di ogni singola gestante, libera e responsabile, aiutata ed informata ampiamente dal suo medico di fiducia.
Le anomalie fetali che di solito vengono ricercate con l'amniocentesi sono le malattie cromosomiche che complessivamente colpiscono 1 neonato su 555 (0,18%) e quindi rappresentano soltanto il 6% di tutte le anomalie congenite evidenti in epoca neonatale (nel loro insieme colpiscono il 3% dei neonati).
L'anomalia cromosomica più frequente è la sindrome di Down o trisomia 21, che da sola si presenta in un neonato su 625 (1,6%). Per ogni gestante si può stabilire a priori quale possa essere il rischio di avere un bambino con sindrome di Down.
Si può utilizzare l'età materna che predice rischi variabili tra 1 su 1.660 (a 20 anni di età) e 1 su 40 (a 44 anni di età), oppure si può utilizzare un esame del sangue che si chiama "tritest", eseguito alla 15 settimana di gravidanza, e che è in grado di predire rischi variabili in un intervallo molto più ampio (all'incirca tra 1 su 10.000 e 1 su 10) e soprattutto basati non solo sulle caratteristiche della madre, ma anche di quelle del feto.
Infine la villocentesi. Si esegue sui villi della placenta a 10-12 settimane di gestazione e fornisce una risposta entro pochi giorni. La sua più precoce esecuzione è gravata da un rischio di aborto leggermente più elevato che nell'amniocentesi (1 su 50-100 casi) e da un rischio, seppure minimo, di anomalie delle dita della mano.
È l'esame migliore per analizzare il DNA in quelle specifiche malattie genetiche ereditarie in cui questo fornisce indicazioni, ma per l'analisi dei cromosomi può dare risultati poco chiari che richiedono l'esecuzione di un'amniocentesi in un secondo momento.
Per tutti questi motivi la villocentesi viene presa in considerazione da quelle gestanti che considerano basso il rischio di un aborto indotto dal prelievo, elevato il rischio di avere un bambino con una certa malattia, elevata la probabilità che il feto sia affetto da quella malattia e non accettano l'idea di un eventuale aborto nel secondo trimestre. Anche questa quindi una scelta molto personale.
Spero di aver risposto esaurientemente alla sua domanda, ma soprattutto spero di aver fatto capire la complessità di un problema che talvolta sembra semplice e banale, e che non può essere demandato alla decisione o al consiglio di nessuno, neppure del proprio medico di fiducia, che in un campo come questo ha solo il compito di "informare", nel modo più ampio e dettagliato possibile. Un compito senza dubbio delicato ed oneroso, e che in altri paesi è affidato a personale idoneo che affianca il medico.
Fonte http://www.mammaepapa.it/gravidanza/p.asp?nfile=amniocentesi_villocentesi
La prevenzione si basa su due strategie:
- quella primaria, che consiste nell'efficace controllo della cause di una malattia (es.: vaccinazioni, astensione dal fumo);
- quella secondaria, che consiste nella identificazione in fase pre-sintomatica di una malattia e inizio di una terapia efficace (es.: mammografia, dosaggio degli ormoni tiroidei nei neonati).
Le tecniche di diagnosi prenatale purtroppo non rientrano in nessuna di queste strategie, poiché permettono di identificare le malattie non tanto nella fase pre-sintomatica, quanto in quella prenatale. La legge consente l'interruzione della gravidanza alle gestanti che non sopporterebbero il peso psicologico di avere un bambino con una grave anomalia, si tratta quindi di una scelta molto ponderata e spesso sofferta.
Veniamo al secondo concetto generale: il rapporto tra medico e paziente. Il medico ha due compiti:
- "consigliare" un intervento terapeutico (es.: terapia antibiotica per una polmonite batterica, intervento chirurgico per un'appendicite) o preventivo (es.: le vaccinazioni, multivitaminici con acido folico prima del concepimento, astensione dal fumo) se è realmente efficace per migliorare o proteggere lo stato di salute del proprio assistito;
- "informare" su quegli interventi che pur non essendo in grado di migliorare o proteggere lo stato di salute dei propri assistiti (es.: terapie di dubbia efficacia, esami diagnostici che non permettono di instaurare precise terapie, diagnosi prenatale) possono essere da essi utilizzati per motivi diversi che non riguardano strettamente la salute, ma per scegliere responsabilmente un futuro più consono alle proprie caratteristiche. Anche l'attività informativa non è facoltativa, ma il medico non solo informa ma si accerta che l'informazione sia stata ben compresa.
Queste due premesse chiariscono dunque che la diagnosi prenatale non è una forma di "prevenzione" e non può essere "consigliata" da nessuno. È una scelta di ogni singola gestante fatta sulle proprie caratteristiche, la propria storia, l'eventuale problema del feto, i rischi legati alla tecnica diagnostica. Ecco che possiamo entrare in alcuni dettagli. Le principali tecniche di diagnosi prenatale sono tre: ecografia, amniocentesi e villocentesi (tralascerò la cordocentesi che ha indicazioni del tutto particolari).
L'ecografia non è invasiva e non comporta rischi per la madre o per il feto. Utilizzata per seguire in modo più attento una gravidanza (con qualche dubbio sulla sua efficacia nelle gravidanze del tutto normali) consente di verificare l'esistenza di gravi malformazioni sin dalla 16 - 20 settimana di gestazione.
La sua attendibilità non è perfetta, soprattutto per quanto riguarda le malformazioni meno gravi e quando viene effettuata di routine, cioè non mirata e non guidata da un precedente problema. L'ecografia non è comunque in grado né di determinare lo stato di salute del feto nel suo complesso né di diagnosticare le anomalie congenite di carattere funzionale (es.: malattie metaboliche, sordità, danni cerebrali).
L'amniocentesi è una tecnica invasiva che consiste nel prelevare circa 20 ml di liquido amniotico (che circonda il feto) intorno alla 16° settimana di gestazione. Consente di eseguire un'analisi cromosomica delle cellule fetali che galleggiano nel liquido amniotico, e, in determinati casi, di eseguire speciali analisi per malattie biochimiche o infettive.
La risposta dell'esame è disponibile dopo 2-3 settimane. Purtroppo l'amniocentesi determina un aborto in un caso su 100-200. Per questo motivo non può essere eseguita di routine come l'ecografia, ma è una scelta di ogni singola gestante, libera e responsabile, aiutata ed informata ampiamente dal suo medico di fiducia.
Le anomalie fetali che di solito vengono ricercate con l'amniocentesi sono le malattie cromosomiche che complessivamente colpiscono 1 neonato su 555 (0,18%) e quindi rappresentano soltanto il 6% di tutte le anomalie congenite evidenti in epoca neonatale (nel loro insieme colpiscono il 3% dei neonati).
L'anomalia cromosomica più frequente è la sindrome di Down o trisomia 21, che da sola si presenta in un neonato su 625 (1,6%). Per ogni gestante si può stabilire a priori quale possa essere il rischio di avere un bambino con sindrome di Down.
Si può utilizzare l'età materna che predice rischi variabili tra 1 su 1.660 (a 20 anni di età) e 1 su 40 (a 44 anni di età), oppure si può utilizzare un esame del sangue che si chiama "tritest", eseguito alla 15 settimana di gravidanza, e che è in grado di predire rischi variabili in un intervallo molto più ampio (all'incirca tra 1 su 10.000 e 1 su 10) e soprattutto basati non solo sulle caratteristiche della madre, ma anche di quelle del feto.
Infine la villocentesi. Si esegue sui villi della placenta a 10-12 settimane di gestazione e fornisce una risposta entro pochi giorni. La sua più precoce esecuzione è gravata da un rischio di aborto leggermente più elevato che nell'amniocentesi (1 su 50-100 casi) e da un rischio, seppure minimo, di anomalie delle dita della mano.
È l'esame migliore per analizzare il DNA in quelle specifiche malattie genetiche ereditarie in cui questo fornisce indicazioni, ma per l'analisi dei cromosomi può dare risultati poco chiari che richiedono l'esecuzione di un'amniocentesi in un secondo momento.
Per tutti questi motivi la villocentesi viene presa in considerazione da quelle gestanti che considerano basso il rischio di un aborto indotto dal prelievo, elevato il rischio di avere un bambino con una certa malattia, elevata la probabilità che il feto sia affetto da quella malattia e non accettano l'idea di un eventuale aborto nel secondo trimestre. Anche questa quindi una scelta molto personale.
Spero di aver risposto esaurientemente alla sua domanda, ma soprattutto spero di aver fatto capire la complessità di un problema che talvolta sembra semplice e banale, e che non può essere demandato alla decisione o al consiglio di nessuno, neppure del proprio medico di fiducia, che in un campo come questo ha solo il compito di "informare", nel modo più ampio e dettagliato possibile. Un compito senza dubbio delicato ed oneroso, e che in altri paesi è affidato a personale idoneo che affianca il medico.
Fonte http://www.mammaepapa.it/gravidanza/p.asp?nfile=amniocentesi_villocentesi
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