Prevedere l’esito di un trattamento di Pma è praticamente impossibile. E, falliti i primi tentativi, è difficile per una coppia decidere se continuare o meno. C’è però chi, attraverso modelli matematici, sta cercando di mettere a punto uno strumento prognostico personalizzato per stabilire la probabilità di gravidanza in base ai dati raccolti prima e durante il primo ciclo, supportando medici e pazienti nel difficile percorso della procreazione assistita. Tra questi, i ricercatori della Stanford University (California), guidati da Prajna Banerjee e Mylene Yao, sono ora arrivati a un modello che sembra promettere un’accuratezza mille volte maggiore degli attuali sistemi, basati essenzialmente sull’età della donna.
Per lo studio, pubblicato su Proceedings of the National Academy of Sciences (PnaS), sono stati utilizzati i dati su oltre 1.600 primi cicli di fertilizzazione in vitro (IVF). Il modello predittivo (boosted tree analisys) sviluppato da Banerjee e colleghi tiene conto di 52 caratteristiche cliniche di ciascuna coppia, come i livelli ormonali, il numero di embrioni formatisi rispetto agli ovociti e agli spermatozoi, la velocità di sviluppo, oltre alla classica età della donna e al suo indice di massa corporea. Grazie al modello, in pratica, i ricercatori ottengono un profilo della coppia molto dettagliato (deep phenotyping).
Il fattore più importante sembra essere la velocità di sviluppo dell’embrione. Statisticamente infatti, questa caratteristica appare influire quatto volte di più dell’età materna. “Sebbene l’età della donna sia indicativa della diminuzione della fertilità, la sua importanza relativa nello stabilire la probabilità di successo diminuisce di molto quando si hanno a disposizione i dati sugli embrioni”, ha commentato Yao. Per ora il modello è stato testato e validato con un secondo gruppo di dati riguardanti 600 cicli di IVF.
Fonte: Deep phenotyping to predict live birth outcomes in in vitro fertilization, Proceedings of the National Academy of Sciences, doi: 10.1073/pnas.1002296107,
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