Di recente il dibattito si è arricchito, o, se si vuole, si è complicato perché sono stati posti, in sede legale, dei quesiti sull’esistenza del diritto all’impianto di un embrione da parte di uno dei genitori (la madre), anche in assenza o indisponibilità del consenso dell’altro genitore (il padre).
Ecco alcuni dettagli, senza l’ambizione di fornire suggerimenti su come si debba o si possa risolvere con equità, e nel rispetto di entrambi i soggetti, questo conflitto.
Il 10 aprile 2007 Natalie Evans perde l’ultima tappa di una battaglia legale durata 4 anni per il riconoscimento del diritto all’impianto di un embrione derivato dalle sue uova e dal seme del suo compagno.
A Natalie Evans è stato diagnosticato un cancro; le terapie richiedono di asportare le ovaie e la rendono sterile: Natalie affida la speranza di poter essere madre all’impianto di embrioni.
Le sue speranze cadono quando la sua relazione di coppia si interrompe e Howard Johnston nega il suo consenso all’utilizzo degli embrioni. Ms Evans non si arrende e continua la sua battaglia legale che culmina nel rigetto della sua richiesta alla Corte Europea dei diritti umani.
Molte persone si sentono emotivamente vicine a Natalie, ma ritengono giusta la decisione della Corte.
I protocolli sono molto chiari: vincolano l’impianto al consenso di entrambe le parti. La sentenza, però, solleva molti interrogativi.
Anna Smajdor, ricercatrice al Medical Ethics Imperial College a Londra, in un suo articolo del Progress Education sottolinea come questa sentenza implichi conseguenze di grande rilievo sul piano legale, etico e sociale.
L’autrice dell’articolo propone una riflessione sul concetto di genitorialità che non può esaurirsi, sottolinea, nella dimensione genetica. La genitorialità, prosegue la Smajdor, rimanda alla volontà di avere un figlio, a quella di affrontare la gravidanza e il parto, al prendersi cura e all’educare il bambino, rimanda all’assunzione di diritti e responsabilità legalmente riconosciuti.
Forzare una donna a vivere una gravidanza e ad accogliere la nascita di un bambino contro la sua volontà appare, senza alcun dubbio, inaccettabile. Il diritto a non essere un genitore genetico, eticamente più complesso, estrapolato automaticamente dalla convinzione soprariportata e cioè che non si può costringere una donna ad una gravidanza non desiderata, può creare problemi di ordine morale.
Occorre riflettere, a questo proposito, sul diritto all’aborto. A chi spetta questo diritto? Un uomo non può forzare la sua compagna ad abortire, di conseguenza questo diritto spetta esclusivamente alle donne.
Margaret Brazier sostiene che i diritti umani fondamentali debbono essere “neutrali” rispetto al genere.
Certamente il diritto all’aborto non può essere presentato unicamente come espressione del diritto a non essere un genitore genetico: la donna, infatti, può rinunciare al suo bambino anche se non ha legami genetici con lui come nel caso di donazione di gameti.
Esiste un elemento di fondamentale importanza e di profondo significato, nel reale e nel simbolico, alla base del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
L’embrione è nel corpo della donna e ciò che si intende tutelare con l’interruzione volontaria di gravidanza è l’autonomia e il diritto di decidere del proprio corpo, un diritto per il quale le donne hanno lottato a lungo e duramente, più che il diritto ad accogliere o a rifiutare una genitorialità genetica.
I danni connessi alla coercizione fisica e al divenire madre al di fuori della propria volontà sono molto evidenti, mentre i danni connessi ad una forzata genitorialità soltanto genetica sono meno chiari.
Alla consapevolezza dell’esigenza di diritti paritari tra uomini e donne non riesce, conclude l’autrice dell’articolo, ad accostarsi un atteggiamento profondamente empatico per Howard Johston. Egli, come ogni donna ed ogni uomo, poteva avvalersi del suo diritto di rifiutare di diventare un genitore e declinare i legami affettivi e sociali che sarebbero nati con il figlio e questo diritto non poteva che essere riconosciuto dalla legge. Appare, però, come compito più delicato e complesso riflettere su quali danni potessero derivare a Mr. Johston dal decidere di donare alcuni dei suoi geni.
Fonte http://www.news_pma/218/il-diritto-di-essere-genitore
Ecco alcuni dettagli, senza l’ambizione di fornire suggerimenti su come si debba o si possa risolvere con equità, e nel rispetto di entrambi i soggetti, questo conflitto.
Il 10 aprile 2007 Natalie Evans perde l’ultima tappa di una battaglia legale durata 4 anni per il riconoscimento del diritto all’impianto di un embrione derivato dalle sue uova e dal seme del suo compagno.
A Natalie Evans è stato diagnosticato un cancro; le terapie richiedono di asportare le ovaie e la rendono sterile: Natalie affida la speranza di poter essere madre all’impianto di embrioni.
Le sue speranze cadono quando la sua relazione di coppia si interrompe e Howard Johnston nega il suo consenso all’utilizzo degli embrioni. Ms Evans non si arrende e continua la sua battaglia legale che culmina nel rigetto della sua richiesta alla Corte Europea dei diritti umani.
Molte persone si sentono emotivamente vicine a Natalie, ma ritengono giusta la decisione della Corte.
I protocolli sono molto chiari: vincolano l’impianto al consenso di entrambe le parti. La sentenza, però, solleva molti interrogativi.
Anna Smajdor, ricercatrice al Medical Ethics Imperial College a Londra, in un suo articolo del Progress Education sottolinea come questa sentenza implichi conseguenze di grande rilievo sul piano legale, etico e sociale.
L’autrice dell’articolo propone una riflessione sul concetto di genitorialità che non può esaurirsi, sottolinea, nella dimensione genetica. La genitorialità, prosegue la Smajdor, rimanda alla volontà di avere un figlio, a quella di affrontare la gravidanza e il parto, al prendersi cura e all’educare il bambino, rimanda all’assunzione di diritti e responsabilità legalmente riconosciuti.
Forzare una donna a vivere una gravidanza e ad accogliere la nascita di un bambino contro la sua volontà appare, senza alcun dubbio, inaccettabile. Il diritto a non essere un genitore genetico, eticamente più complesso, estrapolato automaticamente dalla convinzione soprariportata e cioè che non si può costringere una donna ad una gravidanza non desiderata, può creare problemi di ordine morale.
Occorre riflettere, a questo proposito, sul diritto all’aborto. A chi spetta questo diritto? Un uomo non può forzare la sua compagna ad abortire, di conseguenza questo diritto spetta esclusivamente alle donne.
Margaret Brazier sostiene che i diritti umani fondamentali debbono essere “neutrali” rispetto al genere.
Certamente il diritto all’aborto non può essere presentato unicamente come espressione del diritto a non essere un genitore genetico: la donna, infatti, può rinunciare al suo bambino anche se non ha legami genetici con lui come nel caso di donazione di gameti.
Esiste un elemento di fondamentale importanza e di profondo significato, nel reale e nel simbolico, alla base del diritto all’interruzione volontaria di gravidanza.
L’embrione è nel corpo della donna e ciò che si intende tutelare con l’interruzione volontaria di gravidanza è l’autonomia e il diritto di decidere del proprio corpo, un diritto per il quale le donne hanno lottato a lungo e duramente, più che il diritto ad accogliere o a rifiutare una genitorialità genetica.
I danni connessi alla coercizione fisica e al divenire madre al di fuori della propria volontà sono molto evidenti, mentre i danni connessi ad una forzata genitorialità soltanto genetica sono meno chiari.
Alla consapevolezza dell’esigenza di diritti paritari tra uomini e donne non riesce, conclude l’autrice dell’articolo, ad accostarsi un atteggiamento profondamente empatico per Howard Johston. Egli, come ogni donna ed ogni uomo, poteva avvalersi del suo diritto di rifiutare di diventare un genitore e declinare i legami affettivi e sociali che sarebbero nati con il figlio e questo diritto non poteva che essere riconosciuto dalla legge. Appare, però, come compito più delicato e complesso riflettere su quali danni potessero derivare a Mr. Johston dal decidere di donare alcuni dei suoi geni.
Fonte http://www.news_pma/218/il-diritto-di-essere-genitore
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