Gli italiani quindi vanno a messa, ma non sempre, sono favorevoli ai pacs (68%), all’aborto, sono favorevoli al divorzio (85,6% di cattolici) sia pure in percentuali diverse a seconda del motivo in base al quale l’interruzione viene richiesta e soprattutto, sono favorevoli anche alla fecondazione assistita (il 58,7% dei cattolici e l’89,9% dei non cattolici).
Rispetto all’eutanasia sono favorevoli il 38,1% dei cattolici e contrari il 58,1%, ma il 13,8% è indeciso, e non condividono l’esclusione dalla Comunione di divorziati e risposati (77,8%), sono favorevoli alle donne sacerdote (58,1% dei cattolici) e quanto ai rapporti tra etica e chiesa, il 42,5% ritiene che la Chiesa non debba interferire nelle questioni etiche.
La fotografia che questa indagine ha scattato del nostro paese è quindi sicuramente quella di una comunità piuttosto secolarizzata a testimonianza che molte donne e molti uomini, pur dichiarandosi cattolici, rivendicano però la loro autonomia etica su molte questioni spinose che hanno a che fare con l’area della libertà di espressione della sessualità e con le libertà di espressione in campo di etica personale.
E’ stato obiettato da alcuni autori che se gli italiani pensano di potersi permettere questa “autonomia etica” è perché si sbagliano e pensano a torto che si possa definirsi cattolici ma non praticanti.
E’ possibile che questa riflessione sia corretta ma è però vero che il paese è così e, anzi, direi, gli italiani non sono così diversi dai popoli confinanti e vicini per cultura se non per geografia.
Forse allora la questione della secolarizzazione avrà bisogno di essere affrontata diversamente se si vorrà recuperare alla chiesa cattolica il proprio “elettorato”, inquadrando il problema in una prospettiva storica e culturale adeguata - ai tempi e ai luoghi del presente e del futuro - anche nel nostro paese.
Per quanto ci riguarda, speriamo che informazioni di questo tipo contribuiscano a far crescere il partito di coloro che chiedevano modifiche della legge 40.
Personalmente continuerò a pensare che il referendum è stato mancato e non perduto, cosa ben diversa, e che le maggiori responsabilità vanno fatte risalire sia alle difficoltà di una informazione oggettivamente complessa e tecnica che alla trasformazione di questa materia in argomento di pressione politica, realizzate e forzate attraverso il meccanismo di semplificazione e estremizzazione dei contenuti che la campagna referendaria impone di per sé.
Allora non eravamo pronti per un referendum su questa materia, ma adesso, se la politica non ci mette il naso...
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