lunedì 20 marzo 2017

Procedure e tecniche di preservazione della fertilità dei maschi in età fertile

Procedure e tecniche di preservazione della fertilità dei maschi in età fertile
       Grazie ai progressi raggiunti nell’ambito delle terapie oncologiche, la prognosi della maggior parte dei tumori che affligge la popolazione giovanile è oggi in netto miglioramento, con tassi di sopravvivenza molto elevati. Per poter perseguire questo risultato positivo, però, si rende necessaria l’applicazione di strategie terapeutiche molto aggressive, che possono compromettere, talora in maniera permanente, la funzione riproduttiva. La possibile comparsa di sterilità o d’infertilità secondaria ai trattamenti antiproliferativi dipende da più fattori: classe, dose e posologia del farmaco impiegato, estensione e sede del campo di irradiazione, età del paziente. Inoltre, l’infertilità maschile può essere secondaria alla malattia stessa (neoplasie del testicolo, linfoma di Hodgkin), a danno anatomico (eiaculazione retrograda o aneiaculazione), a insufficienza ormonale primaria o secondaria e a esaurimento delle cellule staminali germinali. Gli effetti misurabili sono rappresentati dalla compromissione del numero di spermatozoi nell’eiaculato, dalla loro motilità e morfologia, dall’integrità del DNA di cui sono vettori. L’infertilità può essere reversibile per alcune tipologie di trattamento, ma può essere definitiva nel 50-95% dei casi. Gli agenti chemioterapici hanno un effetto deleterio sulla spermatogenesi: le cellule di Leydig possono subire danni, con conseguente ipogonadismo. Con la radioterapia, invece, il testicolo viene esposto a radiazioni causando una diminuzione della conta spermatica in misura proporzionale al dosaggio ricevuto, con conseguente sterilità temporanea o permanente. Con le moderne tecniche di irradiazione, la conta spermatica raggiunge livelli pretrattamento in 10-24 mesi; solo il 3-6% dei pazienti rimane azoospermico a 2 anni. Anche la chirurgia ha un ruolo importante nel trattamento del cancro e può essere una causa di infertilità secondaria, per esempio nei casi di tumori testicolari aggressivi.

     Risulta quindi evidente l’importanza che tutti i pazienti con diagnosi di tumore in età riproduttiva vengano adeguatamente informati del rischio di riduzione della fertilità in seguito ai trattamenti antitumorali e, al tempo stesso, delle strategie oggi disponibili per ridurre tale rischio. In questo senso la criopreservazione del seme sembra essere una strategia efficace di preservazione della fertilità che, se adeguatamente programmata, non richiede tempi lunghi, e dovrebbe essere offerta a tutti gli uomini prima di iniziare trattamenti potenzialmente gonadotossici. Questa metodica prevede la raccolta del liquido seminale prima di iniziare un trattamento di chemioterapia o di radioterapia. Gli spermatozoi congelati verranno riutilizzati, qualora necessario, all’interno di programmi di fecondazione assistita (ICSI). È fortemente raccomandato che il prelievo del liquido seminale venga effettuato prima dell’inizio delle terapie antitumorali in quanto la qualità del campione e l’integrità del DNA degli spermatozoi possono essere compromesse anche dopo un solo ciclo di trattamento. Tuttavia, tra i pazienti oncologici che si rivolgono alle banche del seme è stata riportata una percentuale di azoospermia variabile tra il 3,9% e il 13%, casi in cui la crioconservazione del liquido seminale raccolto mediante masturbazione non è possibile. In questi pazienti, prima di iniziare le terapie gonadotossiche, è possibile effettuare un prelievo chirurgico di spermatozoi dai testicoli (testicular sperm extraction), che richiede una buona programmazione tra urologo e biologo della riproduzione. Indipendentemente dalla modalità di recupero degli spermatozoi da crioconservare, è indispensabile la conoscenza della situazione sierologica del paziente prima di effettuare lo stoccaggio dei campioni. Il campione di sperma raccolto viene subito posto in termostato a 37 °C per mantenerne al meglio le caratteristiche. Successivamente viene eseguita una valutazione dei parametri seminali (numero, motilità, morfologia e vitalità), che è predittiva della qualità del campione allo scongelamento. In seguito viene addizionato al campione un egual volume di crioprotettore e aspirato in capillari (paillettes) che vengono poi termosaldati.                   Successivamente si procede alla tecnica di congelamento, che prevede una fase iniziale di esposizione a vapori di azoto e la conseguente immersione in azoto liquido e stoccaggio definitivo in appositi contenitori con azoto liquido (-196 °C). Non è mai stato definito un limite per la durata della crioconservazione: sono state riportate gravidanze ottenute utilizzando un seme congelato 28 anni prima. Nei campioni crioconservati si ha sempre un peggioramento della qualità del seme, dovuto sia a una riduzione della motilità sia a possibili danni ultrastrutturali a livello della membrana cellulare, dei mitocondri e a un aumento del grado di denaturazione del DNA. È quindi necessario informare il paziente del fatto che la crioconservazione del seme riduce sempre la capacità fecondante e la qualità del liquido seminale e del fatto che potrebbero non esserci spermatozoi utilizzabili dopo lo scongelamento. La criopreservazione del liquido seminale dovrebbe essere raccomandata anche ai pazienti oncologici di età inferiore ai 15 anni: la produzione spermatica nell’uomo inizia intorno ai 13-14 anni e l’età non sembra influire sulla qualità del prodotto.

Fonti 
  • AIOM-AIRTUM. Preservazione della fertilità nei pazienti oncologici. Edizione 2013.
  • Lee SJ, Schover LR, Patridge AH, et al. American Society of Clinical Oncology Recommendations on fertility preservation in cancer patients. J Clin Oncol 2006;24(18):917-31.

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