martedì 15 luglio 2014

Ovodonazione: che cosa implica?



Che cosa comporta l'ovodonazione?

Gli ovociti (due o più) vengono donati da una donna giovane, tra i 20 e i 30 anni. Vengono fecondati in vitro con gli spermatozoi del marito: in questo senso il bambino è a tutti gli effetti figlio del padre anagrafico, in quanto ne eredita il 50% del patrimonio genetico. L’altro 50% deriva dalla donatrice. Gli embrioni (in genere due, massimo tre) vengono poi trasferiti nell’utero della donna ricevente. E qui succede una cosa molto interessante: la donna ricevente (in questo caso lei) non è semplicemente un’incubatrice “passiva”. Oggi sappiamo che la madre condiziona l’espressione di geni del figlio attraverso l’ambiente biochimico, ma anche emotivo, che la caratterizza e che è specifico di quella gravidanza. Non è infatti importante solo il tipo di geni che noi ereditiamo (la maggior parte resta in effetti silente per tutta la vita), ma quanto e quando si esprimono. Si parla infatti di “penetranza” ed “espressività” dei geni, proprio per dire che esiste una grande variabilità nel modo in cui le diverse parti del codice genetico possono esprimersi, nel senso di dar luogo a tutte le azioni e le modificazioni che sono di loro competenza. Potremmo dire che lo stesso ovocita, fecondato in vitro con lo stesso spermatozoo, può dar luogo a due bambini in parte diversi a seconda della madre che riceve quell’embrione.
Basti pensare all’effetto dell’alimentazione della mamma, se beva o fumi o meno, quanto aumenti di peso, se sia depressa, stressata o serena, se sia diabetica o abbia l’ipertensione. Persino molte malattie dell’adulto sono condizionate da quello che succede in gravidanza. Inoltre, durante la gravidanza biologica, cresce anche il “grembo psichico”, la capacità di amore e di attaccamento emotivo e affettivo che la mamma sviluppa nei confronti del bambino. Quei nove mesi sono dunque essenziali per creare un legame profondo fisico e psicoemotivo. A ciò si aggiunga che lo partorirà e allatterà: tutti aspetti essenziali perché quel bambino, seppur concepito da un uovo donato, sia percepito e amato come proprio a tutti gli effetti.
Proprio per tutte queste caratteristiche, mi sembra che l’ovodonazione possa essere meglio accolta dalla donna e dalla coppia rispetto, per esempio, alla donazione di sperma, che lascia invece il partner anagrafico del tutto estraneo, biologicamente parlando, all’esperienza del concepimento e della gravidanza. In un mondo in cui apprezziamo la donazione di ogni organo, perché non donare e, rispettivamente, accogliere con gioia, anche un ovocita?

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