In uno studio Australiano, pubblicato nel 2010, è stata valutata la percezione delle pazienti riguardo alla interazione tra MICI e gravidanza ed è emerso che la maggior parte (84%) delle donne ritenesse che la terapia assunta per le MICI fosse dannosa per il feto. Al contrario solo il 19% aveva manifestato preoccupazione relativamente all'influenza della attività di malattia, tanto da scegliere di “sopportare i sintomi, piuttosto che assumere farmaci ”, mostrando quindi di non conoscere i rischi del mancato controllo della malattia sulla crescita fetale e sull'esito della gravidanza. Inoltre, il 28% delle pazienti che aveva modificato il trattamento durante la gravidanza, non aveva interpellato il proprio medico di riferimento. Frequentemente la percezione dell'importanza della terapia e il comportamento nei confronti dei farmaci era influenzata dalla discussione e dai consigli di familiari o amici, oppure dalle informazioni ottenute attraverso Internet, senza rivolgersi al proprio medico. Valutazioni successive hanno messo in evidenza come il punto di vista dei pazienti sulla fertilità e sulla gravidanza sia strettamente legato alla propria conoscenza delle problematiche correlate a questi aspetti, tanto da indurre, in molti casi, una infertilità volontaria. È chiaro, quindi, che l'errata convinzione riguardo a queste problematiche può influenzare negativamente un aspetto importante della vita personale e coniugale, oltre che peggiorare la qualità di vita. La fertilità delle donne affette da MICI può subire conseguenze.
Coloro che soffrono di colite ulcerosa in remissione sono in linea con la popolazione generale. Nelle donne affette da malattia di Crohn è invece segnalata una minore fertilità (per infiammazione a livello pelvico). I fattori che diminuiscono la fertilità nella malattia di Crohn e nella colite ulcerosa sono la presenza di malattia in fase di attività (in particolare nella malattia di Crohn) e una pregressa chirurgia addomino-pelvica (proctocolectomia e confezionamento di pouch). I farmaci assunti dalle donne per la loro malattia non influenzano la fertilità. Negli uomini, invece, alcuni farmaci diminuiscono la fertilità. L'effetto di questi farmaci è comunque reversibile e regredisce dopo 2-3 mesi dalla loro sospensione.
Effetti si notano anche nella gravidanza. Nelle donne con malattia non attiva al concepimento, la probabilità di riacutizzazione della malattia durante la gestazione è sovrapponibile a quella delle donne con MICI non in gravidanza, mentre si verifica una maggiore recidiva della malattia in pazienti affette da colite ulcerosa nei primi due trimestri di gravidanza e nel puerperio. La recidiva non ha, in genere, un decorso più severo. Se la malattia è attiva al concepimento solo il 30% delle pazienti tornerà in remissione durante la gravidanza, probabilmente per una resistenza alla terapia.
L'importanza della attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione, è dovuta al fatto che essa è in grado di influenzare negativamente l'esito della gravidanza, aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (< 37 settimane) e basso peso alla nascita (< 2500 gr). Al contrario, la malattia in remissione al concepimento ha un minimo o nullo effetto sulla gravidanza ed il suo esito. E' estremamente importante, quindi, iniziare una gravidanza in periodo di remissione della malattia (da 3-6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole della gravidanza. Ne consegue che un adeguato trattamento delle MICI deve essere continuato nel periodo della gestazione per mantenere la malattia in remissione. L'assunzione della terapia non preclude l'allattamento del neonato per la maggior parte dei farmaci assunti. Nel momento in cui si pianifica o inizia una gravidanza dovrebbe essere rivalutata, da parte del Gastroenterologo che ha in cura la paziente, la attività di malattia e il trattamento in corso per sospendere eventuali terapie controindicate (metotrexate, talidomide) e impostare o confermare una adeguata terapia, che sarà discussa e motivata alla paziente. Verrà richiesta alla paziente aderenza al trattamento e a controlli periodici (ogni 3 mesi oltre che al bisogno) per rivalutare il decorso della malattia e la adeguatezza della terapia in atto. Sarà poi molto importante condividere la terapia anche con il Ginecologo, con il Medico di famiglia e, successivamente, con il Neonatologo-Pediatra.
Riguardo al parto, l'indicazione alla modalità è dettata principalmente dalle esigenze ostetriche. Da discutere con il Ginecologo situazioni in cui è preferibile il parto cesareo. Quest'ultimo è ritenuto opportuno ad esempio nel caso di una malattia perianale o in sede rettale attiva; ha un'indicazione “relativa”, ossia da valutare caso per caso, in presenza di esiti di pregresso intervento chirurgico, come il confezionamento di pouch ileo-anale o di ileo-rettoanastomosi. Pazienti con colostomia o ileostomia possono affrontare parto vaginale.
L'allattamento non induce un peggioramento del decorso delle MICI, quindi in generale le donne affette da MICI possono allattare i loro figli. È comunque necessario valutare la terapia in corso per la malattia intestinale, al fine di individuare eventualmente i farmaci controindicati e per indicare le precauzioni da seguire in relazione al trattamento in atto. In via preventiva, è necessario diffondere una maggiore consapevolezza mediante una corretta informazione riguardo agli aspetti correlati alla sfera riproduttiva: ciò consente ai pazienti di formulare decisioni consapevoli in merito alla pianificazione familiare. Le conseguenze favorevoli di eventi educativi sono state, peraltro, chiaramente evidenziate. Infatti, dopo un solo incontro, utilizzando uno specifico questionario, compilato prima e dopo la sessione educativa, è inequivocabilmente emerso un netto miglioramento delle conoscenze dei pazienti e una diversa attitudine nei confronti del trattamento. Un esempio: prima della sessione educativa il 33% delle pazienti considerava dannosa per il feto qualsiasi terapia, mentre dopo la sessione solo l'1.2% delle pazienti manteneva la stessa opinione.
In conclusione, va incoraggiato con i pazienti un dialogo e una discussione per fare in modo che dubbi e preoccupazioni riguardo alla fertilità, alla gravidanza e alla terapia durante la gestazione e l'allattamento vengano espressi al proprio gastroenterologo, oltre che al ginecologo, al pediatra e al medico di medicina generale. Va facilitato, inoltre, il dialogo tra queste figure professionali, ognuna con una specifica competenza, in modo da monitorare la gravidanza e garantirne un sereno e sorvegliato decorso. In vista di tale obiettivo si adopera la IG-IBD (Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease), una società scientifica che ha lo scopo di promuovere la ricerca (clinica e di base) della malattia di Crohn, della Colite Ulcerosa e delle altre patologie infiammatorie idiopatiche del tratto gastrointestinale e di migliorare e diffondere le conoscenze per la cura di queste malattie. La Fondazione IBD-Onlus e IG-IBD hanno iniziato una collaborazione tra Gastroenterologi, Ginecologi e Pediatri per raggiungere un consenso interdisciplinare rispetto ai principali problemi clinici che si possono verificare prima, durante e dopo la gravidanza, nei pazienti affetti da MICI. Lo scopo è quello di sviluppare una linea guida comune da diffondere nella comunità Gastroenterologica, Ginecologica e Pediatrica, nonché ai pazienti sia con documentazione scritta, che con incontri educativi.
Fonte http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/medicina-e-ricerca/2017-12-22/malattie-croniche-intestinali-e-gravidanza-ci-sono-rischi-ma-terapia-tutela-feto-181854.php?uuid=AEzqNiWD
Coloro che soffrono di colite ulcerosa in remissione sono in linea con la popolazione generale. Nelle donne affette da malattia di Crohn è invece segnalata una minore fertilità (per infiammazione a livello pelvico). I fattori che diminuiscono la fertilità nella malattia di Crohn e nella colite ulcerosa sono la presenza di malattia in fase di attività (in particolare nella malattia di Crohn) e una pregressa chirurgia addomino-pelvica (proctocolectomia e confezionamento di pouch). I farmaci assunti dalle donne per la loro malattia non influenzano la fertilità. Negli uomini, invece, alcuni farmaci diminuiscono la fertilità. L'effetto di questi farmaci è comunque reversibile e regredisce dopo 2-3 mesi dalla loro sospensione.
Effetti si notano anche nella gravidanza. Nelle donne con malattia non attiva al concepimento, la probabilità di riacutizzazione della malattia durante la gestazione è sovrapponibile a quella delle donne con MICI non in gravidanza, mentre si verifica una maggiore recidiva della malattia in pazienti affette da colite ulcerosa nei primi due trimestri di gravidanza e nel puerperio. La recidiva non ha, in genere, un decorso più severo. Se la malattia è attiva al concepimento solo il 30% delle pazienti tornerà in remissione durante la gravidanza, probabilmente per una resistenza alla terapia.
L'importanza della attività di malattia, al concepimento o durante la gestazione, è dovuta al fatto che essa è in grado di influenzare negativamente l'esito della gravidanza, aumentando la probabilità di aborto spontaneo, parto pre-termine (< 37 settimane) e basso peso alla nascita (< 2500 gr). Al contrario, la malattia in remissione al concepimento ha un minimo o nullo effetto sulla gravidanza ed il suo esito. E' estremamente importante, quindi, iniziare una gravidanza in periodo di remissione della malattia (da 3-6 mesi) per ridurre il rischio di esito sfavorevole della gravidanza. Ne consegue che un adeguato trattamento delle MICI deve essere continuato nel periodo della gestazione per mantenere la malattia in remissione. L'assunzione della terapia non preclude l'allattamento del neonato per la maggior parte dei farmaci assunti. Nel momento in cui si pianifica o inizia una gravidanza dovrebbe essere rivalutata, da parte del Gastroenterologo che ha in cura la paziente, la attività di malattia e il trattamento in corso per sospendere eventuali terapie controindicate (metotrexate, talidomide) e impostare o confermare una adeguata terapia, che sarà discussa e motivata alla paziente. Verrà richiesta alla paziente aderenza al trattamento e a controlli periodici (ogni 3 mesi oltre che al bisogno) per rivalutare il decorso della malattia e la adeguatezza della terapia in atto. Sarà poi molto importante condividere la terapia anche con il Ginecologo, con il Medico di famiglia e, successivamente, con il Neonatologo-Pediatra.
Riguardo al parto, l'indicazione alla modalità è dettata principalmente dalle esigenze ostetriche. Da discutere con il Ginecologo situazioni in cui è preferibile il parto cesareo. Quest'ultimo è ritenuto opportuno ad esempio nel caso di una malattia perianale o in sede rettale attiva; ha un'indicazione “relativa”, ossia da valutare caso per caso, in presenza di esiti di pregresso intervento chirurgico, come il confezionamento di pouch ileo-anale o di ileo-rettoanastomosi. Pazienti con colostomia o ileostomia possono affrontare parto vaginale.
L'allattamento non induce un peggioramento del decorso delle MICI, quindi in generale le donne affette da MICI possono allattare i loro figli. È comunque necessario valutare la terapia in corso per la malattia intestinale, al fine di individuare eventualmente i farmaci controindicati e per indicare le precauzioni da seguire in relazione al trattamento in atto. In via preventiva, è necessario diffondere una maggiore consapevolezza mediante una corretta informazione riguardo agli aspetti correlati alla sfera riproduttiva: ciò consente ai pazienti di formulare decisioni consapevoli in merito alla pianificazione familiare. Le conseguenze favorevoli di eventi educativi sono state, peraltro, chiaramente evidenziate. Infatti, dopo un solo incontro, utilizzando uno specifico questionario, compilato prima e dopo la sessione educativa, è inequivocabilmente emerso un netto miglioramento delle conoscenze dei pazienti e una diversa attitudine nei confronti del trattamento. Un esempio: prima della sessione educativa il 33% delle pazienti considerava dannosa per il feto qualsiasi terapia, mentre dopo la sessione solo l'1.2% delle pazienti manteneva la stessa opinione.
In conclusione, va incoraggiato con i pazienti un dialogo e una discussione per fare in modo che dubbi e preoccupazioni riguardo alla fertilità, alla gravidanza e alla terapia durante la gestazione e l'allattamento vengano espressi al proprio gastroenterologo, oltre che al ginecologo, al pediatra e al medico di medicina generale. Va facilitato, inoltre, il dialogo tra queste figure professionali, ognuna con una specifica competenza, in modo da monitorare la gravidanza e garantirne un sereno e sorvegliato decorso. In vista di tale obiettivo si adopera la IG-IBD (Italian Group for the study of Inflammatory Bowel Disease), una società scientifica che ha lo scopo di promuovere la ricerca (clinica e di base) della malattia di Crohn, della Colite Ulcerosa e delle altre patologie infiammatorie idiopatiche del tratto gastrointestinale e di migliorare e diffondere le conoscenze per la cura di queste malattie. La Fondazione IBD-Onlus e IG-IBD hanno iniziato una collaborazione tra Gastroenterologi, Ginecologi e Pediatri per raggiungere un consenso interdisciplinare rispetto ai principali problemi clinici che si possono verificare prima, durante e dopo la gravidanza, nei pazienti affetti da MICI. Lo scopo è quello di sviluppare una linea guida comune da diffondere nella comunità Gastroenterologica, Ginecologica e Pediatrica, nonché ai pazienti sia con documentazione scritta, che con incontri educativi.
Fonte http://www.sanita24.ilsole24ore.com/art/medicina-e-ricerca/2017-12-22/malattie-croniche-intestinali-e-gravidanza-ci-sono-rischi-ma-terapia-tutela-feto-181854.php?uuid=AEzqNiWD
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