Che cosa fa sentire realmente soddisfatta una donna: ottenere buoni risultati sul lavoro oppure una vita familiare e affettiva piena e appagante?
Molte mamme lettrici prenderanno posizione sull’uno o sull’altro versante, quando non si sentiranno in bilico e combattute nella difficile conciliazione tra famiglia e carriera.
Stiamo parando di un dilemma che spesso si concretizza in una serie di scelte, che portano a privilegiare quando un aspetto, quando l’altro, comportando di conseguenza delle rinunce.
Certo è che, nella nostra società, il lavoro riveste un ruolo di primaria importanza, tanto da non limitarsi al soddisfacimento dei bisogni primari… sappiamo bene infatti che il lavoro, per ciascuno di noi, significa molto di più in termini di indipendenza, status sociale, valorizzazioni dei talenti individuali, etc.
E allora soffermiamoci un momento nella dimensione del lavoro al femminile, per scoprire che il raggiungimento di pari diritti tra uomo e donna sembra essere un cammino ancora lungo e non privo di difficoltà.
Stando a quanto emerge da recenti dati Istat, infatti, sono ben dieci milioni le donne che nel corso della loro vita hanno fatto rinunce più o meno importanti – che vanno dalla rinuncia totale al lavoro alla rinuncia, non meno importante, a una promozione o un incarico prestigioso – per via degli impegni familiari.
In pratica si tratta del 44% della popolazione femminile italiana. Una percentuale che non può lasciare indifferenti, anche per via del divario esistente tra le connazionali e le lavoratrici europee.
Se infatti anche in Italia, come negli altri paesi dell’Unione Europea, sono sempre di più le donne che col loro stipendio contribuiscono attivamente al bilancio familiare, il tasso di occupazione femminile rimare però fermo al 46,8%, a fronte del 59,5% che costituisce il tasso di occupazione femminile medio in Europa.
In un dossier dal titolo fortemente emblematico di “Come cambia la vita delle donne”, l’Istat fa notare come: “Sono poco meno di 10 milioni le donne che nel corso della loro vita, a causa di impegni familiari, per una gravidanza o perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare, hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico o non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel lavoro”.
Curato da Linda Laura Sabbadini, Sara Demofonti e Romina Fraboni, il dossier si riferisce a dati raccolti e analizzati nel 2011, rilevazioni attuali anche oggi poiché fanno riferimento a esperienze lavorative che le donne intervistate hanno fatto nel corso di tutta la loro vita. Vi sono anche dati più recenti relativi, i quali non smentiscono il trend, ma anzi non fanno che confermare la situazione difficile delle lavoratrici italiane.
Sempre secondo l’Istat, per esempio, una mamma su quattro tra quelle che lavoravano durante la gravidanza, al momento dell’intervista non lavorava più.
L’Istituto di Statistica ha reso anche noto che, sebbene a fare rinunce lavorative in nome della famiglia siano soprattutto le donne, talora questo capita anche agli uomini: a fare rinunce dettate dalle esigenze famigliari, però, sono poco più di quattro milioni di uomini, ovvero il 19,9% della popolazione maschile.
Si pone poi l’accento sul decisivo aumento delle donne capofamiglia, ovvero quelle che contribuiscono maggiormente all’economia famigliare, o perché guadagnano più del partner, o perché sono mono-genitori oppure vivono da sole. Riferendosi a dati del 2013, dall’Istat fanno sapere che: “Nonostante la maggiore tenuta dell’occupazione femminile negli anni della crisi, la quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue28: nel 2014 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,8% contro il 59,5% della media Ue28, e la distanza dell’indicatore con l’Europa è aumentata arrivando a 12,7 punti percentuali (10,0 punti nel 2004)”.
Nonostante le lavoratrici abbiano risentito meno della crisi rispetto ai colleghi uomini, però, dal 2008 a oggi è la qualità del lavoro è nettamente peggiorata: se infatti le donne sempre più spesso occupano cariche di rilievo, sono però pagate meno degli uomini senza contare che, non di rado, non vengono riconosciuti loro gli straordinari ed è aumentato il part-time involontario.
Quello che emerge dal dossier ISTAT è insomma un quadro complesso e articolato, soprattutto se ai dati sin qui presi in esame, si sommano aspetti fondamentali nel determinare la qualità del lavoro di una mamma come flessibilità oraria, possibilità di lavoro da casa, accesso al part time volontario, etc.
Tutti quegli aspetti, insomma, che consentirebbero una reale conciliazione tra affetti e carriera, favorendo la realizzazione professionale senza comportare dolorose rinunce ai vari membri della famiglia, Mamma compresa.
Mamme equilibriste, in bilico tra carriera e famiglia, voi a cosa state rinunciando? Cosa vi concedete?
Fonte ISTAT Come cambia la vita delle donne
Molte mamme lettrici prenderanno posizione sull’uno o sull’altro versante, quando non si sentiranno in bilico e combattute nella difficile conciliazione tra famiglia e carriera.
Stiamo parando di un dilemma che spesso si concretizza in una serie di scelte, che portano a privilegiare quando un aspetto, quando l’altro, comportando di conseguenza delle rinunce.
Certo è che, nella nostra società, il lavoro riveste un ruolo di primaria importanza, tanto da non limitarsi al soddisfacimento dei bisogni primari… sappiamo bene infatti che il lavoro, per ciascuno di noi, significa molto di più in termini di indipendenza, status sociale, valorizzazioni dei talenti individuali, etc.
E allora soffermiamoci un momento nella dimensione del lavoro al femminile, per scoprire che il raggiungimento di pari diritti tra uomo e donna sembra essere un cammino ancora lungo e non privo di difficoltà.
Stando a quanto emerge da recenti dati Istat, infatti, sono ben dieci milioni le donne che nel corso della loro vita hanno fatto rinunce più o meno importanti – che vanno dalla rinuncia totale al lavoro alla rinuncia, non meno importante, a una promozione o un incarico prestigioso – per via degli impegni familiari.
In pratica si tratta del 44% della popolazione femminile italiana. Una percentuale che non può lasciare indifferenti, anche per via del divario esistente tra le connazionali e le lavoratrici europee.
Se infatti anche in Italia, come negli altri paesi dell’Unione Europea, sono sempre di più le donne che col loro stipendio contribuiscono attivamente al bilancio familiare, il tasso di occupazione femminile rimare però fermo al 46,8%, a fronte del 59,5% che costituisce il tasso di occupazione femminile medio in Europa.
In un dossier dal titolo fortemente emblematico di “Come cambia la vita delle donne”, l’Istat fa notare come: “Sono poco meno di 10 milioni le donne che nel corso della loro vita, a causa di impegni familiari, per una gravidanza o perché i propri familiari così volevano, hanno rinunciato a lavorare, hanno dovuto interrompere il lavoro, o non hanno potuto accettare un incarico o non hanno potuto investire come avrebbero voluto nel lavoro”.
Curato da Linda Laura Sabbadini, Sara Demofonti e Romina Fraboni, il dossier si riferisce a dati raccolti e analizzati nel 2011, rilevazioni attuali anche oggi poiché fanno riferimento a esperienze lavorative che le donne intervistate hanno fatto nel corso di tutta la loro vita. Vi sono anche dati più recenti relativi, i quali non smentiscono il trend, ma anzi non fanno che confermare la situazione difficile delle lavoratrici italiane.
Sempre secondo l’Istat, per esempio, una mamma su quattro tra quelle che lavoravano durante la gravidanza, al momento dell’intervista non lavorava più.
L’Istituto di Statistica ha reso anche noto che, sebbene a fare rinunce lavorative in nome della famiglia siano soprattutto le donne, talora questo capita anche agli uomini: a fare rinunce dettate dalle esigenze famigliari, però, sono poco più di quattro milioni di uomini, ovvero il 19,9% della popolazione maschile.
Si pone poi l’accento sul decisivo aumento delle donne capofamiglia, ovvero quelle che contribuiscono maggiormente all’economia famigliare, o perché guadagnano più del partner, o perché sono mono-genitori oppure vivono da sole. Riferendosi a dati del 2013, dall’Istat fanno sapere che: “Nonostante la maggiore tenuta dell’occupazione femminile negli anni della crisi, la quota di donne occupate in Italia rimane, comunque, di gran lunga inferiore a quella dell’Ue28: nel 2014 il tasso di occupazione femminile si attesta al 46,8% contro il 59,5% della media Ue28, e la distanza dell’indicatore con l’Europa è aumentata arrivando a 12,7 punti percentuali (10,0 punti nel 2004)”.
Nonostante le lavoratrici abbiano risentito meno della crisi rispetto ai colleghi uomini, però, dal 2008 a oggi è la qualità del lavoro è nettamente peggiorata: se infatti le donne sempre più spesso occupano cariche di rilievo, sono però pagate meno degli uomini senza contare che, non di rado, non vengono riconosciuti loro gli straordinari ed è aumentato il part-time involontario.
Quello che emerge dal dossier ISTAT è insomma un quadro complesso e articolato, soprattutto se ai dati sin qui presi in esame, si sommano aspetti fondamentali nel determinare la qualità del lavoro di una mamma come flessibilità oraria, possibilità di lavoro da casa, accesso al part time volontario, etc.
Tutti quegli aspetti, insomma, che consentirebbero una reale conciliazione tra affetti e carriera, favorendo la realizzazione professionale senza comportare dolorose rinunce ai vari membri della famiglia, Mamma compresa.
Mamme equilibriste, in bilico tra carriera e famiglia, voi a cosa state rinunciando? Cosa vi concedete?
Fonte ISTAT Come cambia la vita delle donne
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