Protagonista una coppia residente in un Comune della Val Seriana (che omettiamo a tutela del minore), lui operaio di 56 anni, lei casalinga di 49, con problemi di infertilità. Decidono di affidarsi a una clinica nei pressi di Kiev, in Ucraina, per ricorrere alla procreazione medicalmente assistita, in particolare alla maternità surrogata, in Italia vietata dalla legge. Pagano e stipulano un contratto che prevede la gestazione dell’embrione da parte di un’altra donna. In procinto del lieto evento la coppia bergamasca si reca in Ucraina. Il bimbo nasce e i genitori bergamaschi lo prendono in consegna. Ma sorgono i problemi.
La coppia di reca all’ambasciata italiana a Kiev per ottenere un documento provvisorio che consenta il viaggio di rientro con il piccolo verso la Penisola. L’ambasciata però si accorge che qualcosa non torna: è vero che papà e mamma bergamaschi figurano come genitori del bambino, nell’atto di nascita ucraino autentico redatto subito dopo il parto, ma com’è possibile – si chiedono i funzionari – che la donna abbia potuto viaggiare in aereo, pochi giorni prima, quando in teoria sarebbe dovuta essere al nono mese di gravidanza?Dall’ambasciata parte una segnalazione alla Procura di Bergamo e al Comune di residenza e per i due bergamaschi cominciano i guai.
Sul fronte penale, il pm Letizia Ruggeri ha aperto un fascicolo a carico della coppia con l’ipotesi di reato di alterazione di stato. Giovedì 30 giugno c’è stata però l’assoluzione in abbreviato dal gup Battista Palestra. A pesare è stato il fatto che il certificato di nascita prodotto in Ucraina non è un falso, secondo la legge di quel Paese. Quindi non c’è il reato di alterazione di stato.
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