Francesca S., 41 anni, insegnante, risiede in Sicilia, ma è in un centro specializzato del Nord Italia che da circa un anno segue un ciclo di fecondazione assistita basata sull'ovodonazione eterologa.
Francesca, qual è il suo sogno più grande?
«Avere un figlio».
Ha già pensato al nome?
«Sì. Marco se sarà maschio. Ludovica se sarà femmina».
Perché ha deciso di ricorrere all'ovodonazione eterologa?
«In passato ho tentato la fecondazione artificiale con i miei ovuli. Ma non ho ottenuto risultati».
Che ambiente si respira nel club delle aspiranti mamme?
«Ci sentiamo tutte come delle sorelle. Sappiamo che anche con l'ovodonazione non abbiamo certezze. Ma tra noi c'è un grande clima di ottimismo».
Rimanete in contatto anche fuori dal contesto strettamente medico?
«Sì, tra noi non si parla solo di stimolazione ovarica, trattamenti ormonale e fecondazione in vitro. Si sono create belle amicizie e si va spesso a cena insieme con serate in stile Festa della donna».
Ci sono contatti tra donne «donatrici» e donne «riceventi»?
«Sì, anche perché a livello fisico esiste una sorta di sincronizzazione tra le due categorie».
Cosa significa «sincronizzazione»?
«Il ciclo della donna ricevente viene sincronizzato con quello della donatrice».
Poi cosa accade?
«Gli ovociti portati a maturazione vengono raccolti e fecondati in vitro».
Segue la fase più delicata.
«Gli embrioni ottenuti vengono trasferiti nell'utero della ricevente».
Quanto conta l'aspetto umano?
«Se per aspetto umano si intende la motivazione a diventare madre, posso dire che è questo il vero elemento propulsore».
Suo marito non smette mai di starle a fianco.
Siete entrambi cattolici?
«No, atei. E questo forse ha semplificato le cose, almeno sotto il profilo etico».
Cosa si augura per suo figlio?
«Innanzitutto spero che il sogno di avere un figlio si realizzi. Poi, qualsiasi sarà il suo destino, lo amerò per sempre».
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