In caso di ricorso alle tecniche di maternità surrogata all'estero e di successiva
indicazione nell'atto di nascita di essere i genitori naturali in base alle leggi del
luogo, gli autori di tali condotte non rispondono penalmente in Italia dei reati di
alterazione di stato del minore o di falsa attestazione su qualità personali.
1. Massima
In caso di ricorso alle tecniche di maternità surrogata all'estero e di successiva indicazione nell'atto di nascita di essere i genitori naturali in base alle leggi del luogo, gli autori di tali condotte non rispondono penalmente in Italia dei reati di alterazione di stato del minore o di falsa attestazione su qualità personali, poichè l'atto di nascita si era formato in conformità della normativa straniera ed essi non avevano poi reso alcuna falsa dichiarazione al P.U. italiano.
2. Il caso
Dagli atti emergeva che una coppia di coniugi italiani si era recata in Ucraina per sottoporsi ad una procedura di c.d. maternità surrogata, in quel Paese non vietata, a certe condizioni, a differenza di quanto è stabilito dalla legge italiana. A seguito della nascita del minore grazie alla suddetta procedura, la madre naturale, cittadina ucraina, rilasciava una dichiarazione con la quale acconsentiva che i due odierni imputati fossero registrati come genitori. Più precisamente dalla "Informazione di relazione genetica dei genitori (padre e madre) con il feto" risultava che, a seguito di diagnosi di infertilità, erano stati utilizzati, ai fini dell'impianto, ovuli non riconducibili a persona nota, e spermatozoi dell'imputato; a seguito della dichiarazione della madre surrogata, quale risultante da un certificato, la nascita del minore era stata iscritta all'ufficio dello stato civile di Kiev e il certificato di nascita rilasciato due giorni dopo indicava, alla stregua della normativa ucraina vigente, come genitori la coppia di italiani, poi diventati imputati.
Successivamente i coniugi si erano presentati all'Ambasciata italiana a Kiev producendo solo il secondo certificato, quello dal quale essi risultavano i genitori del minore registrato pressol'ufficio dello stato civile di Kiev. Gli imputatiin quel frangente avevano consapevolmente taciuto al funzionario consolare dell'Ambasciata italiana di aver fatto ricorso alla tecnica di procreazione della maternità surrogata. Per questi fatti i coniugi venivano imputati in concorso dei reati di cui agli articoli: 12, comma 6, della l. n. 40/2004 (fattispecie che fa divieto della surrogazione di maternità ); 567, comma 2, c.p. (alterazione di stato); 495 c.p. (false dichiarazioni a P.U. sullo stato proprio o altrui); 48, 476 c.p. (induzione in errore del P.U. per commettere un falso materiale).
Il G.U.P. presso il Tribunale di Napoli assolveva gli imputati da tutti i reati ascritti. Avverso tale sentenza proponeva, per quanto qui di interesse, ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica sottolineando: a) che l'atto di nascita da esibire all'Ambasciata italiana era il primo e non il diverso atto redatto, in sostituzione del primo, due giorni dopo, nel quale compariva un'informazione falsa, ossia che la donna fosse la madre naturale del nato; b) che il giudice aveva trascurato di considerare che gli imputati, dinanzi al funzionario consolare, che riveste la qualità di Ufficiale dello stato civile, avevano omesso di rispondere alle domande loro rivolte, quanto al ricorso alla maternità surrogata.
3. La questione
La questione all'esame della Suprema Corte è se sussista il reato di alterazione di stato nell'ipotesi in cui i genitori di un bambino nato con la tecnica della maternità surrogata volontariamente omettano di riferire all'Ufficiale di Stato civile che il minore è nato con il ricorso a tale tecnica.
4. Le soluzioni giuridiche
Per ragioni di sintesi si presterà attenzione solo ad alcune delle imputazioni formulate, quelle relative alla violazione degli artt. 567 e 495 c.p., che appaiono collegate strutturalmente.
La Cassazione ha respinto il ricorso del P.M., ritenendo che il comportamento dei coniugi italiani sopra descritto non può essere considerato "una falsa dichiarazione", in quanto le dichiarazioni di nascita relative a cittadini italiani (e tale era il minore interessato, in quanto figlio di padre italiano: art. 1, comma 1, lett. a) della l. n. 91/ 1992) nati all'estero sono rese all'autorità consolare (comma 1) e devono farsi secondo le norme stabilite dalla legge del luogo alle autorità locali competenti, se ciò è imposto dalla legge stessa.
Per questi motivi, la Quinta sezione pur osservando quanto al delitto di alterazione di stato di cui all'art. 567, comma 2, c.p., che, ai fini della configurabilità di tale fattispecie, è necessaria un'attività di alterazione di stato che si caratterizzi per l'idoneità a creare una falsa attestazione, con attribuzione al figlio di una diversa discendenza in conseguenza dell'indicazione di un genitore diverso da quello naturale, hanno poi ritenuto che il reato del quale si discute non è configurabile in relazione alle false dichiarazioni incidenti sullo stato civile di una persona, rese quando l'atto di nascita è già formato. Ciò perché «...alla stregua della incontroversa ricostruzione dei fatti operata dalla sentenza impugnata, non è dato cogliere alcuna alterazione dello stato civile del minore nell'atto di nascita del quale si discute, che, al contrario, risulta perfettamente legittimo alla stregua della normativa nella quale doverosamente è stato redatto».
La Corte ha poi affermato che nella specie non ricorre neppure il reato di cui agli artt. 48 e 476 c.p., giacchè l'ufficiale dello Stato civile italiano non ha formato alcun atto falso, ma è limitato a procedere alla trascrizione dell'atto di nascita, riguardante un cittadino italiano, formato all'estero.
Al pari non risulta integrato neppure l'art. 495 c.p. che presuppone una falsa dichiarazione al P.U., ad avviso della Cassazione in realtà mai intervenuta, dato che i coniugi si sono limitati a non rispondere alla domanda circa l'essersi avvalsi della procedura della maternità surrogata.
5. Osservazioni
La sentenza in commento non appare convincente, perché in forza di un'interpretazione formalistica non si fa carico del complessivo disvalore penale della condotta posta in essere dagli imputati.
Infatti è indubbio che un certificato di nascita, seppure rilasciato all'estero secondo la legge dello Stato di nascita del minore, ma riportante un'attestazione sullo status del minore oggettivamente non rispondente al vero, non potrebbe mai essere trascritto dall'ufficiale dello stato civile italiano per l'ipotesi di nascita tramite il c.d. "utero in affitto”, e ciò per la contrarietà all'ordine pubblico interno derivante dal divieto, tuttora vigente, di tale pratica ai sensi dell'art. 12, l. 19 febbraio 2004, n. 40, divieto presidiato da una sanzione penale (si veda Cass. civ., sez.I, 11 novembre 2014, n.24001).
Fatta questa premessa va ricordato che l'ipotesi di reato prevista dall'art. 567, comma 2, c. p. si realizza ogni volta che, in un atto di nascita, venga attribuito ad un infante lo stato di figlio (non importa se legittimo o “naturale”) di una persona che non lo abbia realmente generato, poiché, con questa norma, il legislatore ha inteso tutelare l'interesse del minore alla verità dell'attestazione ufficiale della propria ascendenza (Cass., sez. VI, sent., 08 febbraio 1994, n. 4633).
La sentenza in esame aggira la ratio della norma penale, affermando che nel caso di specie non vi è alcuna alterazione dello stato civile del minore, perché quello che rileva è l'atto di nascita formatosi in Ucraina in base alla lex loci. Così argomentando il controllo affidato all'ufficiale dello stato civile italiano viene completamente svuotato, mentre esso nella realtà giuridica attuale ha un ruolo centrale, dato che l'atto di nascita formato all'estero prima della trascrizione non è rilevante per il diritto italiano. Non appare perciò irragionevole la tesi di chi sostiene che solo con la iscrizione o trascrizione nei registri dello stato civile l'atto di nascita, non inteso come mero documento cartaceo, assume la veste di titolo dello stato del minore, come del resto si desume dall'art. 236 c.c..
Ancora meno convincente appare l'assoluzione per il delitto di cui all'art. 495, comma 2, c.p., per la condotta reticente posta in essere dalla coppia italiana di fronte all'Ufficiale dello stato civile italiano, nella specie il funzionario consolare, che aveva domandato loro se si fossero avvalsi della c.d. “maternità surrogata”.
La contestazione del reato di cui all'art. 495, comma 2, c.p. appare per certi versi subordinata o comunque complementare rispetto all'imputazione del ben più grave reato di alterazione di stato. Se infatti si ritiene che quest'ultimo delitto non sia integrato perché gli imputati non avevano compiuto alcuna falsificazione dell'atto di nascita formatosi all'estero secondo la legge straniera, non può però negarsi che abbia invece una rilevanza ingannatoria la successiva condotta reticente avanti al funzionario consolare, in quanto volta ad ottenere indebitamente la trascrizione nei registri dello stato civile italiano.
La sentenza de qua offre sul punto una motivazione assolutoria molto stringata e formalistica, limitandosi ad affermare che «... il reato di cui all'art. 495 c.p., presuppone una falsa dichiarazione che, anche nella condotta valorizzata dal P.M. nel ricorso per cassazione, non risulta essere intervenuta». In altre parole, non sussisterebbe il reato di falsa attestazione al P.U. perché gli imputati non avevano reso alcuna dichiarazione, avendo essi deciso di non rispondere alla domanda del funzionario consolare.
In verità appare discutibile limitare la portata applicativa dell'art. 495 c.p. alle sole condotte attive e non anche a quelle dolosamente reticenti. Si richiama sul punto quanto affermato in precedenza dalla Cassazione (sez. VI, 13 dicembre 2004, n. 4453), la quale ha sostenuto al contrario che «...tale reato è configurabile non solo per ciò che viene espressamente detto, ma anche per quello che viene taciuto, ma soltanto nel caso in cui, per effetto del callido occultamento di elementi essenziali a descrivere il fatto oggetto della dichiarazione, ne risulti una rappresentazione non veridica, e quindi oggettivamente falsa, della realtà che si dichiara e che l'atto pubblico ha la funzione di provare ».
In conclusione si può affermare che la pronuncia in esame si pone in contrasto con concordanti indicazioni emergenti dal quadro normativo di riferimento, ispirato ad unavalorizzazione della verità e della genuinità dei rapporti ed al rispetto del diritto di ogni individuo alla propria identità personale (cfr. art. 28 della l. 4 maggio 1983, n. 184, come sostituito dall'art. 24 della l. 28 marzo 2001, n. 149), nonché con la natura e la funzione degli atti dello stato civile, rivolti in modo inderogabile ad attestare la veridicità dei dati in essi riportati, ai sensi dell'art. 451 c.c., che costituisce norma di ordine pubblico (in questi termini Cass. civ., sez. I, 10 marzo 2004, n. 4878).
6. Guida all'approfondimento
-B. Romano, Previsione bilaterale del fatto ed errore inevitabile in una ipotesi di maternità surrogata avvenuta all'estero, in Il Penalista, Giuffrè
-A. Scarcella, E' reato registrare come proprio figlio il minore nato all'estero con utero in affitto ?, in Il Quotidiano giuridico on – line, 22 aprile 2016
-C. Tranquillo, Contributo allo studio del reato di alterazione di stato tramite surrogazione di maternità, in Dir. Pen. Contemporaneo
-T.Trinchera, Profili di responsabilità penale in caso di surrogazione di maternità all'estero : tra alterazione di stato e false dichiarazioni a pubblico ufficiale su qualità personali, in Riv. ital. dir. proc. pen., 2015, fasc.1, 408
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