I protagonisti di questa storia sono un padre di 75 anni, una madre di 63 e la loro bambina di 6 anni, nata nel 2010 con la fecondazione artificiale. La coppia cercava un figlio dal lontano 1990, hanno provato di tutto compreso l’adozione nazionale e anche quella internazionale, fino ad andare all’estero per attuare la fecondazione artificiale vietata in Italia e finalmente la signora rimane incinta.
Quando la piccola era ancora neonata è stata lasciata sola per pochi minuti in auto nel suo seggiolino, mentre i genitori la tenevano sotto controllo, scaricando l’auto vicino a casa. Avviene una segnalazione dei vicini e incomincia un incubo che raggiunge un momento tragico con la dichiarazione di adottabilità della figlia nel 2013 perché genitori troppo anziani e sbadati.
Ma non per questo possono essere definiti “cattivi genitori”, eserciteranno, senza dubbio, la loro genitorialità in modo diverso da due trentenni, ma non per questo in modo peggiore.Da queste informazioni si può dedurre che si tratta di due persone consapevoli che hanno cercato un figlio in età giovane e che i percorsi seguiti forse troppo lunghi hanno fatto sì che l’arrivo di una figlia sia sopraggiunto in un periodo della vita in cui normalmente vi è un calo delle energie, in cui si arriva o si è già in pensione, in cui “normalmente” si diventa nonni.
Inoltre è particolarmente apprezzabile come la Suprema Corte abbia criticato le sentenze precedenti pro-adozione in quanto hanno giudicato una gravidanza a 57 anni una “deviazione dalla norma” e che “crea il paradosso del bambino che si occupa dei genitori“. Essere fuori dalla norma non vuol dire che le condizioni siano per forza negative.
La Sentenza della Cassazione afferma che “Lo Stato allorché ha allontanato una neonata dai suoi genitori a poche settimane dalla nascita” ha “indotto” nella bimba “il disagio”.
Ancora una volta emerge il problema degli allontanamenti dei bambini dai loro genitori, come se le persone da sole, senza i loro figli, possano diventare magicamente dei bravi genitori e i bambini senza i legami affettivi fondamentali, importanti per lo sviluppo emotivo e cognitivo possano crescere con un sano equilibrio.
A questo proposito Francesca Emiliani – Università di Bologna afferma che la deprivazione da istituzionalizzazione sia riconosciuta come specifica condizione di rischio evolutivo nell’elenco dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in rapporto alla relazione di attaccamento. Si tratta di un tema che è stato oggetto di studi classici e famosi come quelli di Spitz (1945) e di Bowlby del 1951.
La deprivazione o carenza di cure materne veniva indicata come un quadro di ritardo evolutivo composito, in quanto relativo a tutti gli aspetti dello sviluppo fisico e psicologico e che colpisce soggetti che nell’infanzia non hanno ricevuto cure adeguate.
Bowlby nel 1951 ha sostenuto che i bambini privati dell’opportunità di instaurare una relazione di attaccamento avrebbero sviluppato un carattere anaffettivo.
Negli anni 70’ diversi studi hanno dimostrato che il grave ritardo evolutivo che caratterizzava i bambini che crescevano in un istituto non era dovuto alla separazione della madre in sé ma dipendeva direttamente dalle condizioni carenti, in primo luogo in termini relazionali, della vita di istituto.
Perché invece di allontanare i figli dai loro genitori, non si studiano metodi e programmi finalizzati a sanare eventuali carenze dei nuclei familiari, qualora presentassero reali problematiche?
Perché per indagare e di conseguenza intervenire nell’ambito familiare ci si basa ancora su quello che dicono i vicini di casa come se fossero dei tecnici specializzati a rilevare determinati problemi?
Fonte http://www.lavocedeltrentino.it/2016/07/25/i-genitori-non-hanno-eta-la-clamorosa-sentenza-della-cassazione/
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