L’origine delle gonadotropine risale al 1940 quando, per la prima volta, furono isolate piccole quantità di FSH nelle urine di donne in postmenopausa. Nel 1960 fu reso disponibile un estratto purificato di gonadotropina menopausale umana (hMG) e nel 1962 fu ottenuta la prima gravidanza grazie all’utilizzo di questo farmaco. Fino a tutti gli anni ‘70 Citrato di Clomifene e Gonadotropine furono utilizzati prevalentemente in pazienti anovulatorie. Nel corso degli anni la comunità scientifica ha sempre prestato attenzione ai possibili effetti collaterali di questi farmaci e in particolare all’eventualità di sviluppo di tumori, in particolare quelli dell’ovaio, della mammella e dell’endometrio.
E’ infatti noto che fattori di tipo ormonale possono essere coinvolti nell’eziologia di alcuni tumori, in particolare quelli del sistema riproduttivo femminile. Pertanto è stato ipotizzato che i farmaci utilizzati per il trattamento dell’infertilità potessero esercitare un’azione di stimolo su questi tumori. Un consistente numero di ricerche ha cercato di affrontare i possibili effetti a lungo termine dei farmaci induttori dell’ovulazione sul rischio di cancro, ma la maggior parte di questi lavori presenta grossi limiti. Molti studi, infatti, risultano poco attendibili per l’esiguo numero di soggetti studiati, per il breve follow-up, per informazioni imprecise sul tempo di esposizione al farmaco e per l’assenza di informazioni su altri fattori confondenti che possono influenzare il rischio di cancro (1-18). Tuttavia, un numero adeguato di studi attendibili ha consentito di esprimere conclusioni abbastanza rassicuranti su questo importante capitolo delle terapie per l’infertilità.
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