lunedì 25 gennaio 2016

Mamma di un Bambino MAI Nato, una Testimonianza



          La mamma di un bambino mai nato sente dentro di sé di essere la mamma di un angelo, non potrà mai accarezzare la pelle profumata del suo bimbo, né mai vederlo crescere, cadere, rialzarsi, imparare, non potrà stargli accanto mentre ha la febbre o consolarlo per la sua prima cotta ma sarà accompagnata per sempre dalla sensazione di averlo sfiorato dentro di sé.

          Se poi, dopo una gravidanza non portata a termine la mamma non è più riuscita a rimanere incinta, questa sensazione crea un gelo e una frustrazione con cui spesso non è facile convivere.
          La testimonianza rilasciata da una mamma di un bambino mai nato sul Washington Post è estremamente toccante e delicata:


Hai figli?”
          Un po’ di anni fa, quando avevo appena trent’anni, la risposta a questa domanda era un “no” accompagnato da un sorrisino e l’immediato tentativo di cambiare argomento.
          Poi ho elaborato una nuova risposta: “Non ancora.” ma dirlo mi costa molto ed emerge un senso di colpa a causa di queste due paroline, come se negassi l’esistenza di un figlio che ho perso due anni fa.
          Era il primo e fino ad ora è stata l’unica gravidanza per me e mio marito Chris. Ci avevo messo un po’ per abituarmi all’idea di avere dei figli e, benché stessimo solo ufficialmente provando ad averli, vedere quelle due lineette rosa apparire sul test era stato un enorme shock.
Mamma di un bambino mai nato: la gioia e la sofferenza più grandi
          “Lo abbiamo detto ai nostri genitori il giorno dopo, a Pasqua, glielo abbiamo fatto sapere via Skype facendogli vedere un uovo dipinto metà rosa e metà azzurro. Per le settimane successive ero confusa, cercando di metabolizzare la novità. Il giorno della festa della mamma stava arrivando e mi sembrava irreale che alla fine anch’io lo sarei diventata.”

          Tutto cambiò in un “battito di cuore”: la prima volta che lo sentimmo durante la prima visita prenatale. Da quel momento ho iniziato ad avere idea di cosa potesse voler dire sentire quell’amore senza confini e coinvolgente per i propri figli, una sensazione che sarebbe stata incomprensibile prima. Soprannominammo il nostro bimbo “Tilton, il piccolo girino”.mamma di un bambino mai nato
          Ben presto ho iniziato a parlargli, mi sentivo fosse un maschietto….non vedevamo l’ora di vederlo da lì a pochi mesi. Nel frattempo ho eliminato vino e caffeina e ho iniziato a controllare il linguaggio che usavo.

…Non ero più sola, avevo sempre un compagno di viaggio dentro di me…Non ero riuscita a resistere e gli avevo comprato una cuffietta gialla con dei paraorecchie fatta a mano…

          Questa gioia dell’attesa si trasformò rapidamente in un dolore da spezzare il cuore: il nostro bimbo aveva una rara ma fatale anomalia cromosomica. Le possibilità di sopravviere ad una settimana dal parto erano infinitesimali e anche se fosse successo l’avrebbe atteso una vita di sofferenze. Dopo giorni passati a farci esami di coscienza, Chris e io prendemmo la straziante decisione di porre fine alla gravidanza.
Il dramma di una mamma di un bambino mai nato

          Nella mia testa sapevo che stavamo prendendo la decisione più sensata, amorevole, una decisione che nessun genitore dovrebbe mai affrontare. Il mio cuore però sentiva le ferite provocate dall’angoscia sapendo che avevamo scelto il giorno in cui avremmo messo fine alla vita di nostro figlio, ero alla 13° settimana.
          Conoscevo bene le statistiche sulle gravidanze non portate a termine e sapevo che la mia età, 37 anni, faceva lievitare il rischio ma quello che mi devastava era la profondità del mio dolore, il più forte della mia vita e mi sono resa conto di quanto la nostra società interpreti male una perdita del genere.
          Per i mesi successivi mi sentivo di annegare nelle sabbie mobili delle emozioni più brutte: disperazione, colpa, rabbia ed un’incontrollabile invidia verso ogni donna incinta sul pianeta. Ho sperimentato quanto potesse essere facile in quei frangenti prendere un flacone di pillore e buttarsi giù da un ponte…
La società è impreparata ad accogliere una mamma di un bambino mai nato

          Per ogni segno di condoglianze c’era una battuta pronta: “La natura fa il suo corso e spazza via i problemi” “Puoi provarci di nuovo!” o la mia preferita: “Credo che le cose accadano per una ragione.”
          Una delle poche cose che mi confortava era sentire di altre donne che avevano subito la mia stessa perdita, me lo confidavano solo dopo aver appreso le mie devastanti novità. Malgrado i numeri mi sentivo sola nel mio dolore.
          La perdita in gravidanza è una cosa estremamente intima, accompagnata da vari gradi di senso di colpa e vergogna. C’era poi il tabù culturale del parlare della perdita perinatale. La gente sembra terrorizzata e non vuole sentire parlare di questo lato scomodo della procreazione. E’ difficile pensare a qualcosa di più terribile dell’immagine di un neonato morto.
          Per la mamma di un bambino mai nato non poter parlare della propria perdita è orribile ma parlarne e non essere capiti, fraintesi o ricevere risposte insensibili è ancora peggio.

          “Due anni dopo la perdita del nostro piccolo Tilton la ferita si riapre ogni mese quando scopro che il mio sogno di avere un figlio è di nuovo svanito. La fecondazione assistita per noi è stata un disastro e non sappiamo quali saranno i nostri futuri passi. L’incertezza è estenuante.
          Ugualmente difficile da superare è il senso di esclusione dal club delle mamme. Scorro post, foto e articoli sui social e acquisto la consapevolezza che non potrò mai vedere il mio bimbo cresciuto. Nella mia testa risuonano queste parole: Una volta anch’io ho avevo un figlio ma non ho avuto la fortuna di crescerlo.
          Perché anch’io un giorno sono stata una mamma, anche se il mondo non mi riconosce come tale. La prossima volta che qualcuno chiederà se ho figli saprò risponderli la verità: “Uno, in Cielo.”
 Fonte: Washingtonpost

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