martedì 26 gennaio 2016

Gravidanza, troppi test non salvano il parto

Gravidanza, troppi test non salvano il parto
         IL RISCHIO ZERO purtroppo non esiste. E anche se la medicina corre veloce non c’è modo per prevenire l’imprevedibile. Lo sanno bene i medici, e dovremmo mettercelo in testa anche noi. L’Italia, insieme a Francia e Gran Bretagna, ha il più basso indice di mortalità al mondo in gravidanza, dieci donne su centomila. Che in numeri, su circa cinquecentomila parti all’anno, fa 50 donne. Un numero altissimo e bassissimo contemporaneamente, se si pensa che negli Stati Uniti la percentuale è doppia. La trombosi e l’embolia polmonare sono tra i principali rischi di morte materna. E i casi recenti hanno spinto alcuni a chiedersi se qualche test in più possa essere un salvavita.

         I rischi. Contro l’imprevisto, però, c’è poco da fare. E pensare di sottoporre tutte le donne in gravidanza ad ogni possibile esame serve solo ad aumentare i costi per il sistema sanitario, a tutelare in qualche modo il medico, ma non sortirebbe risultati apprezzabili. "E soprattutto non avrebbe alcun senso scientifico - premette Sergio Ferrazzani, da 37 anni nel reparto gravidanze ad alto rischio del policlinico Gemelli di Roma - perché l’eccesso di esami che oggi si fa quasi di routine non serve ad identificare più donne a rischio. Le gravidanze sono ad alto o basso rischio, non a rischio zero. Per fortuna quelle a basso rischio sono in maggioranza, circa l’80 per cento, ma proprio per i maggiori numeri gli eventi avversi riguardano spesso questa categoria di donne. E non c'è modo di intercettarle prima"

         Fare più esami non ha senso. "Fare più esami non ha senso. Anzi, può essere pure dannoso perché la positività ad una predisposizione non vuol dire che si sviluppi la malattia. E invece magari si sottopone una donna a terapia con eparina a basso peso molecolare per mesi e senza utilità. Essere positive a questi test non implica, cioè, che ci sia un rischio maggiore perché alcune trombofilie sono ad alto rischio, altre meno. Bisogna differenziare il risultato - aggiunge Ferrazzani - . Lo stesso per l’esame MTHFR, che individua un enzima che favorisce il metabolismo dell’omocisteina che, se è in eccesso, può danneggiare i vasi. Nel 40 per cento dei casi, però, l’enzima è aumentato ma non l’omocisteina. E invece vengono trattate tutte le donne".

         Una buona anamnesi prima del concepimento. Posto che una buona anamnesi dovrebbe essere fatta addirittura prima del concepimento, all’inizio della gravidanza a ogni donna dovrebbe essere attribuito un profilo di rischio. "Le donne ad altissimo rischio sono quelle che hanno avuto una precedente trombosi non legata ad un intervento chirurgico maggiore - continua Ferrazzani - e per queste è indicata la profilassi con eparina a basso peso molecolare sin dall’inizio della gravidanza e per sei settimane dopo il parto. Chi ha familiarità, ovvero un parente di primo grado sotto i 50 anni con trombosi, deve essere sottoposta a test che studi tutte le trombofilie, congenite e acquisite. Solo queste donne, però, non tutte".

         La trombofilia. E se il risultato fosse una positività per una trombofilia a basso rischio non basterebbe per cominciare la terapia. Come da ultime linee guida del Royal College of Obstetricians & Gynaecologists britannico, di aprile scorso, la profilassi nelle donne a rischio intermedio va fatta se la trombofilia è associata ad altri tre fattori di rischio. E tra questi ce ne sono molti modificabili, come l’eccesso di peso o il fumo. Detto tutto ciò, "anche una donna a basso rischio può sviluppare trombosi ma non saremmo in grado di prevenirla con nessun esame. Anche perché persino la terapia con eparina funziona solo al 60-70 per cento. Purtroppo non del tutto"

Fonte http://www.repubblica.it/salute/benessere-donna/gravidanza-e-parto/2016/01/18/news/troppi_test_non_salvano_il_parto_gravidanza-131526675/

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