venerdì 8 gennaio 2016

Eppure un semplice test genetico potrebbe salvare decine di vite

ROMA.
        «Queste sono morti annunciate ed evitabili». L'affer-mazione di Rosalba Paesano, professoressa del dipartimento di Scienze ginecologiche e ostetriche dell'università La Sapienza di Roma e Commendatore della Repubblica per meriti scientifici nello studio delle patologie materno-fetali, è forte almeno quanto la sua convinzione che non si tratti di fatalità. «Basterebbe fare un esame preventivo — dice a Repubblica — e si potrebbero salvare tante donne in sala parto. Ma al ministero della Salute lo ritengono non necessario, in realtà perché costa troppo. E così i protocolli che stiamo usando sono diventati obsoleti».


Dottoressa, ci faccia capire bene. Perché sostiene che gli ultimi decessi si potevano evitare?
«Nel 90 per cento dei casi le morti materno-fetali hanno in comune le patologie cardiovascolari e tromboemboliche. Stando a quanto hanno dichiarato i medici curanti, ciò risulta anche in almeno due dei recenti episodi».

E come esce fuori questo dato?
«Sono le statistiche internazionali mediche a specificarlo. E anche nella mia esperienza di perito giudiziario in tribunale, nove volte su dieci mi imbatto in casi di morte o complicazioni causate da questo tipo di patologia».

Qual è la spiegazione medica?
«Una donna di trent'anni in gravidanza ha il 10 per cento di probabilità in più di incorrere nei rischi della trombosi rispetto a una sua coeatanea non in gravidanza. Il rischio poi può aumentare fino al 100 per cento in presenza di determinati fattori: la familiarità di patologie cardiovascolari, il diabete, l'obesità, l'ipertensione».

Ma non sono cose che un normale ginecologo valuta quando segue una paziente?
«La maggior parte delle donne sul punto di partorire arrivano al pronto soccorso senza aver fatto l'esame che potrebbe salvare loro la vita».

Che esame è?
«Quello per la trombofilia ereditaria e i problemi affini: basta un prelievo di sangue, su cui vengono fatte analisi di biologia molecolare, analisi immunitarie e chimico-cliniche, ed entro pochi giorni si può scoprire se una donna durante la gravidanza è a rischio di morte per patologie cardiovascolari».

E in caso positivo qual è la terapia?
«Se la donna è già in attesa, si può somministrare l'eparina a basso peso molecolare, che evita i rischi di emorragia perché non è un anticoagulante, ma serve a prevenire la formazione di trombi. Se la gravidanza non è ancora iniziata, si fa una terapia preventiva antitrombotica con aspirina a basso dosaggio e, nel caso, anche acido folico a dosi di 400 microgrammi ».
Questo esame è previsto nelle linee guida del ministero della Sanità per le gravidanze?
«No. C'è scritto che non è obbligatorio farlo, che non è necessario se non in casi molto particolari, come quello di donne che hanno avuto già tre aborti. Ma il vero motivo è un altro ».

Quale?
«Il costo. Il sistema sanitario italiano non se lo può permettere. Ed è il motivo per cui una decina di anni fa, quando facevo parte per conto della Sapienza di una commissione che doveva decidere le linee guida tuttora in vigore, mi alzai e me ne andai senza sottoscriverle. Erano presenti altri rappresentati universitari e delegati del governo di allora. Io mi arrabbiai perché sostenevo che nelle linee guida bisognasse scrivere esplicitamente che il ministero non si poteva permettere di pagare quell'esame alle pazienti, ma non mi ascoltarono».

È un esame costoso?
«Sì. Costa circa 80 euro a mutazione, e bisogna farne almeno 15. Quindi per una paziente si superano i mille euro. Anche il ticket è alto: 350 euro. Ma è importantissimo farlo, e noto anche che molti miei colleghi sono ancora restii a prescriverlo».

Eppure siamo il Paese con l'indice di mortalità in sala parto più basso d'Europa.
«È vero. Ma queste ultime morti erano evitabili. Oltretutto, non inserendo l'esame per la trombofilia ereditaria nei protocolli, succede che in tribunale i periti dei pm finiscono per avvalorare quasi sempre la tesi della "fatalità", sostenendo che i decessi non si potevano prevedere. Invece non è così. Tant'è che so anche che il ministero sta valutando di intervenire nel 2016 sulle linee guida, perché quelle attuali sono vecchie. Speriamo che sia la volta buona».

Fonte http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2016/01/03/eppure-un-semplice-test-genetico-potrebbe-salvare-decine-di-vite12.html?ref=search

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