domenica 31 gennaio 2016

Aspirinetta in gravidanza: a cosa serve, quando prenderla, quando smettere

           Ad alcune donne, in gravidanza viene prescritta l'aspirinetta. Ma a che cosa serve esattamente questo farmaco, e quando va preso? Lo vediamo con l'aiuto di Paola Pileri, esperta di patologia della gravidanza all'ospedale Sacco di Milano.

Anticoagulante e antinfiammatorio           L'aspirinetta - a proposito, il nome preciso sarebbe cardioaspirina - è una formulazione a basso dosaggio di acido acetilsalicilico, il principio attivo dell'aspirina. Ha due effetti fondamentali: anticoagulante, perché inibisce l'aggregazione delle piastrine, e antinfiammatorio, perché riduce i livelli di alcune molecole coinvolte proprio nell'infiammazione.

aspirinettaingravidanza           Nell'ambito della gravidanza, è utilizzata da tempo in alcune categorie di donne a rischio, per la prevenzione di patologie placentari come preeclampsia, ritardo di crescita, distacco di placenta, e per ridurre la possibilità di nuovi aborti in donne che ne abbiano già avuti (si parla in questi casi di poliabortività o di aborti spontanei ripetuti). "In effetti si ritiene che all'origine di queste condizioni siano implicati anche problemi della coagulazione o fattori che spingono verso l'infiammazione" spiega Pileri. "Da qui, l'idea che un farmaco antiaggregante e antinfiammatorio possa dare una mano a ridurre i rischi".

           In realtà, l'utilizzo dell'aspirinetta in gravidanza è un tema di ricerca ancora caldo e negli ultimi anni la comunità scientifica internazionale ha discusso molto sull'efficacia di questo farmaco in varie situazioni. La conclusione è che a fronte di situazioni in cui l'aspirinetta è sicuramente indicata, ce ne sono altre in cui non è ancora chiaro se e quanto serva davvero. "Purtroppo è difficile giungere a conclusioni definitive, perché le condizioni in gioco sono tante, con esiti simili che possono dipendere da cause molto diverse tra loro", commenta la ginecologa.

Quando l'aspirinetta serve davvero           Esperienza clinica e letteratura scientifica dicono chiaramente che l'aspirinetta serve per ridurre il rischio di patologie placentari - preeclampsia, ritardo di crescita fetale, morte in utero, distacco di placenta - e di aborto in donne che hanno una condizione chiamata sindrome da anticorpi antifosfolipidi o che, pur non avendo la sindrome, hanno comunque questi anticorpi.

           In generale, sia una revisione critica dell'associazione Cochrane, sia le Linee guida sull'ipertensione in gravidanza del Nice, istituto nazionale inglese per la salute e l'eccellenza clinica, dicono che l'aspirinetta è indicata per tutte le donne a elevato rischio di preeclampsia, anche per cause diverse dalla sindrome da anticorpi antifosfolipidi. "Questi documenti sottolineano che in questi casi il farmaco riduce in modo significativo il rischio di forme gravi di preeclampsia, mentre è meno efficace rispetto a forme più lievi, che però preoccupano meno" spiega Pileri.

Per essere davvero efficace, l'aspirinetta andrebbe presa prima delle 12 settimane di gravidanza, o almeno entro le16 settimane
           Perché funzioni davvero, però, l'aspirinetta va presa il prima possibile: l'ideale è prima delle12 settimane di gravidanza, e comunque al massimo entro le 16 settimane. "Questo perché le fasi più importanti della formazione della placenta avvengono proprio nelle prime settimane di vita dell'embrione, ed è su queste che si pensa che intervenga il farmaco", specifica Pileri.

Preclampsia: ecco chi è a rischio
Il vero problema, però, è capire esattamente chi è a rischio di preeclampsia, perché al momento i fattori di rischio riconosciuti sono pochi. Ecco quelli elencati dalle Linee guida del Nice:
  • aver avuto preeclampsia in una gravidanza precedente;
  • pressione alta cronica;
  • malattie renali;
  • alcune malattie autoimmuni come il lupus sistemico o la sindrome da antifosfolipidi;
  • diabete.
Le Linee guida, inoltre, suggeriscono di prestare attenzione ad alcuni fattori che, presi da soli, non sembrano rappresentare un rischio particolare, ma che diventano preoccupanti se sono presenti contemporaneamente. Per esempio l'obesità, la gravidanza gemellare, il fatto di avere più di 40 anni, il fatto di avere una storia famigliare di preeclampsia. In altre parole: non è che tutte le donne incinte con più di 40 anni debbano prendere aspirinetta, ma se sono anche obese oppure aspettano due gemelli, molto probabilmente il medico gliela prescriverà.

"In pratica, quello che le Linee guida inglesi suggeriscono è di assegnare una sorta di punteggio a ogni fattore critico, e sulla base del conteggio finale decidere se somministrare il farmaco o meno" precisa Pileri. È un nuovo modo di affrontare il rischio, molto personalizzato".

Prevedere la preeclampsia
I veri fattori di rischio per la preeclampsia sono pochi: nella maggior parte dei casi, questa temibile condizione si manifesta alla prima gravidanza, senza che niente nella storia personale o famigliare della donna possa farlo sospettare. Proprio per questo, la ricerca scientifica sta facendo un grosso sforzo per cercare di individuare elementi utili per ladiagnosi precoce del rischio di preeclampsia, con l'obiettivo di identificare con un test di semplice esecuzione le donne davvero a rischio di sviluppare la malattia tra tutte quelle in gravidanza. E di farlo il prima possibile perché, come abbiamo visto, i farmaci utili per la prevenzione servono solo se presi prima delle 12-16 settimane.
I filoni di ricerca principali in questo ambito sono due: uno riguarda lo sviluppo di test basati su proteine della placenta, che possono essere misurate attraverso un semplice esame del sangue. In alcuni ospedali questi test, che per il momento sono sperimentali, vengono proposti durante il bi-test. "Però è importante spiegare alle donne che, per quanto possano dare un'indicazione, non sono ancora completamente affidabili" spiega Valentina Pontello, esperta di gravidanze a rischio e consulente dell'associazione Ciaolapo Onlus per la tutela della gravidanza e della salute perinatale. "Quindi, se il test segnala un aumento di rischio non bisogna preoccuparsi troppo: non è detto che ci si ammalerà davvero, ma per precauzione la gravidanza sarà seguita con qualche controllo in più".
Un'altra linea di ricerca riguarda l'utilizzo della flussimetria Doppler delle arterie uterine e ombelicali. Si tratta di una particolare ecografia che analizza proprio la quantità e la velocità del sangue che circola in questi vasi per valutare il funzionamento della placenta. La sfida è ottenere da questo esame informazioni utili già nel primo trimestre di gravidanza.

Poliabortività: non sempre l'aspirinetta risolve il problema
          Per molto tempo è stata abitudine comune prescrivere l'aspirinetta in modo automatico a tutte le donne che avessero avuto tre o più aborti, magari senza indagare in modo dettagliato le possibili cause di questa situazione. In realtà, non è detto che in questi casi il farmaco serva davvero, e aiuti a portare avanti una nuova gravidanza.

            Come abbiamo visto, l'aspirinetta è efficace se gli aborti ripetuti sono associati alla presenza di anticorpi antifosfolipidi. "Invece, al momento non ci sono prove che serva davvero nei casi in cui, nonostante indagini approfondite, non si riesca a individuare una possibile causa degli aborti ripetuti" spiega Pileri, citando in proposito le conclusioni di un'altra revisionedell'associazione Cochrane. "Il che non vuol dire che non la si possa usare in questi casi, ma solo che non andrebbe prescritta a tappeto, in modo automatico".

Non ci sono prove che l'aspirinetta serva davvero nei casi di aborti ripetuti per i quali non è stata identificata una causa
         "Il punto è che stiamo pur sempre parlando di un farmaco, che dunque può avere effetti collaterali: per esempio il rischio di reazioni allergiche, di sanguinamenti, di distacchi di placenta, di emorragie del feto se bisogna procedere d'urgenza a un parto operativo e l'aspirinetta non è stata sospesa per tempo. Certo, si può anche decidere di somministrarla in casi "dubbi", per i quali non c'è il pieno sostegno di conclusioni scientifiche solide, ma bisogna farlo solo dopo un'attenta valutazione, e mai con leggerezza".

         Un discorso analogo vale per l'assunzione da parte di donne che seguono percorsi di fecondazione assistita. "Anche in questo caso a volte è prescritta in modo automatico, partendo del presupposto che queste donne abbiano di fondo qualche problema infiammatorio, ma in realtà anche in questo caso andrebbe fatta una valutazione più personalizzata" sostiene la ginecologa. "Non tutte le donne che affrontano un PMA ne hanno bisogno".

Aspirinetta in gravidanza: quando smettere
          Bisogna subito interrompere l'assunzione di aspirinetta se si verificano reazioni allergiche(come orticaria), sanguinamenti vaginali ripetuti o perdita di sangue dal naso e nel caso in cui ci sia placenta previa, cioè una placenta inserita nella parte bassa dell'utero, a coprire l'apertura dell'utero stesso.
         Inoltre, il farmaco va sospeso se si dovesse rendere necessario un intervento chirurgico, anche per motivi diversi dalla gravidanza: per esempio per appendicite.
Se tutto va bene, l'aspirinetta va comunque sospesa un po' prima del parto: almeno una settimana prima, ma per stare tranquilli alcuni preferiscono interrompere qualche settimana prima della data prevista per il parto spontaneo o programmato.

Gravidanza, la prima visita dal ginecologo

Ho scoperto di essere incinta, a quale ginecologo mi affido?
         Nella scelta del ginecologo “è fondamentale il rapporto di fiducia e di stima nei confronti del professionista, a prescindere dal luogo in cui il medico lavora,” dice Stefano Bianchi, professore associato di ginecologia-ostetricia dell’Università di Milano e primario all’Ospedale San Giuseppe di Milano. E continua: “Ci sono però alcune situazioni specifiche di patologie materne o di rischio per il feto che possono indicare l’opportunità, se non la necessità, di rivolgersi a professionisti che lavorano in strutture di terzo livello. Ovvero in strutture dove sono disponibili i servizi di diagnosi prenatale, consulenze genetiche o consulenze con altri specialisti che possono risolvere in modo più efficace e tempestivo eventuali incertezze o dubbi sul prosequio della gravidanza”.
E' fondamentale scegliere un ginecologo di cui si ha stima e fiducia 
Quando è il periodo giusto per fare la prima visita?
ecografia_ginecologp         Il consiglio del medico è: la prima visita dovrebbe essere fatta tra la sesta e l’ottava settimana. Non prima della sesta settimana e meglio non dopo l’ottava. Quali sono le ragioni? Prima della sesta settimana, osserva Bianchi, non sarebbe possibile “identificare con un’ecografia la presenza di una gravidanza in utero e un battito cardiaco fetale presente”. Dopo l’ottava settimana invece potrebbero sfuggire “alcune situazioni specifiche della gravidanza, come la gravidanza extrauterina o la gravidanza molare (più infrequente)”.
         Non aspettare troppo è opportuno anche perché “la coppia può avere tutte le informazioni sulla diagnosi prenatale e ha il tempo di elaborarle e discuterle, per poter fare una scelta il più possibile ragionata e consapevole”. E ancora: è bene fare all’inizio della gravidanza determinati esami del sangue che potrebbero mettere in luce alcuni elementi di rischio. Elementi che è meglio sapere tempestivamente.
Che cosa succede durante la prima visita?
         Durante la prima visita, il ginecologo deve: ricostruire l’anamnesi della paziente, ossia la storia della mamma e della famiglia, prescrivere gli esami del sangue, prescrivere gli esami delle urine, verificare quando è stato fatto il Pap test, la visita ginecologica, l’ecografia.
Fonte http://www.nostrofiglio.it/gravidanza/settimane-1-13/visita-ginecologo

Mamme a casa dopo 6 ore dal parto: sperimentazione anche in Italia

bambino appena nato          Un esperimento felicemente in corso all’ospedale Torregalli di Firenze, dove il direttore del dipartimento, Marco Pezzati, spiega che il tutto è stato fatto per cercare di far avvicinare la mamma alla famiglia nel minor tempo possibile e, dunque “umanizzare” un evento che di norma genera stress inesorabile.

parto-cesareo-postoperatorio          Di norma, come in tutti i punti di nascita in Italia, la mamma e il bebè vengono dimessi dopo 2 giorni se il parto è stato vaginale, e dopo 3 giorni se il parto è stato con taglio cesareo. Tuttavia, è pur vero che non tutti i genitori e i figli sono uguali, e che se da una parte esistono dei casi in cui pochi giorni nel reparto sono – appunto – pochi, dall’altra parte ci sono famiglie che non vedono l’ora di tornare a casa, poiché nell’ambiente domestico trovano più sicurezza e coinvolgimento. Dunque, sottolinea Pezzati, se la situazione lo permette, ben venga la dimissione – lampo della mamma.

parto-neonato1          La decisione di avviare questa procedura dovrà naturalmente essere su richiesta dei genitori, previa approfondita informativa e assistenza. Una volta che i genitori hanno richiesto di essere coinvolti in questa procedura, prende il via l’attento monitoraggio del parto e delle prime due ore del post parto. Viene inoltre osservata una lunga serie di comportamenti: se ad esempio il bimbo fa un pelle a pelle con la mamma, se si attacca regolarmente al seno, e così via. Non mancano, ovviamente, i controlli e le visite al neonato, al fine di eliminare ogni fattore di rischio.

          Una volta dimessi dall’ospedale, mamma e neonato sono comunque sempre raggiungibili, e ai genitori viene dato un numero a cui telefonare, 24 ore su 24, per poter richiedere l’intervento di un’ostetrica a domicilio. Dopo qualche giorno, mamma e neonato sono inoltre tenuti a ritornare nella struttura per fare un controllo e vedere se tutto va bene.

Non male, no? Che ne pensate?
Fonte http://www.mammeoggi.it/mamme-a-casa-dopo-6-ore-dal-parto/14679/

Congedo paternità 2016: le novità e come usufruirne

congedopaternita           Un ampliamento del congedo parentale obbligatorio per i papà dipendenti entrato in vigore con la Legge di Stabilità 2016.

        La durata del congedo passa da uno a due giorni, più 2 giorni di congedo facoltativo da utilizzare alternativamente alla madre in astensione obbligatoria (a condizione quindi che la madre rinunci a due giorni del proprio congedo) e spetta a partire dal 1° gennaio 2016 ai lavoratori dipendenti. Vediamo come funziona e come fare la richiesta.

Congedo paternità 2016: a chi spetta e in che cosa consiste

        Il congedo papà 2016 è un congedo di astensione dal lavoro che spetta ai lavoratori dipendenti in occasione della nascita del figlio o a genitori affidatari o adottivi entro e non oltre il 5° mese di vita del bambino.

        Fino al 2015 i papà potevano avere 1 solo giorno di congedo di paternità INPS obbligatorio + altri 2 giorni di congedo facoltativo, alternativo al congedo di maternità della madre, entro e non oltre il 5° mese di vita del bambino.

La novità del 2016? 
        La normativa è stata invece modificata per effetto della nuova Legge di Stabilità 2016, (nello specifico dal comma 205 dell’articolo 1 della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015). In via sperimentale è stato aumentato il congedo obbligatorio per i papà da 1 a 2 giorni. Ed è stato mantenuto a 2 giorni il congedo facoltativo. 

Chi paga e quanto viene dato al papà in congedo?

        Ai papà in congedo spetta il 100% di retribuzione, sia per i due giorni obbligatori che per i due facoltativi. L'indennità è a carico dell'INPS, ma viene anticipata in busta paga dal datore di lavoro e recuperata attraverso conguaglio con i contributi da versare mensilmente all'INPS.
  
Come richiedere il congedo paternità 2016?

Sono previste due modalità: 
  1. Se l'indennità di congedo è anticipata dal datore di lavoro la richiesta deve essere presentata in forma scritta al datore di lavoro. In questa comunicazione dovranno essere indicate le date in cui il papà intende fruire dell'astensione dal lavoro, con un anticipo di almeno 15 giorni, o data presunta del parto, se intende utilizzare i giorni spettanti in occasione della nascita del figlio.
  2. Se l'indennità avviene in modo diretto da parte dell’INPS, la domanda deve essere presentata per via telematica all'istituto attraverso i servizi telematici:
- Direttamente compilando il modulo domanda congedo papà INPS: se si possiede il PIN - dispositivo INPS;
- tramite Contact Center integrato – n. 803164;
- oppure, tramite Patronati.
Il comma 205 dell’articolo 1 della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015 
        Il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, da fruire entro i cinque mesi dalla nascita del figlio, nonche' il congedo facoltativo da utilizzare nello stesso periodo, in alternativa alla madre che si trovi in astensione obbligatoria, previsti in via sperimentale per gli anni 2013, 2014 e 2015 dall'articolo 4, comma 24, lettera a), della legge 28 giugno 2012, n. 92, sono prorogati sperimentalmente per l'anno 2016 ed il congedo obbligatorio e' aumentato a due giorni, che possono essere goduti anche in via non continuativa. Ai medesimi congedi, obbligatorio e facoltativo, si applica la disciplina recata dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 22 dicembre 2012, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 37 del 13 febbraio 2013. Alla copertura dell'onere derivante dal presente comma, valutato in 24 milioni di euro per l'anno 2016, si provvede quanto a 14 milioni di euro mediante corrispondente riduzione del Fondo sociale per occupazione e formazione di cui all'articolo 18, comma 1, lettera a), del decreto-legge 29 novembre 2008, n. 185, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2.

Fonti: Gazzetta Ufficiale, GuiidaFisco.it

sabato 30 gennaio 2016

Sono incinta e non accetto il mio corpo

Non mi piace essere incinta

         Uno degli aspetti più peculiari della gravidanza è sicuramente rappresentato dai cambiamenti corporei che essa determina. Cosa fare se il pensiero fisso è: non mi piace essere incinta? Per certi aspetti l’esperienza di vedere il proprio corpo cambiare, di sentirlo diverso è stata già sperimentata nel corso della pubertà e dell’adolescenza.
         La psicoanalisi ha classicamente interpretato questo vissuto come qualcosa di estremamente perturbante: il lutto per il corpo infantile da elaborare, la scoperta di un corpo sessuato e generativo, il conseguente allontanamento dagli oggetti primari per il timore di mettere in atto le fantasie sessuali
         Per la maggior parte delle donne la gravidanza è un’esperienza unica, e queste modificazioni vengono perfettamente integrate senza creare particolari problemi. Sono considerate giustamente transitorie e soprattutto finalizzate alla vita del proprio figlio. In altri casi, fortunatamente rari, è possibile che il vissuto soggettivo all’interno del corpo modificato dalla gravidanza non sia gestibile: a prevalere è l’angoscia che non si tornerà più le stesse, che a causa del figlio il proprio corpo è stato mostrificato, ci si sente depresse perchè anche laddove ci si riuscisse ad accettare tra le proprie mura domestiche, l’inferno è fuori, dove nessuno sguardo sembra più apprezzare la bellezza del corpo.
         Bisogna sempre valutare attentamente il grado di pervasività e la stabilità nel tempo di una simile ideazione. Essa infatti può perdurare anche una volta avvenuto il parto e può essere rivelatrice di una condizione di depressione post-partum. Inoltre questo tipo di nucleo tematico può anche portare alla restrizione alimentare, che naturalmente rappresenta un fattore di rischio per l’accrescimento e per la salute del nascituro
         Per la maggior parte delle donne la gravidanza è un’esperienza unica, e queste modificazioni vengono perfettamente integrate senza creare particolari problemi. Sono considerate giustamente transitorie e soprattutto finalizzate alla vita del proprio figlio. In altri casi, fortunatamente rari, è possibile che il vissuto soggettivo all’interno del corpo modificato dalla gravidanza non sia gestibile: a prevalere è l’angoscia che non si tornerà più le stesse, che a causa del figlio il proprio corpo è stato mostrificato, ci si sente depresse perchè anche laddove ci si riuscisse ad accettare tra le proprie mura domestiche, l’inferno è fuori, dove nessuno sguardo sembra più apprezzare la bellezza del corpo.
/pictures/20160128/sono-incinta-e-non-accetto-il-mio-corpo-4152482634[1659]x[691]780x325.jpeg         Bisogna sempre valutare attentamente il grado di pervasività e la stabilità nel tempo di una simile ideazione. Essa infatti può perdurare anche una volta avvenuto il parto e può essere rivelatrice di una condizione di depressione post-partum. Inoltre questo tipo di nucleo tematico può anche portare alla restrizione alimentare, che naturalmente rappresenta un fattore di rischio per l’accrescimento e per la salute del nascituro.
Fonte http://www.pianetamamma.it/gravidanza/corpo-che-cambia/sono-incinta-e-non-accetto-il-mio-corpo.html

Il primo pianto di un neonato

Il primo pianto del neonato alla nascita

/pictures/20160129/il-primo-pianto-di-un-neonato-3503544737[973]x[407]780x325.jpeg          Non c'è cosa più desiderata al mondo di sentire per la prima volta la voce del proprio bambino appena nato. Dopo le fatiche del parto, che sia spontaneo o cesareo, sentire quel suono fa cancellare ogni paura, ogni dolore e ogni stanchezza. Ma a cosa serve il primo pianto del bambino? Ed è strettamente necessario che lo faccia? Vediamo di parlarne un pochino insieme.
          Per capire l'importanza o meno del pianto alla nascita dobbiamo partire da qualche nozione di fisiologia prenatale. Nella pancia della mamma, i bambini fanno dei movimenti respiratori ossia sollevano e abbassano il torace come se stessero respirando. Essendo immersi nel liquido amniotico ovviamente non possono respirare ossigeno, e questi movimenti sono una sorta di allenamento per la vita fuori dall'utero. Inoltre, i polmoni stessi del bambino sono predisposti per vivere immersi nel liquido che il bambino ha intorno e che capita possa aspirare. In che modo? Gli alveoli polmonari (luogo in cui l'ossigeno passa per arrivare al sangue e l'anidride carbonica viene liberata per essere soffiata fuori) sono collabiti, chiusi per impedire che anche una sola piccola goccia di liquido amniotico possa passare e causare una polmonite da aspirazione.
          Una volta avvenuto il parto però, è strettamente necessario che il bambino faccia il suo primo respiro per dilatare gli alveoli e permettere il passaggio dell'ossigeno. Ed è proprio in questo momento che si inserisce il primo pianto del nonato. Il passato ci consegna racconti di bambini sculacciati a testa in giù per far si che riescano a piangere e il motivo risiede in una vecchia credenza secondo cui l'urlo dovuto alla sberla avrebbe consentito una dilatazione più rapida degli alveoli e un primo respiro in tempo inferiore. In tempi recenti si è arrivati ad accantonare questa pratica un pochino cruenta, passando ad uno strofinamento vigoroso della schiena che fa scatenare comunque il pianto.
          Voglio però rassicurarvi su una cosa, il primo respiro al bambino non causa alcun dolore, è una cosa che lui sa di dover fare e che è fisicamente pronto a compiere ( i movimenti respiratori in pancia a cui facevo riferimento prima). In quel momento ha necessità di espandere i suoi alveoli e di incamerare ossigeno; immaginatevi per un momento di essere voi al mare o in piscina, in apnea e vi rendete conto che dovete risalire in superficie per respirare. Nel momento in cui respirate non sentite dolore, piuttosto un gran sollievo perché non ce la facevate più senza ossigeno. Il bambino che nasce prova la stessa sensazione.
          Piange disperato perché infastidito da sberle, sfregamenti, luci forti dritte negli occhi che altro non fanno se non disturbarlo. Come avrete già capito voglio portarvi a capire che la questione fondamentale non è che il neonato pianga ma che respiri. Ho assistito a parti sereni, tranquilli, con luci soffuse in cui il neonato non emette alcun tipo di pianto eppure respira, si adatta bene alla vita fuori dall'utero e apre gli occhi per guardare la sua mamma e il suo papà.
          Il pianto alla nascita (e poi per tutti i mesi successivi fino a quando il bambino saprà parlare) è il solo modo che questi piccolini hanno per comunicare con noi, per richiamare la nostra attenzione su qualcosa di cui hanno bisogno o da cui sono infastiditi che siano fame, sonno, sberle o sfregamenti. Quindi, in conclusione, non preoccupatevi mai se il vostro bambino appena nato non piange, è solo sinonimo di serenità e rilassamento, del fatto che son stati rispettati i suoi tempi in travaglio e durante il parto. Certo bisogna assicurarsi che stia respirando, ma a quello ci penseranno gli operatori che vi avranno assistito. Voi dovete anzi avete il diritto di godervi questo primo momento, questo primo incontro con l'amore più grande della vostra vita.
Fonte http://www.pianetamamma.it/parto/partorire-parto/primo-pianto-neonato-nascita.html

I bambini nati con FIVET hanno performance neurologiche migliori

         Alcuni test neurologici hanno evidenziato  che le performance dei bambini nati con la Fivet sono migliori rispetto a quelle dei nati naturalmente.
         Questa conclusione preliminare di uno studio, fatto all’Università dell’Iowa dal Dr. Maine del Dipartimento di Ginecologia e dal Dr. Zimmerman del Dipartimento di Biostatistica, su 423 bambini nati con tecniche di fecondazione assistita FIVET.
         Sono stati usati 2 test che valutano le funzioni cognitive sia su questo gruppo sia su quello di controllo  della stessa età, provenienza geografica e scolastica, condizioni sociali, culturali, età materna ed eventuale divorzio dei genitori.
         C’erano preoccupazione riguardo la salute anche mentale dei bambini nati con tecniche di fecondazione assistita. Anche se è necessario un periodo più lungo di osservazione , questi dati preliminari cominciano ad essere rassicuranti per un tema così importante.
Twitter@Claudio_Manna

Fecondazione assistita, risultati migliori con la dieta mediterranea

dieta_mediterranea_2        A questa conclusione porta uno studio effettuato da Mariana Vujkovic in Olanda presso il Dipartimento di Ginecologia ed Ostetricia dell’Università Erasmus di Rotterdam. Gli studiosi hanno verificato i risultati della Fecondazione assistita in un gruppo di 161 donne appartenenti ad altrettante coppie infertili. Con un questionario è stata indagata la dieta abituale di queste donne. Alcune seguivano una dieta cosiddetta “Mediterranea” comprendente un alto tasso di oli vegetali, verdure, pesce, legumi e basse quantità di “snack”. Le altre mangiavano in maniera significativa “snack”, maionese e carni.
I risultati della Fecondazione assistita con tecnica ICSI hanno dimostrato un tasso di gravidanza significativamente più elevato nelle donne che facevano uso intenso di dieta mediterranea rispetto all’altro gruppo di donne. La ragione di questi risultati sarebbe legato ad una sostanza, l’Omocisteina, presente nel liquido follicolare dove è immerso l’ovocita che potrebbe essere danneggiato da una eccessiva quantità proprio di Omocisteina. Infatti le sue conFOLLICOLO-OVOCITAcentrazioni erano basse nel gruppo di donne dedite alla dieta mediterranea. Nei soggetti con una dieta diversa e povera perciò in Vitamine del gruppo B6, B12 e folati risulta invece un accumulo di Omocisteina all’interno dei follicoli. Altri studi avevano dimostrato in passato che questo accumulo corrispondeva anche ad un basso numero di ovociti raccolti e ad una scarsa qualità degli embrioni ottenuti con la Fecondazione assistita.
Da un punto di vista più generale della riproduzione umana non sono da trascurare anche le numerose osservazioni che riguardano l’influenza positiva sugli spermatozoi delle sostanze antiossidanti di cui la dieta mediterranea è particolarmente ricca.
Questi studi aprono scenari nuovi sia perché sfuggono ancora molte delle ragioni per le quali alcuni soggetti sono più fertili rispetto ad altri a parità di elementi individuali come l’età e la situazione ormonale di base, sia perché sarà possibile consigliare un regime dietetico appropriato alle coppie infertili per aiutarle anche a tavola.

Perché in Italia si fanno così tanti cesarei?

parto-cesareo-in clinica       Molti sostengono che l’incremento di cesarei sia legato all’aumento dell’età media della prima gravidanza. Eppure se così fosse questo dovrebbe accadere in tutto l’Occidente, non solo in Italia. Sarebbe interessante intervistare le donne che hanno scelto un cesareo per capire quali fossero le loro motivazioni. Non avendo questi dati a disposizione non possiamo che rispondere alla domanda con delle osservazioni. Il fatto che i cesarei siano più frequenti al Sud che al Nord fa pensare che la cosa abbia a che fare con la malasanità ospedaliera. Da un lato ci sono le pazienti, che conoscono i disservizi di questa malasanità, vissuta di persona o raccontata da terzi.
       Che si tratti di luoghi comuni o di realtà, insomma, è frequente l’idea che l’ospedale al Sud non sia un luogo sicuro, che il personale medico e ostetrico di turno possa non essere accogliente o sufficientemente preparato ad affrontare le emergenze che possono insorgere durante un parto. Per questo motivo al Sud si guarda ai consultori e agli ospedali pubblici come a luoghi dove viene riservato un trattamento di serie B e si preferisce affidarsi ad un ginecologo privato di fiducia, che curi gravidanza e parto.
foto_parto_cesareo       Ma è facile porsi la seguente domanda: “Questa scelta del ginecologo privato come è collegata alla scelta del taglio cesareo?”. E qui entrano in gioco altri fattori. Un ginecologo che segue una paziente privata, per motivi etici e legali, ha l’obbligo di esserci in ogni momento in cui lei abbia bisogno di assistenza. Significa che, se si lascia fare alla natura e la paziente entra in travaglio ad esempio la notte di Capodanno, il ginecologo è tenuto a lasciare tutto quello che sta facendo e ad accorrere in clinica per seguirla. Il che sarebbe teoricamente etico e giusto così, dato che un ginecologo privato viene pagato profumatamente. Ma in pratica la cosa non è facilmente gestibile dal medico, specie se ha diverse pazienti da seguire. Questo potrebbe essere uno dei motivi per cui un ginecologo privato potrebbe preferire di programmare dei tagli cesarei ed avere una agenda organizzata piuttosto che essere preda del caso.
       Un altro fattore da non sottovalutare è la pressione psicologica che vivono i medici rispetto alle frequenti denunce che vengono fatte in ostetricia. Un parto per via vaginale necessita di un’assistenza lunga, attenta e vigile che sia in grado di riconoscere con tempismo ogni possibile complicazione. Essendo poi un evento che prevede anche la partecipazione fisica ed emotiva della madre, la riuscita non dipende solo dal personale sanitario e questo può essere difficile da gestire praticamente. Difatti ogni atto medico, fatto o non fatto, può essere oggetto di malcontento della madre e quindi di denuncia dopo il parto.
       In conclusione, il cesareo non è più sicuro del parto per via bassa, ma fatto sta chesono pochi i parti che vengono vissuti davvero bene dalle donne e che si svolgono in maniera del tutto naturale, e sono invece ancora tanti i parti indotti, le lesioni perineali, le episiotomie e i parti operativi. Allora sarà per queste esperienze condivise o per una fobia innata, ma tutte le donne hanno una inconscia paura del parto.
       Se come accade al Sud non c’è nemmeno fiducia nelle ostetriche e nei medici delle strutture pubbliche la situazione peggiora. Quindi se una donna fa trasparire delle remore nei confronti del parto naturale spesso per il ginecologo privato non ci sono opposizioni ad operarla, perché un cesareo per lui è molto più gestibile: è prevedibile nei tempi, la sua riuscita ottimale dipende solo dalle capacità del chirurgo e dell’anestesista e la possibilità di denuncia è più rara.
Fonte http://www.passionemamma.it/2016/01/perche-in-italia-si-fanno-cosi-tanti-cesarei/

Parto in acqua: informazioni e costi

         Al massimo se l’ospedale ha una sola vasca è sempre consigliabile informarsi per prenotarla prima, così come per prenotare la prestazione di un’ostetrica che sappia procedere col parto in acqua. Come mi hanno raccontato molte amiche che hanno avuto il parto in acqua in diverse città italiane.
         C’è poi differenza tra travaglio in acqua e parto totale in acqua. Molte scelgono infatti di fare solo il travaglio in acqua perché allevia le sofferenze, ma non tutto il parto, perché quando inizia la fuoriuscita di liquidi vari, c’è il possibile rischio di infezioni. Ma niente di più, non fatevi spaventare da notizie americane sui pericolo del parto in acqua!
foto_maniglie-per-travaglioÈ possibile fare anche il parto in acqua in casa, anche in questo caso le associazione di ostetriche che fanno anche parto in acqua possono aiutarci a trovare la vasca giusta, a comprare tutto quello che serve, a ingaggiare l’ostetrica adatta che vi segua anche in casa. E che semmai ha anche l’attrezzatura e dei fornitori da consigliarvi per risparmiare e scegliere al meglio. Semmai dove poter anche affittare la vasca.
         Fare il parto in acqua a casa, sicuramente questo ha un costo! Così come sarebbe per qualsiasi parto a casa, in cui bisogna pagare la prestazione professionale dell’ostetrica che viene a domicilio e vi segue per tutta la nascita.
Prestazione medica che sicuramente ha un costo abbastanza elevato, e che cambierà da regione a regione, dato i diversi costi di molto servizi, anche medici, in Italia, da Nord a Sud.
         Un papà entusiasta dell’esperienza di parto in acqua ha aperto un sito, dove vende anche l’attrezzatura per fare un completo parto in acqua a casa. Facendo arrivare lavasca, che può essere di due misure: mini o regular, da una famosa impresa produttrice britannica “The Good Birth Company Ltd” specializzata in vasche per parto in acqua, al solo costo di 155 euro! Davvero economica se ci pensate! E poi può essere riutilizzata per altri usi più domestici, dopo la nascita!
         Mattia ha davvero pensato a tutto e sul suo sito Vita Per Aquam trovate tutto quello che vi serve! Con prezzi e carrello per acquistare, ma anche link ad info, link ad associazioni che praticano parto in acqua in tutta Italia, blog con racconti. Provate a sfogliare il sito: sono sicura che convincerà anche voi a procedere col parto in acqua, a me ha fatto venire davvero voglia!
Fonte http://www.passionemamma.it/2016/01/parto-in-acqua-informazioni-e-costi/

venerdì 29 gennaio 2016

Procreazione assistita a tempo di musica

         Procreati grazie alla dolce melodia della "nostra canzone": non è la trovata di due genitori romantici, ma una nuova tecnica per la fecondazione degli ovociti sperimentata di recente presso l’Istituto Marquès di Barcellona, Centro di riproduzione assistita. I primi nati frutto di questo "esperimento procreativo" si chiamano Tobias e Sasha: due gemellini italiani, nonostante la fecondazione sia avvenuta in Spagna. Procreazione assistita a tempo di musica
         La tecnica. I ricercatori dell’Istituto Marques hanno messo a punto una tecnica che utilizza le microvibrazioni musicali negli incubatori dove si trovano gli ovociti prima della fecondazione, fino al giorno in cui sono trasferiti nell’utero della donna. “Abbiamo scoperto che le microvibrazioni della musica aumentano le possibilità degli spermatozoi di fecondare l’ovocita in laboratorio” spiega Federica Moffa, ginecologa specializzata in medicina riproduttiva presso la clinica spagnola. In medicina riproduttiva si cerca, da sempre, di riprodurre le stesse condizioni presenti nell’utero materno, cioè temperatura, oscurità, livelli di Co2 e ossigeno. La grande sfida è stata riuscire a riprodurre i continui movimenti intrauterini. “Grazie alla musica negli incubatori, adesso siamo in grado di riprodurre movimenti analoghi a quelli peristaltici delle tube di Falloppio, dove si muovono gli ovociti nel loro cammino naturale verso l’utero. Un’innovazione che ha comportato un aumento del 5% della percentuale di fecondazione, ovvero delle probabilità per gli spermatozoi di fecondare gli ovociti” prosegue l’esperta.         Lo studio. A supporto dell’utilizzo di questa tecnica, di cui si parlerà anche al prossimo Fertility Show di Londra, è stato realizzato anche lo studio “Impact of exposure to music during in Vitro culture on embryo development” presentato di recente al Congresso della Società Europea di Riproduzione (ESHRE). Lo studio ha analizzato 985 ovociti fecondati di 114 pazienti differenti. Gli ovociti di ogni paziente sono stati suddivisi in due gruppi, ognuno dei quali sottoposto a differenti colture: il primo in un incubatore dotato di altoparlante e il secondo in un incubatore convenzionale. Lo studio ha dimostrato che gli ovociti in coltura con le microvibrazioni musicali hanno avuto una percentuale di fecondazione maggiore (+4,8%) rispetto agli altri.         Quale musica. Tutti gli incubatori embrionari sono stati dotati di altoparlanti e, grazie al supporto di tecnici del suono, il team del dipartimento di embriologia della clinica ha creato un programma capace di emettere microvibrazioni per 24 ore al giorno, selezionando tre differenti stili musicali: pop, heavy metal e musica classica, anche se, come precisa la ginecologa Moffa “non sono state rilevate importanti differenze tra l’uno o l’altro genere musicale”.         Musico-terapia per gli embrioni. Sono numerosi gli studi riguardanti gli effetti della musica sull’embrione e sul feto umano durante il periodo di gestazione. Si sa che l’udito comincia a svilupparsi durante le prime settimane di vita del feto e che è il senso che maggiormente si sviluppa durante la vita intrauterina. Il feto non solamente è capace di percepire i suoni provenienti dall’esterno, ma è anche capace di riuscire a identificare la voce della madre e addirittura, sulla base di alcuni studi condotti recentemente, di poter poi riconoscere questi suoni dopo la nascita. Per quanto riguarda gli ovociti, invece il discorso è del tutto differente, infatti in questa fase non è ancora cominciato il processo di sviluppo neurosensoriale embrionario, per cui la musica è utilizzata unicamente come fonte di vibrazioni.
Fonte http://d.repubblica.it/famiglia/2013/11/18/news/procreazione_assistita_con_musica-1890452/

Il Bitest, questo sconosciuto...

        Innanzitutto quando ci si sottopone ad un test, di qualunque tipo, ma ancor più quando si tratta di screening, occorre che si comprenda bene il significato e solo dopo scegliere se farlo o no. Voglio dire che è assurdo sottoporsi ad un test e poi, di fronte ad un risultato inatteso, porsi dopo il problema di quale sia il suo significato e la sua interpretazione.
        Innanzitutto occorre capire la differenza fra screening e test diagnostico. Uno screening come il bitest non è concepito per fornire una diagnosi, cioè una risposta del tipo SI o NO, ma solo per riconoscere casi a rischio superiore alla popolazione normale, tanto che il risultato, non a caso viene espresso in percentuale o con un rapporto tipo 1:50.
        Ogni test di screening ha una sua sensibilità e una sua specificità. La sensibilità in particolare è la capacità di individuare quanti più casi patologici, nell’ambito di tutti i casi giudicati positivi dal test. Questo cosa comporta? Che se io sottopongo a bitest combinato, mettiamo, 1000 gravide e fra queste ne individuo 50 che sono giudicate positive, con un rischio, sempre supponiamo, di 1:50, devo ammettere che, con una sensibilità del 90%, fra queste 50, una volta fatta l’amniocentesi troverò un feto con sindrome di Down su 50. Ergo 49 avranno un feto normale… del tutto normale.
        Cioè non ci sono vie di mezzo. Ora qual è l’enorme vantaggio, che sfugge ahimè a tutte quelle 49 che, fortuna per loro, hanno un feto sano? Che non ho fatto 1000 amniocentesi!!! Premesso che ognuno è libero di scegliere della sua vita e delle sue cose e quindi, lungi da me, consigliare o sconsigliare, ma sempre mio dovere informare, faccio notare che i test invasivi, come l’amniocentesi e la villocentesi, nel migliore dei casi, hanno un rischio aggiuntivo di aborto di 1:200, il che tradotto per 1000 pazienti fa 5 aborti… di feti sani!!! Più quel Down che comunque c’è. Ora se riusciamo a comprendere tutto questo e abbiamo a cuore quei 5 feti sani che rischiano di essere “terminati”, non volendo parlare di costi, rischi e stress comunque presenti in chi fa l’amniocentesi, giudichi ognuno col proprio cuore se i test di screening sono utili o no.
        La verità è che sempre di più si pretende dai medici di avere risposte sicure in assenza totale di qualsiasi rischio. Purtroppo, piaccia o no, questo non è ancora possibile. Quanto alla validità scientifica del metodo, oggi non si va più per opinioni personali, ma con la medicina basata sull’evidenza.
        Anche io credo come molti miei colleghi che i dati ecografici siano di gran lunga da preferirsi ai risultati biochimici e nutro in fondo un piccolo sospetto che le indagini di laboratorio, come anche i facili risultati positivi, nascondano talvolta interessi puramente economici, ma vi sono anche tonnellate di pubblicazioni scientifiche relative a studi ben fatti, che confermano i risultati del bitest in termini di sensibilità elevata e buona specificità, raramente registrati in altri screening.
        A conferma di ciò voglio citare il modello del servizio sanitario della Danimarca, che ha eliminato il parametro “età superiore a 35 anni” per concedere l’amniocentesi e la villocentesi gratuite. Ha però introdotto lo screening obbligatorio quale premessa per le indagini invasive, tramite bitest combinato, e innalzato il cut-off da 1:250 a 1:300. Questo determina una maggiore sensibilità del metodo, che potrebbe sembrare comporti un maggior numero di indagini invasive rispetto al nostro cut-off di 1:250.
        Di fatto, dal momento che non vengono eseguite indagini invasive senza prima eseguire lo screening, il risultato è che effettuano un numero di amniocentesi e villocentesi di gran lunga inferiore alle nostre e, udite, udite, individuano un maggior numero di feti con alterazioni cromosomiche e hanno anche un minor numero di aborti di feti sani in seguito a indagini invasive. Se questo sembra ancora poco concreto, a voi giudicare. Sono disponibile ad ascoltare repliche e a instaurare un dialogo costruttivo.
 Dott. Salvatore Annona
                                                                                                       Specialista in Ostetricia e GinecologiaFonte http://www.gravidanzaonline.it/gravidanza/il-bitest.htm

La placenta: meraviglioso tramite tra la vita del feto e quella della mamma!

       All'inizio della gravidanza, subito dopo il concepimento, non ci sono che poche cellule che si nutrono dai liquidi circostanti, non diversamente dagli organismi unicellulari. E lo stesso è per l'ossigeno, che è fondamentale per il nostro metabolismo energetico. Man mano che il prodotto del concepimento cresce, questa modalità di nutrimento e di ossigenazione diventa insufficiente, perché non riuscirebbe a raggiungere le cellule più interne e servirebbe solo le cellule più esterne. Si sviluppa quindi una circolazione di fluidi e più precisamente di sangue, con dei vasi e una piccola pompa che mette in circolazione questo magico liquido.

       La circolazione ha il compito di portare a tutti i tessuti periferici sostanze nutritizie e ossigeno, mentre preleva le sostanze di rifiuto e l'anidride carbonica, che in qualche modo dovrà eliminare. Nel caso nostro, ciò avviene col sistema cardiocircolatorio, formato da cuore, arterie e vene. Ci sono poi degli organi ben collegati a questo sistema che garantiscono l'approvvigionamento delle sostanze nutritizie, l'eliminazione di quelle di rifiuto, l'ossigenazione e l'eliminazione dell'anidride carbonica. Abbiamo l'apparato digerente che fornisce acqua e sostanze nutritizie e i reni che favoriscono l'eliminazione dei prodotti di rifiuto, funzione svolta anche da altri organi come il fegato, l'intestino e la pelle.

       Per l'ossigenazione provvedono i polmoni con la respirazione e in piccola parte anche la pelle. Il feto è dotato di tutti questi organi molto precocemente durante il suo sviluppo, primo fra tutti l'apparato cardiocircolatorio. Infatti qualcuno mi chiede: "è vero che il cuore è la prima cosa che si forma?" In effetti senza cuore non va avanti più niente, anche se io preferisco pensare ad un tutto armonico che si va formando fin dall'inizio, in cui è presente anche il cuore.

       Pur avendo quindi ben presto tutti gli organi necessari per queste funzioni, nutrimento e respirazione, il feto è rinchiuso in un involucro, immerso nel liquido, senza aria, e circondato da vari strati di membrane e tessuto. Come fa allora? Ed ecco che magicamente interviene laplacenta, che forse, a voler fare per forza una classifica di questa "maratona", si forma ancor prima del cuore.

       La placenta è un organo a forma di grossa focaccia, ben collegato al sistema cardiocircolatorio del feto da un lato e dall'altro ben adeso alla parete dell'utero della mamma, come la radice di un albero. Essa appartiene al bimbo, anche geneticamente, è un organo vero e proprio collegato con due arterie e una vena.

       Le due arterie ombelicali, dette arterie perché portano il sangue pompato dal cuore verso la placenta, trasportano in realtà sangue venoso, in quanto scarsamente ossigenato e ricco di anidride carbonica. E lo trasportano nella placenta dove attraverso un complicato sistema di villi e ramificazioni varie, giunge molto vicino al sangue materno, senza mescolarsi con esso. Qui attraverso sottilissime membrane permeabili avviene il magico scambio col sangue della mamma dell'ossigeno e dell'anidride carbonica.

       L'ossigeno lascia il sangue materno, in cui è più concentrato, e va nel sangue fetale che ne è poverissimo. Il contrario succede per l'anidride carbonica. Analogamente avviene per le sostanze nutritizie, glicidi, lipidi e aminoacidi e piccoli peptidi, che lasciano il sangue della mamma e si riversano nel sangue fetale. Il contrario per le sostanze di rifiuto come l'urea, che normalmente noi eliminiamo con le urine e che il feto elimina attraverso il sangue della mamma. Questo scambio non avviene solo per osmosi, cioè per differenza delle concentrazioni fra i due versanti, ma avvengono pure dei veri e propri meccanismi di trasporto attivo o facilitato, anche piuttosto selettivo Infatti si parla di barriera placentare, che si opporrebbe al passaggio di alcune sostanze tossiche e/o di alcuni germi.

       Il sangue che lascia la placenta, torna al feto in un'unica vena ombelicale, che al contrario di prima, benché vena, perché torna verso il cuore, conduce sangue arterioso.

       Insomma, la placenta è un organo davvero meraviglioso, il tramite tra la vita del feto e quella della mamma, attraverso cui passa di tutto, ma anche il fumo di sigaretta, l'alcool e le droghe. Ecco perché insistiamo su di una corretta igiene della gravidanza, una corretta alimentazione e di osservare taluni accorgimenti.

       Gran parte delle complicanze ostetriche, fra cui ricordo il difetto di accrescimento del feto, la gestosi, la sofferenza fetale, avvengono per un deficit della placenta. Mentre un bel feto sano, di giusto peso, ben ossigenato e non intossicato dal fumo di sigaretta, deve il suo benessere ad una placenta di buone dimensioni, ben funzionante e con un'adeguata circolazione da ambo i lati, materno e placentare.

Fonte http://www.gravidanzaonline.it/gravidanza/placenta_tramite_feto_mamma.htm