giovedì 10 marzo 2016

Pma e trombosi: quali rischi?

             È noto da tempo che lagravidanza aumenta il rischio di embolia. In Svezia, durante gli anni Novanta è stata riportata un'incidenza di circa un caso ogni 1.000 per le gravidanze spontanee, e nonostante non esistessero dati approfonditi, molti medici sospettavano un'incidenza ancora maggiore per le gravidanze ottenute grazie alla Pma. 

             Per verificarlo, i ricercatori del Karolinska Institute hanno preso in esame i dati (contenuti nei registri nazionali) di 23.498 donne che avevano portato a termine una gravidanza ottenuta tramite la fecondazione in vitro tra il 1990 e il 2008, comparando i risultati con quelli di un gruppo di controllo di 116.960 donne rimaste incinte naturalmente (i dati sono stati analizzati dividendo le mamme per fascia di età).

             Tra le donne che erano ricorse alla Pma è emersa un'incidenza di trombosi venose pari a 4,2 casi su 1.000, contro i 2,5 riportati per le gravidanze spontanee. Il periodo più critico è risultato essere il primo trimestre, nel quale il rischio è dell'1,5% per le donne sottoposte a fecondazione in vitro e dello 0,3% per le altre. Per quanto riguarda le embolie polmonari invece, per le prime è emersa un'incidenza dello 0,08%, contro lo 0,05%.

             La forza di questo studio, il primo a valutare i possibili rischi di eventi trombotici legati alla fecondazione assistita, sta nel grande campione considerato e nell'aver comparato donne con la stessa età al momento della gravidanza, ma esistono diversi punti deboli. Per esempio, la ricerca tiene conto di un arco temporale molto ampio, che arriva a 23 anni fa, quando si usavano tecniche di Pma diverse da quelle odierne; inoltre, considera solo le gravidanze andate a buon fine, e questo potrebbe portare a una sottostima in entrambi i gruppi, in particolare in quello delle donne con gravidanza spontanea, meno monitorate. Infine, i ricercatori non spiegano per quale motivo chi fa ricorso alla Pma si esporrebbe a un rischio maggiore. 

             “Va però sempre tenuto conto che una parte delle donne che si sottopone alla stimolazione ovarica, una fase necessaria per la fecondazione in vitro, può andare incontro ad iperstimolazione, e che questo comporta un aumento del rischio di sviluppare trombi”, commenta Andrea Borini.
             Ecco perché, quindi, questo studio può avere un impatto importante: per alzare il livello di guardia dei medici che si occupano di Pma, in particolare per quanto riguarda le embolie polmonari, estremamente difficili da diagnosticare. “I medici dovrebbero essere consapevoli di questi rischi, per poter identificare le pazienti a maggiore rischio e considerare il ricorso a terapie profilattiche anticoagulanti”, concludono i ricercatori.

Fonte: “Incidence of pulmonary and venous thromboembolism in pregnancies after in vitro fertilisation: cross sectional study”; BMJ 2013; 346 doi: http://dx.doi.org/10.1136/bmj.e8632

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