Dopo la fecondazione dell’ovocita da parte dello spermatozoo si forma l’embrione che a 2 giorni conta 4 cellule, dopo 3 giorni 8, dopo 5 giorni presenta centinaia di cellule e al sesto, finalmente, si può impiantare in cavità uterina. Non tutti gli embrioni che iniziano la loro formazione arrivano allo stadio di blastocisti, ma possono bloccarsi prima perché generalmente i loro cromosomi non sono abbastanza sani. Questo fenomeno accade sia in natura che quando si fa la fecondazione in vitro (PMA) per superare i problemi più difficili delle coppie infertili.
E’ noto, che il trasferimento in utero con la PMA degli embrioni allo stadio di blastocisti consente maggiori probabilità di gravidanza rispetto a quando si trasferiscono embrioni allo stadio precedente. Dopo 2 o 3 giorni di coltura in incubatore, cioè fuori dall’utero, non si può sapere, infatti, quali arriverebbero allo stadio di blastocisti. Continuare la coltura per qualche altro giorno può farci allora selezionare gli embrioni migliori, ossia quelli che riescono a svilupparsi fino a blastocisti. Naturalmente, avere le blastocisti non significa affatto che questi embrioni si impianteranno, né che poi daranno feti adatti a nascere. Tanto è vero che il transfer di blastocisti in utero è ben lontano dal fornirci il 100% di gravidanze.
Le anomalie embrionarie, specie del numero dei cromosomi (aneuploidie), dalle quali dipende in genere il mancato impianto o l’aborto, dipendono da molti fattori tra i quali le condizioni iniziali degli ovociti o degli spermatozoi, che, oltretutto peggiorano, quando l’età della coppia aumenta. Le anomalie degli embrioni dipendono anche dalle condizioni ambientali in cui questi si sviluppano. E’ ben noto, ad esempio, che meno gli embrioni vengono osservati e manipolati, meno stress ambientale essi subiscono. Questo genere di stress può influire, infatti, sulla qualità dei loro cromosomi, specie nel corso delle divisioni cellulari. Le condizioni ambientali in cui le cellule si moltiplicano sono probabilmente migliori in utero che non nelle nostre macchine (incubatori metabolici) per quanto sofisticati siano (temperatura, pH, osmolarità).
Un’idea delle anomalie cromosomiche che subiscono le cellule in coltura fuori dal corpo ce la danno gli amniociti ottenuti dalle amniocentesi per fare le diagnosi prenatali e che si analizzano dopo 10-14 giorni di coltura in incubatore. E’ noto, che tali colture cellulari possono subire alterazioni cromosomiche e aneuploidie in Vitro durante le divisioni cellulari (Mitosi) in coltura. Più tempo dura la coltura, maggiori sono le probabilità di danni “in vitro”.
Pertanto, nessuno mai potrebbe dire se embrioni, che in coltura non arrivano a blastocisti potrebbero arrivarci, viceversa, in utero dove le condizioni ambientali sono teoricamente migliori. Questa regola può essere ancora più valida per embrioni fragili come quelli appartenenti a donne di età più avanzata. Infatti, la blastocisti di una quarantenne non ha la stessa qualità di una donna di 25 anni. Infine, si stanno moltiplicando le osservazioni e le opinioni di studiosi e ricercatori su vari possibili danni così detti epigenetici da parte dell’ambiente dell’incubatore o dei mezzi di coltura utilizzati in cui gli embrioni si sviluppano.
Quando si pensa, che le blastocisti sono anche la fase in cui si esegue la così detta PGS o Screening preimpianto proprio per selezionare ulteriormente gli embrioni teoricamente “sani”, non è possibile, pertanto, escludere un eccesso di anomalie diagnosticate dovute proprio alle lunghe colture in vitro. Non dimentichiamo che la PGS prevede al momento anche uno stadio di congelamento-scongelamento delle blastocisti per trasferire gli embrioni in un ciclo successivo a quello in cui si sono formati. La tecnica di diagnosi PGS prevede, infatti, tempi di esecuzione ancora lunghi.
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