mercoledì 2 marzo 2016

Che cosa può far rinviare la gravidanza?

Famiglia          Sembra, che nella nostra società sviluppata, ci sia un ritardo sempre più marcato nella decisione di avere dei figli come testimoniano tutte le statistiche demografiche ufficiali (1,2 figli per coppia in Italia, che non rappresenta neanche quel minimo di 2 in grado di garantire il ricambio generazionale).
          Le ragioni di tale ritardo appaiono molteplici ma le difficoltà economiche crescenti e l’insicurezza che si vive per le prospettive di lavoro sembra siano le motivazioni più importanti. Garantire a sé e alla propria famiglia una solidità materiale appare, infatti, un prerequisito indispensabile per generare dei figli.
          Tuttavia, possiamo escludere a priori l’esistenza di altri fattori, che potrebbero influire nel posticipare la la generazione del dopoguerradecisione riproduttiva? Mi viene in mente come non troppi decenni addietro la generazione del dopoguerra, che si trovò in condizioni materiali assai difficili (addirittura da “fame” ci racconta qualcuno), di figli ne faceva ed anche tanti (almeno 2 per coppia per salire a 2,7 nei primi anni ’60). A questa apparente stranezza cronologica se ne potrebbe affiancare qualcuna geografica e neanche troppo lontana da noi. Ad esempio in alcuni paesi dell’est europeo come la Romania, l’età media delle donne, che generano il primo figlio, è di 26 anni al confronto dei 31,2 dell’Italia (secondo dati del 2010).
          Per aggiungere qualche altro elemento di curiosità all’argomento, sono state realizzate delle interviste ad alcune donne straniere, residenti in Italia (e che spesso avevano avuto il primo figlio intorno ai 18 anni), dalle quali sembrerebbe emergere, che la condizione di maternità rappresenta sia l’obiettivo primario della loro vita sia il necessario presupposto per la propria realizzazione personale. Naturalmente, si può pensare che usi e abitudini diverse condizionino fortemente queste scelte, ma non possiamo escludere che il loro movente sia anche un desiderio, coltivato sin dall’età più giovane.
          Tale desiderio, come tutti i desideri, presuppone un’aspettativa abbastanza piacevole che nel periodo in cui essa si sperimenta potrebbe definirsi “piacere anticipatorio”. Per l’argomento usiamo la definizione di Franco Pastore, uno psicoterapeuta che ha indagato nei suoi caratteri più generali questa condizione d’animo. L’argomento è stato trattato recentemente anche da altri studiosi come Panksepp, un famoso neurobiologo dell’Università del Massachusetts (“l’archeologia della mente”), che parla del sistema neurologico della ricerca e della paura.
          In pratica, secondo Pastore, noi tutti quando desideriamo una cosa che speriamo, pensiamo e lavoriamo anche duramente per ottenere. Viviamo immaginando quando l’avremo e, pertanto, ne assaporiamo già prima, in qualche modo, il suo godimento (un po’ come l’acquolina in bocca all’idea di una bella pietanza, che ci aspetta o la condizione del “sabato del villaggio “ di leopardiana memoria). Naturalmente, come tutte le cose che veramente desideriamo e per le quali saremmo disposti a sopportare tutto per avere (rischi, fatiche, difficoltà), non vediamo l’ora di possedere al più presto. Se una cosa ci piace veramente perché non averla subito?
          E se fosse così anche per quelle donne che hanno posto i figli come obiettivo prioritario della loro vita e come realizzazione di un desiderio a lungo coltivato proprio sotto la forma di “piacere anticipatorio”? Un piacere, chissà, assaporato proprio con i loro sogni, aspettative e con il desiderio di dare origine alla vita e di accudirne il frutto nonostante tutte le possibili difficoltà materiali e morali.
          Se così fosse ci potrebbe sorprendere che, viceversa, la mancanza di questo “piacere anticipatorio” nella vita delle giovani ragazze possa portare a ritardare o non considerare come molto desiderabile la maternità e l’accudimento della prole?
In generale si potrebbe parlare di “piacere anticipatorio riproduttivo” e discutere se la sua esistenza costituisca addirittura un fatto naturale nella conservazione della specie umana e forse nella realizzazione di un certo tipo di identità del genere femminile.
          Permettiamoci per un istante di continuare il ragionamento. In carenza di questo “piacere anticipatorio riproduttivo” è possibile che prevalgano altri desideri e piaceri anticipatori (carriera, benessere economico, esperienze varie)? La convinzione che il primo ostacoli i secondi potrebbe spiegare un po’ il ritardo della decisione riproduttiva? Non possiamo neanche escludere che qui entri in scena un altro sentimento come la paura. Forse paura non solo di mancata realizzazione della carriera, ma anche di alcune possibili conseguenze negative della gravidanza (deformazione corporea), del parto (dolore) e dei figli (difficoltà nella loro gestione, specie quando si lavora).
la maternità           Non è forse un caso, che le stesse persone che decidono di avere al più presto dei figli, parlino in queste interviste della gravidanza e del parto apparentemente senza nessuna paura, riferendo pochissimo dolore e pronte a rituffarsi in questa esperienza forse proprio perché il desiderio di realizzarla è talmente forte che supera di gran lunga le paure.
          Alcune correnti moderne di psicologia pongono proprio il binomio piacere-paura alla base delle nostre attività decisionali come una specie di macchina che nei suoi movimenti vitali gioca continuamente sull’ acceleratore e sul freno.       
Fonte: “Paura e Piacere” - Una ricerca per la felicità, Armando Editore, 2013

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