domenica 6 marzo 2016

Oltre gli stereotipi, 6 modi di essere mamma

Oltre gli stereotipi, 6 modi di essere mamma           Fuori dagli stereotipi, dai copioni già scritti e dal perbenismo imperante che impone alle donne l’idea che la maternità sia la cosa più bella che possa capitare: essere madri, invece, è una condizione dove possono esistere anche il sacrificio, la stanchezza, il dolore e la disperazione, ma soprattutto una condizione sempre diversa da ciò che si era immaginato. Madri in affido e donne che fanno diventare madri, donne che sono disposte a tutto e donne che decidono di abortire, donne della porta accanto e donne manager: a raccontarle nella loro diversità è la giornalista Serena Marchi nel bel libro Madri, comunque (Fandango editore). Una galleria di madri differenti nelle quali riconoscersi, oltre le convenzioni e le aspettative sociali.
 
Mamma affidataria
           Giovanna ha 42 anni, lavora nell’ambito del sociale e da nove cresce Paolo, che oggi ha tredici anni e una madre e un padre biologici. Quando scopre di non poter avere figli decide di non rivolgersi alla scienza e, anche, di non adottare, “un investimento psicologico troppo gravoso”. Così, ecco la strada dell’affido, “che mi permetteva di tornare a lavorare sulla pratica del possesso: le persone non ti appartengono, e il fatto che invece oggi le madri dicano ‘ho un bambino’ e non ‘faccio un bambino’ la dice lunga sul fatto che i figli oggi siano modellati a immagine e somiglianza di ciò che siamo noi”. Ancora oggi Giovanna è convinta di non voler adottare suo figlio, “perché lui una madre nella pancia ce l’ha, è giusto che mio figlio con lei faccia i conti, primo o poi. Quando apri la porta a un bambino devi aver chiara una cosa: non entra da solo, con lui c’è tutto il suo passato e devi accettare anche quello, sei pure un po’ la mamma di ciò che veniva prima e non puoi fare finta che non esista. Anzi, devi capire al più presto quale posto dargli nella tua vita”.
 
Mamma di un figlio disabile
            Flavia ha quarant’anni e tre figli, Denise, Marina e Alessio. Denise, però, non c’è più. Dopo un parto e i primi mesi felici, arriva la diagnosi di una malattia metabolica degenerativa. Eppure Flavia capisce che per salvarla non deve tenerla dentro una campana di vetro, e decide, contro il parere dei medici, di fare un altro figlio. Così arriva Martina, dieci anni e in salute e poi Alessio, anche lui affetto dalla stessa malattia della prima sorella. Una mattina Denise muore, con naturalezza, e dopo aver vissuto dentro una famiglia. “Io vivo giorno per giorno”, racconta Flavia. “Perdere un figlio è un dolore devastante, si impara che la vita non te la insegna nessuno. Che senso abbia la vita di mio figlio, anche lui malato, non lo so neppure io, ma la mia certezza è che è qui per stare con me, con Martina e con mio marito, perché è stato voluto. Ognuno deve seguire quello che gli dice il cuore ed è anche per questo che io non me la sento di giudicare chi decide di non tenere un figlio disabile. A me la forza la danno i figli, che mi hanno insegnato che il futuro è in salita: è come arrampicarsi in montagna. Sali senza pensare troppo alla vetta, poi quando ti volti a guardare la strada pensi che ce l’hai fatta”.
 
Mamma grazie all’utero in affitto
           Maria ha quarantasei anni e un figlio l’avrebbe fatto subito, a vent’anni. Ma il suo corpo non è mai riuscito a portare avanti una gravidanza oltre il terzo mese. “Ho provato di tutto, ma niente ha funzionato: io un figlio non lo posso partorire e per me è una condanna”. Così, ecco l’idea di affittare l’utero di una donna in Ucraina, invece di adottare. “Se vuoi adottare un figlio in Italia”, racconta, “sei costretto a farti giudicare dagli assistenti sociali che si sentono perfetti, immacolati. Se sopravvivi a loro, devi pagare un’agenzia privata, ma tutto è complicatissimo”.  Di qui la decisione di scegliere una madre surrogata, nonostante i giudizi. “È facile etichettarci come immorali, irresponsabili, frivoli e viziati: solo chi sa cosa significa non poter avere figli può capire come stiamo e cosa proviamo. Che male c’è nel volere essere una coppia felice con un figlio che riempie la casa?”.
 
Mamma sola
           “Ho sempre sognato la famiglia del Mulino Bianco. Quando sono rimasta incinta mi vedevo già percorrere i gradini della Chiesa con un velo tra i capelli, una casa grande, un cane e tanti bambini. Continuavo ad essere convinta che lui si sarebbe intenerito con le prime ecografie e la pancia che cresceva. Invece è sparito, si è volatilizzato”. Andrea ha 36 anni, vive con sua figlia Olivia di cinque anni e sua madre che un figlio da sola l’ha fatto, invece, per scelta. “Mi sono resa conto che mi sarei dovuta arrangiare quando mi sono ritrovata in ospedale da sola. Oggi ho un nuovo compagno con il quale vorrei formare una famiglia e avere un altro figlio, anche se sono convinta che la cosa più bella del mondo non sia essere madre, ma diventare nonna con un nonno al fianco”.
 
Mamma sulla sedia a rotelle
           Francesca ha 35 anni e vive sulla sedia a rotelle. “Avevo quindici anni, la mia colonna vertebrale si è spezzata facendo una verticale, per gioco, in cortile. I miei sogni di adolescente sono immediatamente svaniti nel nulla. Avrei voluto sposarmi, mettere su famiglia, ma per mesi non sono riuscita a immaginarmi un futuro”. A un certo punto Francesca riprende in mano la sua vita, incontra suo marito e, sei anni fa, diventa mamma. “Quando ho scoperto di essere incinta ho avuto la stessa paura che ho avuto dopo l’incidente: non riuscire a badare a me e a mio figlio autonomamente. Invece, me la sono cavata egregiamente: mio figlio era legato a me con una fascia e io mi spostavo usando le braccia, mi sono costruita un fasciatoio ad hoc, un tavolino con due ruote. Oggi lo porto a scuola e lo riprendo, lavoro otto ore, corro come le altre madri, sono una donna normale. Non ho permesso a una sedia a rotelle di rubarmi il sogno di una famiglia”.
 
Mamma con la fecondazione assistita
           “Ero convinta di non avere l’istinto materno, ho sempre pensato che fosse un’invenzione. Ci ho messo tanti anni prima di pensarmi con un bambino in braccio”. Sara oggi ha quarantotto anni, suona la viola in un’orchestra, ha viaggiato in tutto il mondo.  A quasi quarant’anni si accorge di non riuscire a restare incinta. “Più fai fatica ad avere figli, più il pensiero diventa l’unico, martellante, devastante compagno di ogni giornata. Il sesso con il mio compagno divenne freddo, morboso: diventare madre era diventato un obbligo”. Un giorno, grazie all’aiuto di sua suocera, Sara comincia a pensare alla fecondazione assistita, ma decide di fare un unico tentativo, “di più mi sembrava accanimento”. L’embrione non attecchisce e Sara decide che va bene così e si compra un cane. Un giorno suo marito, però, le chiede di riprovarci. “Quel secondo embrione si attaccò. Rimasi a letto nove mesi perché la gravidanza era a rischio, poi fu necessario un parto cesareo perché era podalica. Quando me la misero tra le braccia ancora sporca di placenta capii che il mio sacrificio era stato premiato. Oggi mia figlia vorrebbe un fratello, ma io le dico che ce lo ha già, è il nostro cane Gastone. E lei sorride e mi risponde: ‘Sì è un po’ strano, ha tanto pelo e cammina a quattro zampe ma a guardarlo bene mi piace anche così'”. 
Fonte http://d.repubblica.it/lifestyle/2015/04/28/news/28_4_6_modi_diversi_di_essere_mamma_manca_foto_-2576746/

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