Intanto, però, la ricerca di alternative meno invasive per ottenere una diagnosi prosegue. Una strada tra le più promettenti è discussa in uno studio da poco pubblicato su Human Reproduction: ci sono altre cellule, in particolare quelle che circondano l'oocita (dette del cumulo ooforo), che possono essere usate come “spie”. La ricerca è stata guidata da Elpida Fragouli dell’Università di Oxford, direttrice del dipartimento di citogenetica del centro Reprogenetics.
I ricercatori hanno osservato che, in quelle cellule che circondano gli oociti con anomalie cromosomiche, alcuni geni hanno un'attività inferiore alla norma. Lo screening iniziale ha portato a un primo elenco di 729 geni. Due di questi geni – identificati con le sigle SPSB2 e TP5313 – sono ora stati analizzati a fondo e si è scoperto che sono sempre significativamente sottoespressi nei casi di aneuploidia.
SPSB2 è un gene normalmente coinvolto nella trasmissione dei segnali intracellulari e nell'omeostasi, mentre TP53I3 regola il metabolismo dei carboidrati e la morte delle cellula. “L'identificazione di questi geni nelle cellule del cumulo può servire come nuovo marker per mettere a punto un test non invasivo e aumentare il tasso di successo della procreazione assistita”, ha sottolineato Pasquale Patrizio, docente presso il Dipartimento di Ostetricia e Ginecologia dell'Università di Yale, tra gli autori dello studio.
Fonte: “Alteration of gene expression in human cumulus cells as a potential indicator of oocyte aneuploidy”; Human Reproduction
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