Su piani differenti il voto del Parlamento europeo e l’appello di 'Senonoraquando - Libere', entrambi contrari all’utero in affitto, hanno molto contribuito a porre il tema definitivamente sul tavolo, legandolo in qualche modo anche al matrimonio fra persone dello stesso sesso, o comunque a una disciplina simil-matrimoniale delle «unioni civili». Entrambe le iniziative hanno fatto sì che in Italia i sostenitori del ddl Cirinnà, dopo una prima reazione polemica, abbiano sostanzialmente ammesso che pure la cosiddetta maternità surrogata rientra nella partita.
Nell’intervista a 'la Repubblica' di venerdì scorso l’onorevole Scalfarotto si dichiara contrario a quest’ultima non in assoluto, bensì solo se si realizza in un contesto di sfruttamento: nulla quaestio se invece avviene senza coartazione. «(…) ho lottato per anni – così spiega – perché alle donne venisse data la libertà di scelta, sul proprio corpo, sulla propria vita: se abortire, tenersi o abbandonare il figlio. Credo quindi possa esistere la possibilità che ci sia una donna che per libero convincimento e non spinta dalla disperazione voglia aiutare altri ad essere genitori». Tanta chiarezza merita apprezzamento, provenendo da un parlamentare e membro del Governo impegnato con tenacia perché sia approvato il testo sulle «unioni civili».
Par di capire che, dopo l’iniziale tentativo di negare qualsiasi accostamento fra utero in affitto e ddl Cirinnà, si sia velocemente passati al piano B: non potendo più nascondere che l’approvazione di quel testo conduce anche all’utero in affitto, si presenta positivamente quest’ultimo. Intanto cambiandogli il nome, secondo le migliori tradizioni: come l’aborto si chiama per legge interruzione volontaria della gravidanza, meglio ancora ivg, così l’utero in affitto viene ribattezzato gestazione per altri, anzi gpa. Il lifting non interessa solo il piano politico: alcuni media fanno a gara nel dipingere l’utero in affitto come un gesto di generosità verso chi non può avere figli, con interviste e foto di gruppo di persone sorridenti e felici, dietro le quali compaiono paesaggi rassicuranti: nulla a che vedere con sfondi da periferia di New Delhi o da campagna ucraina. Ricompaiono protagonisti delle lotte del passato, come l’onorevole Bonino, che fanno emergere anche sani dubbi, ma infine sentenziano: «Soltanto una limitata e controllata legalizzazione è adeguata per governare un fenomeno tanto complesso quanto ineliminabile».
Certo, oltre all’impressionante documentazione di 'Avvenire', ci sono anche reportage coraggiosi, come quello dell’inviata del 'Corriere' in una clinica di Santa Monica, in California, dedicata a questa pratica, che spiega le modalità di selezione delle «donatrici» di ovuli (in realtà a pagamento, generoso) e di chi porterà il bambino nel suo corpo (la preferenza è per la «portatrice lesbica»), come si allatterà il neonato nei primi giorni, tirando il latte alla madre biologica, che fare se ci si ripensa, con un potere decisionale assoluto della committente, che include l’aborto.
Ma l’obiettivo di tanta parte del potere mediatico è evidente: se l’utero in affitto viene descritto con la medesima naturalezza con cui si potrebbe descrivere la costruzione di un mobile per casa, vuol dire che non c’è nulla di male; la legge non ha che da adeguarsi a una pratica diffusa, accettata e apprezzata. Lo stato di prostrazione della donna che si sottopone a elettrostimolazione ovarica, quello della donna che dopo nove mesi si vede tolto il bimbo che ha portato in sé, la sottrazione del neonato alla madre biologica, i problemi di identità che costui avrà quando capirà come è venuto al mondo, tutto questo è superato dalla proclamata libertà di scelta sulla vita propria e altrui.
Questi effetti devastanti sono stati colti dalle firmatarie dell’appello di Senonoraquado e dalla maggioranza degli europarlamentari. È meritorio segnalare i rischi gravi di sfruttamento e di umiliazione derivanti dell’utero in affitto; ma è ingenuo farlo se si ignora che questo giunge al termine di un percorso, il cui passaggio immediatamente precedente in Italia è l’approvazione del ddl Cirinnà, un testo che al «matrimonio gay», con conseguente 'diritto al figlio', cambia soltanto nome.
*Vicepresidente del Centro studi Livatino
**Presidente di Sì alla Famiglia
Fonte http://www.avvenire.it/Commenti/Pagine/UTERO-IN-AFFITTO-IL-NODO-SCOPERTO-.aspx
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