venerdì 8 febbraio 2019

Tumori e fertilità: la preservazione della fecondità nelle pazienti oncologiche

        Secondo le più recenti stime[1], ogni anno in Italia circa 5.000 donne sotto i 40 anni sono colpite da tumore. A oggi, il tasso di sopravvivenza a cinque anni si ritiene essere intorno al 65%, superando l’85% per alcune neoplasie come i linfomi e il cancro alla mammella. Traguardi impensabili in passato e, proprio per questo, la preservazione della fertilità, attraverso la crioconservazione degli ovociti e del tessuto ovarico, diventa un momento fondamentale del processo terapeutico dopo una diagnosi di tumore, soprattutto in un Paese come il nostro dove è sempre più avanzata l’età media delle donne che cercano il primo figlio.

Preservare la fertilità
        Del preservare la fertilità nelle pazienti oncologiche se n’è discusso a Milano nel corso dell’evento organizzato da IVI - Istituto Valenciano di Infertilità - che ha visto anche la partecipazione di Giulia Scaravelli dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), per ribadire l’importanza di diffondere la cultura della preservazione della fertilità nelle pazienti oncologiche. In base a un censimento realizzato nell’ultimo decennio dal Registro Nazionale di PMA dell’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono 3.519 le pazienti oncologiche che hanno voluto preservare la propria fertilità, delle quali 2.148 attraverso la crioconservazione degli ovociti (per un totale di 17.181 ovociti) e 1.371, invece, attraverso la crioconservazione di tessuto ovarico. «La ricerca scientifica nella preservazione della fertilità ha raggiunto risultati incredibili, che fanno ben sperare per il futuro – ha spiegato Antonio Pellicer, Presidente IVI e Professore Ordinario di Ostetricia e Ginecologia presso l’Università di Valencia – Il gruppo IVI  è stato il primo a dimostrare che l’uso di ovociti vitrificati, rispetto all’uso di quelli in fresco, non modifica le percentuali di successo nei protocolli di riproduzione assistita. Le percentuali di fecondazione, di qualità embrionaria, di impianto e di gravidanza tra ovuli in fresco e vitrificati sono, infatti, sovrapponibili. Grazie al nostro programma gratuito, dal 2007 al 2017, nelle nostre cliniche più di 1.200 pazienti oncologiche hanno preservato la propria fertilità senza dover sostenere alcun costo. Un dato, questo, che testimonia la volontà di supportare le donne, affinché possano guardare al domani con maggiore fiducia».

Diffondere la cultura della preservazione
        Oggi più che mai diventa fondamentale diffondere la cultura della preservazione della fertilità e della prevenzione dell’infertilità nei pazienti e nelle pazienti oncologiche o a rischio di infertilità iatrogena, riporta una nota IVI. Da oltre dieci anni, infatti, l’Istituto Superiore di Sanità, attraverso il Registro Nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita, ha avviato iniziative di formazione in tutta Italia per promuovere una corretta informazione sui potenziali rischi delle terapie antitumorali sul sistema riproduttivo. «Il Registro – ha sottolineato Giulia Scaravelli, Responsabile del Registro di Procreazione Medicalmente Assistita dell’ISS – favorisce la conoscenza sulle diverse tecniche di preservazione della fertilità e, allo stesso tempo, incoraggia la creazione di ‘reti’, veri e propri network di professionisti oncologi, medici della riproduzione, ematologi, radiologi, pediatri, psicologi, infermieri, ostetriche, medici di medicina generale, associazioni di pazienti, e tutti i diversi caregiver che devono prendersi cura dei pazienti oncologici, garantendo loro la migliore possibile qualità di vita, una volta superata la malattia».

Il diritto a maternità e paternità
        L’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si impegna da sempre nella formazione e nella raccolta di dati su tutte le tecniche a disposizione e collabora con numerose associazioni di pazienti. Tra queste l’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC), che da anni porta all’attenzione della stampa la tutela della fertilità, diritto troppo spesso negato alle donne e agli uomini che si ammalano di tumore. «Da sempre – ha dichiarato l’Avvocato Elisabetta Iannelli, Vice Presidente AIMaC – il volontariato oncologico sostiene con forza il diritto alla maternità e alla paternità poiché anche solo la speranza di poter diventare genitori, nonostante una diagnosi di cancro, costituisce speranza di vita. È fondamentale affrontare il tema della preservazione della fertilità immediatamente dopo la diagnosi di tumore e prima di iniziare le terapie».

Le neoplasie più frequenti
        Nelle donne, la neoplasia più frequente è quella della mammella, seguita da quella della tiroide, dal melanoma, dal tumore della cervice uterina e dal carcinoma del colon retto. «Di fronte ai dati presentati oggi – ha ricordato Giacomo Corrado, oncologo ginecologo della Fondazione Policlinico Universitario ‘Agostino Gemelli’, IRCCS di Roma – appare chiaro come l’oncologo debba farsi carico non solo della sopravvivenza della paziente ma anche della sua qualità di vita, con uno sguardo attento al suo futuro e, per quelle più giovani, alla possibilità di avere figli. Inoltre, i dati scientifici dimostrano che gran parte dei farmaci utilizzati per i trattamenti chemioterapici in pazienti gravide al secondo e terzo trimestre è sicuro sia sul feto in via di sviluppo che sul bambino nel suo sviluppo tardivo».

La vitrificazione e la crioconservazione
Gravidanza e oncologia        Con la vitrificazione degli ovociti è possibile crioconservare gli ovuli maturi ottenuti dalla stimolazione ovarica per usarli successivamente, quando la paziente deciderà, con le stesse possibilità di successo presenti al momento della vitrificazione. Vista l’assenza di formazione di cristalli di ghiaccio che questa tecnica permette, i tassi di sopravvivenza degli ovociti sono elevati e permettono quindi di posticipare la maternità con ragionevoli garanzie.
        Grazie alla crioconservazione del tessuto ovarico è invece possibile ripristinare la funzione ovarica, consentendo di ottenere parti spontanei, riportando, inoltre, i livelli ormonali a valori normali ed evitando gli effetti secondari tipici della menopausa precoce. Questo tipo di procedura è sicura in tutti i tipi di tumore tranne che per le leucemie, dove è presente un rischio elevato di trasferimento di cellule maligne a partire dalla corteccia ovarica preventivamente criopreservata. La crioconservazione del tessuto ovarico è una tecnica in via sperimentale rivolta alle pazienti con funzione ovarica a rischio: pazienti con diagnosi di cancro che saranno sottoposte a chemioterapia o radioterapia, colpite da malattie autoimmuni per le quali ci sarà bisogno di chemioterapia, in caso di trapianto del midollo osseo. E’ inoltre rivolta alle donne che corrono il rischio di subire ripetuti interventi chirurgici dell’ovaio, come per esempio le pazienti affette da endometriosi.

Fonte https://www.diariodelweb.it/salute/articolo/?nid=20181212-534618

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