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Tendenzialmente, si considera “breve” un intervallo tra i minore di 18 (a volte 24 mesi), mentre per la definizione di intervallo “lungo” i vari studi condotti finora non sono concordi: per alcuni è oltre i due anni, per altri invece anche tre o cinque. Spesso gli studi analizzano casi in cui le differenze di lunghezza tra ogni intervallo sono di sei mesi, cioè cercano di capire se i rischi che corre chi rimane incinta in meno di sei mesi (periodo molto breve) siano diversi - e quanto lo siano - rispetto a chi invece rimane incinta entro i 18 mesi dopo il parto (periodo breve).
Un dato importante è anche il paese in cui la gravidanza si svolge: in una nazione ricca come l’Australia, ad esempio, non si riscontrano particolari problemi, a prescindere dal periodo di tempo che intercorre tra una e l’altra gravidanza.
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Il recente studio condotto su circa 150mila nascite in Canada dalla University of British Columbia (UBC) e l’istituto di Harvard TH Chan School of Public Health indica che il rischio per le madri di sviluppare gravi complicazioni emerge in percentuali molto diverse (in certi casi 1 su 400, in altri 1 su 100) a seconda proprio del tempo trascorso dal parto precedente e dell’età della madre. Ad esempio, il rischio che il bimbo nasca morto oppure che insorgano complicazioni davvero gravi va dal 2 al 3%, e nel complesso almeno il 97% dei bimbi e il 99% delle mamme non ha avuto grandi problemi.
Quindi, la differenza di lunghezza dell’intervallo in questione ha dimostrato di avere conseguenze:
- nei casi di intervallo più brevi aumentano i rischi di nascite premature, bimbi che nascono di piccole dimensioni, che nascono morti o muoiono poco dopo il parto.
- se il parto precedente è stato un cesareo, un intervallo molto breve (meno di sei mesi) aumenta anche il rischio di rottura dell’utero durante il travaglio successivo
- se l’intervallo supera i cinque anni, invece, aumentano i rischi di preeclampsia (un tempo conosciuta come gestosi), nascita prematura e bimbi nati di piccole dimensioni.
Gli altri fattori da tenere in considerazione
In realtà, l’importanza del fattore dell’intervallo più o meno breve tra gravidanze sull’insorgere di complicazioni nella gestazione o parto successivi è ancora una materia molto contesa in medicina, anche se esistono effettivamente ragioni di ordine biologico che spiegano l’aumento del rischio di complicazioni quando la gravidanza successiva arriva troppo poco tempo dopo il parto.
Quando l’intervallo è breve, infatti, le madri possono non avere il tempo di riprendersi dallo stress fisico della gravidanza e dell’allattamento, ad esempio non sempre riescono a disfarsi in fretta del peso acquisito né a reintegrare le vitamine e minerali necessari. Senza contare che un parto e la vita da genitore immediatamente successiva, con tutte le novità e preoccupazioni che comportano, possono avere anche un grandissimo impatto emotivo, che ha bisogno di tempo per essere assimilato.
Se al contrario l’intervallo è piuttosto lungo, tutte quelle trasformazioni cui si era sottoposto il fisico per adattarsi alla gravidanza (come le alterazioni dell’utero che lo preparano ad affrontare il travaglio), si perdono. Le statistiche indicano anche che i casi in cui le gravidanze sono più vicine tra loro accadono con donne più giovani o meno istruite, e la minore esperienza o prudenza influiscono sull’insorgere di complicazioni.
Le ricerche in materia provano a tenere traccia di queste categorie di fattori, molto diversi tra loro, che possono influire sulla gravidanza. Lo studio canadese, ad esempio, ha tenuto in conto ad esempio il numero di figli nati in precedenza, l’abitudine di fumare, i risultati delle precedenti gravidanze. Anche modulando i risultati alla luce di questi dati, lo studio ha riscontrato che i rischi di complicazioni aumentano leggermente quando l’intervallo è minore ai 6 mesi nelle donne over 35, rispetto invece a un intervallo tra i 12 e i 24 mesi.
Una ricerca condotta in Australia, invece, che ha analizzato le diverse gravidanze vissute da alcune donne, non ha trovato risultati che avallino la teoria di un aumento del rischio quando si aspetta troppo poco ad avere un altro figlio.
Quando avere il secondo bambino?
Dati raccolti tra gli anni ‘90 e 2000 hanno portato l’Organizzazione Mondiale della Sanità a raccomandare come intervallo ideale tra le gravidanze un periodo minimo di 24 mesi. Studi più recenti però suggeriscono che è una restrizione senza motivo in paesi ricchi come l’Australia: in queste nazioni, infatti, ci sono le risorse per monitorare e affrontare la gravidanza in tutta sicurezza, a prescindere da quanto tempo si aspetti a rimanere incinta dopo un parto.
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Se poi la gravidanza successiva arriva dopo un aborto, c’è ancora meno motivo di aspettare - ovviamente però bisogna attendere ad avere altri rapporti con il proprio partner per periodo di tempo indicato dai dottori, che spesso (ma bisogna sempre consultarsi col proprio ginecologo) si aggira intorno al mese e mezzo. Nel 2017 una rassegna che ha analizzato oltre un milione di gravidanze (sempre successive ad un aborto) ha scoperto che, rispetto a uno standard di intervallo di 12 mesi o più, nel caso in cui il periodo era inferiore ai sei mesi il rischio di aborto e nascita prematura era inferiore, e non aumentava quello di preeclampsia o di bimbi nati di piccole dimensioni.
Insomma: dopo un aborto, una volta assicurato il periodo di astinenza da rapporti sessuali col proprio partner, gli studi non indicano controindicazioni particolari al sopraggiungere di una nuova gravidanza. Per tutti gli altri casi, attendere meno di sei mesi o più di diversi anni nel rimanere incinta va considerato con una piccola dose di consapevolezza in più: si tratterà di fare qualche controllo più specifico con il ginecologo, ma tendenzialmente non esistono dei limiti temporali improrogabili.
Fonte https://www.foxlife.it/2018/12/06/intervallo-gravidanze-quanto-aspettare/
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