Licenziare la domestica in gravidanza non risulta essere discriminatorio, illegittimo, nullo.
Parola di Cassazione, che con sentenza n. 17433 del 2 settembre 2015 ha dichiarato che le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari possono essere licenziate durante il periodo pre e post parto, a differenza di tutte le altre lavoratrici.
A sostenerlo, anche l’Inps e l’Ispettorato del Lavoro secondo cui, in ambito domestico, non è vietato licenziare la domestica in stato di gravidanza.
Nessun risarcimento, quindi, per la lavoratrice in gestazione licenziata dalla famiglia presso la quale presta servizio, nemmeno se il licenziamento è dovuto alla notizia della dolce attesa.
Ma come si collega questo orientamento con la tutela delle lavoratrici madri?
Indubbiamente è necessario salvaguardare la salute della futura mamma, fino a 7 mesi di età del figlio (nato o adottato), e lo si fa con una serie di previsioni normative: innanzitutto, in caso di non licenziamento, la colf non potrà essere destinata al lavoro
È altresì previsto un periodo di congedo di 5 mesi, 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo, retribuito dall’Inps; l’importo spettante è pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera.
La richiesta va fatta telematicamente all’INPS entro 60 mesi dal parto tramite il PIN INPS del cittadino oppure, se non si è in possesso del PIN, ci si può rivolgere ad un patronato che assisterà la badante lavoratrice.
Fonte https://quifinanza.it/diritti/licenziamento-della-domestica-in-gravidanza-quali-conseguenze/253166/
Parola di Cassazione, che con sentenza n. 17433 del 2 settembre 2015 ha dichiarato che le lavoratrici addette ai servizi domestici e familiari possono essere licenziate durante il periodo pre e post parto, a differenza di tutte le altre lavoratrici.
A sostenerlo, anche l’Inps e l’Ispettorato del Lavoro secondo cui, in ambito domestico, non è vietato licenziare la domestica in stato di gravidanza.
Nessun risarcimento, quindi, per la lavoratrice in gestazione licenziata dalla famiglia presso la quale presta servizio, nemmeno se il licenziamento è dovuto alla notizia della dolce attesa.
Ma come si collega questo orientamento con la tutela delle lavoratrici madri?
Indubbiamente è necessario salvaguardare la salute della futura mamma, fino a 7 mesi di età del figlio (nato o adottato), e lo si fa con una serie di previsioni normative: innanzitutto, in caso di non licenziamento, la colf non potrà essere destinata al lavoro
- durante i due mesi precedenti la data presunta del parto, tre se la lavoratrice è occupata in lavori che, in relazione all’avanzato stato di gravidanza, sono per lei troppo pesanti;
- se il parto avvenga oltre la data presunta di esso;
- per il periodo intercorrente tra la data presunta e la data effettiva del parto;
- durante i tre mesi dopo il parto.
È altresì previsto un periodo di congedo di 5 mesi, 2 mesi prima della data presunta del parto e 3 mesi dopo, retribuito dall’Inps; l’importo spettante è pari all’80% della retribuzione media globale giornaliera.
La richiesta va fatta telematicamente all’INPS entro 60 mesi dal parto tramite il PIN INPS del cittadino oppure, se non si è in possesso del PIN, ci si può rivolgere ad un patronato che assisterà la badante lavoratrice.
Fonte https://quifinanza.it/diritti/licenziamento-della-domestica-in-gravidanza-quali-conseguenze/253166/
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