Lo stress è un nemico da evitare, lo sappiamo bene. Durante l’attesa è più nocivo che mai: ce lo conferma uno studio fresco di pubblicazione sulla rivista scientifica “Psychoneuroendocrinology”. Nato in collaborazione tra l’IRCCS Medea di Bosisio Parini e il Research Department of Clinical Educational and Health Psychology dell’University College di Londra, ha analizzato quanto lo stress provato dalla mamma nell’ultimo trimestre di gravidanza incida sul benessere e sul comportamento dei piccoli nelle primissime ore di vita. I risultati sono sorprendenti. Lo studio, che ha coinvolto 110 mamme reclutate nei corsi pre-parto degli ospedali Valduce di Como, Mandic di Merate, Fatebenefratelli di Erba e nel consultorio La Famiglia di Como, ha evidenziato che livelli elevati di stress in gravidanza erano associati a reazioni alterate dei neonati quando, a loro volta, venivano sottoposti a una procedura stressante.
Comportamenti ed emozioni: uno studio fa il punto
La particolarità di questo studio, che si aggiunge ai tantissimi pubblicati in materia, è che ha analizzato non solo i livelli di cortisolo materno, l’ormone dello stress per eccellenza, ma anche marcatori biologici meno noti, come l’interleuchina 6 e l’alfa amilase, che hanno a che fare rispettivamente con il sistema immunitario e con quello nervoso simpatico, entrambi attivati quando si vivono momenti di forte stress. Lo studio EDI (Effetti della Depressione sull’Infante), guidato dalla dottoressa Alessandra Frigerio è stato sviluppato in tandem con i colleghi britannici. Alle 110 donne coinvolte in questo studio sono stati effettuati prelievi di sangue e saliva nell’ultimo trimestre per misurare il livello di alcuni markers infiammatori (come l’interleuchina-6 e la proteina C reattiva) e di alcuni markers dei sistemi biologici di risposta allo stress (come il cortisolo e l’alfa amilase salivare). Parallelamente è stato chiesto loro di compilare due questionari per valutare la presenza di sintomi depressivi e ansiosi (Edinburgh Postnatal Depression Scale e State/Trait Anxiety Inventory).
Video ai bebè per studiare il comportamento
I bimbi, invece, sono stati valutati tra le 48 e le 72 ore dopo la nascita: i ricercatori li hanno filmati prima, durante e dopo un piccolo prelievo di sangue dal tallone, effettuato di routine per lo screening metabolico dei neonati. Parallelamente, prima e dopo questa procedura dolorosa, sono stati fatti loro prelievi di saliva per vedere come l’organismo rispondesse allo stress della puntura anche dal punto di vista biologico. Il risultato? I piccoli che avevano mamme “stressate” in gravidanza (cioè con alterati livelli di cortisolo) hanno mostrato una reazione particolare: “Da una parte erano più reattivi a livello comportamentale, con un pianto più marcato. Dall’altra, l’analisi biologica ha evidenziato che non mostravano il classico picco di cortisolo una volta sottoposti allo stress della puntura. Questo è un profilo di risposta allo stress atipico che potrebbe, qualora si mantenesse nei mesi successivi, rappresentare un “campanello d’allarme” per lo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini”, spiega Sarah Nazzari, ricercatrice di Psicopatologia dello Sviluppo del Polo di Bosisio Parini dell’IRCCS Medea e primo autore dello studio. Ciò, ovviamente, non vuol dire che questi neonati saranno necessariamente bambini a maggior rischio di problematiche emotivo-comportamentali. “Il nostro è uno studio osservazionale, che non consente di stabilire un nesso causa-effetto”, dice la ricercatrice. “I dati sembrano suggerire che un’alterazione dei livelli fisiologici di stress nella futura mamma sia associata a una reattività alterata allo stress nei piccoli alla nascita. È ancora da stabilire se questo profilo di risposta si mantenga nel corso dello sviluppo e possa essere predittivo di una disregolazione emotiva”.
C’è un impatto anche sulla crescita?
Lo studio ha messo anche in luce ulteriori associazioni tra i livelli biologici di stress delle donne in gravidanza e la salute del neonato alla nascita. Livelli più elevati di interleuchina-6 nell’attesa sono risultati associati a una minore circonferenza cranica nel neonato, considerata una “spia” della maturazione cerebrale fetale. Inoltre, i livelli di alfa amilase materno, markers del sistema nervoso simpatico, sono risultati correlati al peso alla nascita. “Questi dati ci suggeriscono che i livelli di stress in gravidanza possano influenzare direttamente la crescita e lo sviluppo del feto nel corso della gestazione”, spiega la ricercatrice.
Stress in gravidanza: un problema diffuso
“Si stima che circa il 20% delle donne in attesa possano sperimentare sintomi ansiosi e depressivi: è dunque un problema molto comune e merita attenzione”, prosegue la dottoressa Nazzari. “In particolare, la depressione non è una condizione che si sviluppa solo nel post-partum, ma spesso insorge già durante la gravidanza. Per questo, è importante che la donna che si trova in difficoltà si rivolga, in prima battuta, all’ostetrica, che spesso nel periodo preparto diventa una figura di riferimento”.
Depressione post-partum
Una buona relazione con la mamma protegge il bebè
Lo studio continua. I bambini che hanno partecipato adesso hanno 3 anni: “Abbiamo avuto la fortuna di poter studiare questi piccoli a pochissime ore di vita, quando ancora il loro comportamento non poteva essere influenzato dall’educazione e dal contesto ambientale. Adesso li stiamo valutando per capire l’impatto a lungo termine dei fattori legati allo stress materno in gravidanza e analizzare quanto, invece, la qualità della relazione con la mamma, costruita nel tempo, serva a proteggerli”. I primi risultati sembrano andare in questa direzione: una buona relazione con la madre è in grado di proteggere i bambini dall’effetto dello stress prenatale. Il rimedio c’è, insomma: “Per questo è fondamentale un sostegno tempestivo alla donna sin dalla gravidanza e un’attenzione speciale nelle prime fasi dopo la nascita del bambino”.
Fonte https://www.dolceattesa.com/gravidanza/stress-in-gravidanza-ha-effetti-sul-bambino_psicologia/
Comportamenti ed emozioni: uno studio fa il punto
La particolarità di questo studio, che si aggiunge ai tantissimi pubblicati in materia, è che ha analizzato non solo i livelli di cortisolo materno, l’ormone dello stress per eccellenza, ma anche marcatori biologici meno noti, come l’interleuchina 6 e l’alfa amilase, che hanno a che fare rispettivamente con il sistema immunitario e con quello nervoso simpatico, entrambi attivati quando si vivono momenti di forte stress. Lo studio EDI (Effetti della Depressione sull’Infante), guidato dalla dottoressa Alessandra Frigerio è stato sviluppato in tandem con i colleghi britannici. Alle 110 donne coinvolte in questo studio sono stati effettuati prelievi di sangue e saliva nell’ultimo trimestre per misurare il livello di alcuni markers infiammatori (come l’interleuchina-6 e la proteina C reattiva) e di alcuni markers dei sistemi biologici di risposta allo stress (come il cortisolo e l’alfa amilase salivare). Parallelamente è stato chiesto loro di compilare due questionari per valutare la presenza di sintomi depressivi e ansiosi (Edinburgh Postnatal Depression Scale e State/Trait Anxiety Inventory).
Video ai bebè per studiare il comportamento
I bimbi, invece, sono stati valutati tra le 48 e le 72 ore dopo la nascita: i ricercatori li hanno filmati prima, durante e dopo un piccolo prelievo di sangue dal tallone, effettuato di routine per lo screening metabolico dei neonati. Parallelamente, prima e dopo questa procedura dolorosa, sono stati fatti loro prelievi di saliva per vedere come l’organismo rispondesse allo stress della puntura anche dal punto di vista biologico. Il risultato? I piccoli che avevano mamme “stressate” in gravidanza (cioè con alterati livelli di cortisolo) hanno mostrato una reazione particolare: “Da una parte erano più reattivi a livello comportamentale, con un pianto più marcato. Dall’altra, l’analisi biologica ha evidenziato che non mostravano il classico picco di cortisolo una volta sottoposti allo stress della puntura. Questo è un profilo di risposta allo stress atipico che potrebbe, qualora si mantenesse nei mesi successivi, rappresentare un “campanello d’allarme” per lo sviluppo emotivo e comportamentale dei bambini”, spiega Sarah Nazzari, ricercatrice di Psicopatologia dello Sviluppo del Polo di Bosisio Parini dell’IRCCS Medea e primo autore dello studio. Ciò, ovviamente, non vuol dire che questi neonati saranno necessariamente bambini a maggior rischio di problematiche emotivo-comportamentali. “Il nostro è uno studio osservazionale, che non consente di stabilire un nesso causa-effetto”, dice la ricercatrice. “I dati sembrano suggerire che un’alterazione dei livelli fisiologici di stress nella futura mamma sia associata a una reattività alterata allo stress nei piccoli alla nascita. È ancora da stabilire se questo profilo di risposta si mantenga nel corso dello sviluppo e possa essere predittivo di una disregolazione emotiva”.
C’è un impatto anche sulla crescita?
Lo studio ha messo anche in luce ulteriori associazioni tra i livelli biologici di stress delle donne in gravidanza e la salute del neonato alla nascita. Livelli più elevati di interleuchina-6 nell’attesa sono risultati associati a una minore circonferenza cranica nel neonato, considerata una “spia” della maturazione cerebrale fetale. Inoltre, i livelli di alfa amilase materno, markers del sistema nervoso simpatico, sono risultati correlati al peso alla nascita. “Questi dati ci suggeriscono che i livelli di stress in gravidanza possano influenzare direttamente la crescita e lo sviluppo del feto nel corso della gestazione”, spiega la ricercatrice.
Stress in gravidanza: un problema diffuso
“Si stima che circa il 20% delle donne in attesa possano sperimentare sintomi ansiosi e depressivi: è dunque un problema molto comune e merita attenzione”, prosegue la dottoressa Nazzari. “In particolare, la depressione non è una condizione che si sviluppa solo nel post-partum, ma spesso insorge già durante la gravidanza. Per questo, è importante che la donna che si trova in difficoltà si rivolga, in prima battuta, all’ostetrica, che spesso nel periodo preparto diventa una figura di riferimento”.
Depressione post-partum
Una buona relazione con la mamma protegge il bebè
Lo studio continua. I bambini che hanno partecipato adesso hanno 3 anni: “Abbiamo avuto la fortuna di poter studiare questi piccoli a pochissime ore di vita, quando ancora il loro comportamento non poteva essere influenzato dall’educazione e dal contesto ambientale. Adesso li stiamo valutando per capire l’impatto a lungo termine dei fattori legati allo stress materno in gravidanza e analizzare quanto, invece, la qualità della relazione con la mamma, costruita nel tempo, serva a proteggerli”. I primi risultati sembrano andare in questa direzione: una buona relazione con la madre è in grado di proteggere i bambini dall’effetto dello stress prenatale. Il rimedio c’è, insomma: “Per questo è fondamentale un sostegno tempestivo alla donna sin dalla gravidanza e un’attenzione speciale nelle prime fasi dopo la nascita del bambino”.
Fonte https://www.dolceattesa.com/gravidanza/stress-in-gravidanza-ha-effetti-sul-bambino_psicologia/
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