Negli ultimi decenni si è assistito a un costante aumento dell’età media delle donne che decidono di riprodursi; il posticipare la maternità è un fenomeno che interessa soprattutto i Paesi occidentali, in particolar modo l’Europa, e inizia a manifestarsi anche in quelli che sono definiti Paesi in via di sviluppo. Nell’UE, le donne che hanno dato alla luce il loro primo figlio nel 2014 hanno un’età media di 28,8 anni, mentre in Italia l’età media è di 30,7 anni. La tendenza europea in particolar modo è caratterizzata da un calo dei tassi di natalità e fertilità, cui fa riscontro, appunto, l’aumento dell’età media delle donne al primo parto.
Una coppia su sei in tutto il mondo sperimenta qualche forma di problematica legata all’infertilità almeno una volta durante la vita riproduttiva. L’attuale prevalenza di infertilità della durata di almeno 12 mesi è stimata intorno al 9% in tutto il mondo per le donne di età compresa tra i 20 e i 44 anni. Il 20-30% dei casi di infertilità è spiegato da cause maschili, il 20-35% da cause femminili e il 25-40% dei casi è dovuto a un problema in entrambi i partner. Nel 10-20% non si trova alcuna causa. L’infertilità è anche associata a fattori relativi allo stile di vita come il fumo, il peso corporeo e lo stress. L’aumento dell’età della donna è comunque una delle spiegazioni più comuni.
A livello globale vi è, quindi, un aumento della popolazione di donne in avanzata età riproduttiva che si affidano alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) per risolvere i problemi di infertilità; la maggior parte dei cicli di trattamento di fecondazione assistita riguarda donne con un’età compresa tra i 30 e i 39 anni [3]. Tuttavia è ampiamente accettato che la tecnica non può compensare il naturale declino della fertilità dovuto all’età, che le donne e gli uomini sottovalutano l’impatto dell’età sulla fertilità e la capacità riproduttiva e che le donne sovrastimano la capacità della PMA di risolvere le problematiche dell’infertilità dovuta all’età.
Le ragioni principali per cui le donne in particolare posticipano la maternità sono da ricercare nell’efficace contraccezione e controllo della riproduzione, nel desiderio di fare carriera in ambito lavorativo, nella partecipazione delle donne come forza lavoro con, purtroppo, incompatibilità con la maternità, nei cambiamenti nei valori concernenti la riproduzione, nella stabilità della partnership e la capacità di trovare un partner che partecipi alla riproduzione e genitorialità, nella capacità di stabilire una relazione e da ultimo, ma fattore non meno importante, nello stato d’incertezza economica generale.
Il declino biologico della fertilità femminile è strettamente correlato all’età e dipende dalla riduzione irreversibile della quantità e della qualità degli ovociti; infatti al momento della nascita è presente nelle ovaie un numero definito di ovociti che diminuirà costantemente e inesorabilmente lungo l’arco della vita della donna. Gli ovociti, inoltre, col passare del tempo diventano più suscettibili ad alterazioni “biologiche” (anomalie cromosomiche e meiotiche); è ormai infatti tristemente noto come all’aumentare dell’età materna aumenti il rischio di aborti spontanei e aneuploidie fetali come la trisomia 21. Inoltre, con l’aumentare dell’età le ovaie diventano meno abili nel rilasciare gli ovociti e la donna ha più probabilità di avere condizioni di salute avversa che possono causare problemi di fertilità (fibromi, problemi alle tube, cause iatrogene, disordini metabolici ecc.).
La fecondità (cioè la possibilità di concepire per ciclo mestruale) delle donne diminuisce gradualmente ma significativamente a circa 32 anni e diminuisce più rapidamente dopo i 37 anni. L’età materna condiziona in maniera significativa la normale capacità riproduttiva e questo aspetto è stato ulteriormente messo in luce dall’applicazione delle tecniche di procreazione assistita [6-8].
L’età materna è il più importante singolo fattore prognostico di successo nella PMA; studi retrospettivi che hanno indagato i dati relativi al rapporto tra l’età femminile e l’esito delle tecniche di PMA mostrano che la probabilità di una gravidanza diminuisce con l’età e parallelamente aumenta l’incidenza di cicli di trattamento sospesi e aborti. Inoltre le donne che concepiscono con PMA dopo 40 anni hanno un rischio maggiore di diabete gestazionale, disturbi ipertensivi, parti operativi vaginali e tagli cesarei rispetto alle donne più giovani.
In Italia secondo i dati del registro nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita nel 2016 sono state trattate con tecniche di PMA 77.522 coppie per un totale di 97.656 cicli iniziati e sono nati 13.582 bambini che rappresentano il 2,9% del totale dei bambini nati nel 2016. Rispetto al 2005 i cicli sono aumentati del 62,4%, con un aumento annuo di circa il 5,7%.
L’età media delle pazienti che si sono sottoposte a tecniche di PMA in Italia nel 2016 risulta essere di 36,8 anni, dato leggermente superiore alla media europea che si assesta a 34,8 anni (2013), e dal 2005 si è osservato un progressivo aumento delle pazienti con più di 40 anni.
La percentuale di gravidanze su cicli iniziati è 10,9% per l’inseminazione intrauterina; 17,3%. per le tecniche a fresco (FIVET, ICSI); 16,3% dopo crioconservazione di ovociti; 27,5% dopo crioconservazione di embrioni e di circa il 30% per le tecniche eterologhe con donazione di gameti.
La percentuale di cicli iniziati e annullati prima di arrivare al trasferimento dell’embrione è direttamente proporzionale all’età delle pazienti: nel 2016 i cicli annullati sono inferiori al 31,4% nelle pazienti fino a 39 anni, aumentano a 35,2% tra i 40 e i 42 anni e raggiungono il 44,2% nelle pazienti con più di 43 anni. Per le pazienti con un’età superiore a 43 anni quindi il rischio di annullamento del ciclo di trattamento è 1,7 volte maggiore rispetto a una donna di 35 anni.
All’aumentare dell’età delle pazienti diminuiscono i tassi di successo delle tecniche e aumenta il rischio che la gravidanza non esiti in un parto. In particolare la percentuale di gravidanza cumulativa per le tecniche di PMA senza donazione di gameti è del 36,7% nelle donne al di sotto dei 34 anni, del 28,8% tra i 35 e i 39 anni, del 15,4% tra i 40 e i 42 anni e del 6,6% per le donne con più di 43 anni. Parallelamente la quota delle gravidanze con esito negativo è pari a 18,2% nelle pazienti con meno di 35 anni, 25,1% tra i 35 e i 39 anni, 38,8% tra i 40 e i 42 anni e 53,6% per le pazienti di oltre 43 anni. In generale le pazienti con più di 43 anni hanno un rischio 5 volte maggiore di interrompere la gravidanza rispetto alle pazienti più giovani.
Per quanto riguarda le tecniche di PMA che prevedono la donazione di gameti (eterologa), in Italia la ancora bassa numerosità dei dati non permette di esprimere una valutazione accurata del fenomeno. Sono corposi e chiari invece i dati in letteratura e i dati dei registri nazionali dei Paesi dove ormai da anni viene applicata la fecondazione eterologa, come il Regno Unito e gli Stati Uniti. Questi dati concordano nel definire la donazione di ovociti come unico ed efficace trattamento per l’infertilità correlata all’età femminile avanzata. Secondo l’ultimo report (dati 2015) dei Centers for Disease Control and Prevention che raccoglie i risultati delle tecniche PMA negli Stati Uniti la probabilità di ottenere una gravidanza a seguito di donazione di ovociti è del 24,9% per le donne con un’età inferiore a 35 anni, del 24,8% tra i 35 e i 37 anni, del 27,6% tra i 38 e i 40 anni e del 24,7% dopo i 40 anni.
L’endometrio uterino ha la capacità naturale di mantenere una gravidanza durante gli anni riproduttivi della donna, e con le nuove tecnologie come la donazione degli ovuli anche oltre gli anni riproduttivi naturali. L’età della donna quindi non influenza la risposta dell’endometrio alla stimolazione ormonale e i tassi di gravidanza da cicli con donatrici di ovociti confermano che l’età della ricevente non influisce sui tassi di gravidanza che sono invece correlati all’età della donatrice e alla relativa qualità ovocitaria. Questi dati confermano ulteriormente che la capacità riproduttiva della donna legata all’età dipende quasi esclusivamente dalla qualità degli ovociti stessi.
In conclusione, la fertilità femminile è strettamente collegata all’età per cui le giovani donne devono sapere che la “finestra fertile” femminile è limitata e vulnerabile e che la qualità degli ovociti si riduce al crescere dell’età, particolarmente dopo i 35 anni quando concepire un bambino diventa progressivamente sempre più difficile. Sebbene la possibilità di successo delle tecniche di fecondazione assistita diminuisca con l’età, la fecondazione in vitro offre ancora un più alto tasso di gravidanza e nati vivi rispetto la sola stimolazione ovarica. Allo stato attuale il solo vero efficace trattamento per l’infertilità correlata all’età e al calo della qualità ovocitaria è la donazione di ovociti. In particolare le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre tempestivamente di una diagnosi e di un trattamento già dopo 6 mesi di ricerca di una gravidanza o anche prima in caso di indicazioni cliniche specifiche.
Fonti
1 Eurostat. Births and fertility in UE. Over 5.1 million babies born in 2014. 49/2016, 15 March 2016.
2 Istat Report, Natalità e Fecondità della popolazione residente (Anno 2014). 27 novembre 2015.
3 ESHRE. ART fact sheet, Update 18 February 2018.
Una coppia su sei in tutto il mondo sperimenta qualche forma di problematica legata all’infertilità almeno una volta durante la vita riproduttiva. L’attuale prevalenza di infertilità della durata di almeno 12 mesi è stimata intorno al 9% in tutto il mondo per le donne di età compresa tra i 20 e i 44 anni. Il 20-30% dei casi di infertilità è spiegato da cause maschili, il 20-35% da cause femminili e il 25-40% dei casi è dovuto a un problema in entrambi i partner. Nel 10-20% non si trova alcuna causa. L’infertilità è anche associata a fattori relativi allo stile di vita come il fumo, il peso corporeo e lo stress. L’aumento dell’età della donna è comunque una delle spiegazioni più comuni.
A livello globale vi è, quindi, un aumento della popolazione di donne in avanzata età riproduttiva che si affidano alla Procreazione Medicalmente Assistita (PMA) per risolvere i problemi di infertilità; la maggior parte dei cicli di trattamento di fecondazione assistita riguarda donne con un’età compresa tra i 30 e i 39 anni [3]. Tuttavia è ampiamente accettato che la tecnica non può compensare il naturale declino della fertilità dovuto all’età, che le donne e gli uomini sottovalutano l’impatto dell’età sulla fertilità e la capacità riproduttiva e che le donne sovrastimano la capacità della PMA di risolvere le problematiche dell’infertilità dovuta all’età.
Le ragioni principali per cui le donne in particolare posticipano la maternità sono da ricercare nell’efficace contraccezione e controllo della riproduzione, nel desiderio di fare carriera in ambito lavorativo, nella partecipazione delle donne come forza lavoro con, purtroppo, incompatibilità con la maternità, nei cambiamenti nei valori concernenti la riproduzione, nella stabilità della partnership e la capacità di trovare un partner che partecipi alla riproduzione e genitorialità, nella capacità di stabilire una relazione e da ultimo, ma fattore non meno importante, nello stato d’incertezza economica generale.
Il declino biologico della fertilità femminile è strettamente correlato all’età e dipende dalla riduzione irreversibile della quantità e della qualità degli ovociti; infatti al momento della nascita è presente nelle ovaie un numero definito di ovociti che diminuirà costantemente e inesorabilmente lungo l’arco della vita della donna. Gli ovociti, inoltre, col passare del tempo diventano più suscettibili ad alterazioni “biologiche” (anomalie cromosomiche e meiotiche); è ormai infatti tristemente noto come all’aumentare dell’età materna aumenti il rischio di aborti spontanei e aneuploidie fetali come la trisomia 21. Inoltre, con l’aumentare dell’età le ovaie diventano meno abili nel rilasciare gli ovociti e la donna ha più probabilità di avere condizioni di salute avversa che possono causare problemi di fertilità (fibromi, problemi alle tube, cause iatrogene, disordini metabolici ecc.).
La fecondità (cioè la possibilità di concepire per ciclo mestruale) delle donne diminuisce gradualmente ma significativamente a circa 32 anni e diminuisce più rapidamente dopo i 37 anni. L’età materna condiziona in maniera significativa la normale capacità riproduttiva e questo aspetto è stato ulteriormente messo in luce dall’applicazione delle tecniche di procreazione assistita [6-8].
L’età materna è il più importante singolo fattore prognostico di successo nella PMA; studi retrospettivi che hanno indagato i dati relativi al rapporto tra l’età femminile e l’esito delle tecniche di PMA mostrano che la probabilità di una gravidanza diminuisce con l’età e parallelamente aumenta l’incidenza di cicli di trattamento sospesi e aborti. Inoltre le donne che concepiscono con PMA dopo 40 anni hanno un rischio maggiore di diabete gestazionale, disturbi ipertensivi, parti operativi vaginali e tagli cesarei rispetto alle donne più giovani.
In Italia secondo i dati del registro nazionale della Procreazione Medicalmente Assistita nel 2016 sono state trattate con tecniche di PMA 77.522 coppie per un totale di 97.656 cicli iniziati e sono nati 13.582 bambini che rappresentano il 2,9% del totale dei bambini nati nel 2016. Rispetto al 2005 i cicli sono aumentati del 62,4%, con un aumento annuo di circa il 5,7%.
L’età media delle pazienti che si sono sottoposte a tecniche di PMA in Italia nel 2016 risulta essere di 36,8 anni, dato leggermente superiore alla media europea che si assesta a 34,8 anni (2013), e dal 2005 si è osservato un progressivo aumento delle pazienti con più di 40 anni.
La percentuale di gravidanze su cicli iniziati è 10,9% per l’inseminazione intrauterina; 17,3%. per le tecniche a fresco (FIVET, ICSI); 16,3% dopo crioconservazione di ovociti; 27,5% dopo crioconservazione di embrioni e di circa il 30% per le tecniche eterologhe con donazione di gameti.
La percentuale di cicli iniziati e annullati prima di arrivare al trasferimento dell’embrione è direttamente proporzionale all’età delle pazienti: nel 2016 i cicli annullati sono inferiori al 31,4% nelle pazienti fino a 39 anni, aumentano a 35,2% tra i 40 e i 42 anni e raggiungono il 44,2% nelle pazienti con più di 43 anni. Per le pazienti con un’età superiore a 43 anni quindi il rischio di annullamento del ciclo di trattamento è 1,7 volte maggiore rispetto a una donna di 35 anni.
All’aumentare dell’età delle pazienti diminuiscono i tassi di successo delle tecniche e aumenta il rischio che la gravidanza non esiti in un parto. In particolare la percentuale di gravidanza cumulativa per le tecniche di PMA senza donazione di gameti è del 36,7% nelle donne al di sotto dei 34 anni, del 28,8% tra i 35 e i 39 anni, del 15,4% tra i 40 e i 42 anni e del 6,6% per le donne con più di 43 anni. Parallelamente la quota delle gravidanze con esito negativo è pari a 18,2% nelle pazienti con meno di 35 anni, 25,1% tra i 35 e i 39 anni, 38,8% tra i 40 e i 42 anni e 53,6% per le pazienti di oltre 43 anni. In generale le pazienti con più di 43 anni hanno un rischio 5 volte maggiore di interrompere la gravidanza rispetto alle pazienti più giovani.
Per quanto riguarda le tecniche di PMA che prevedono la donazione di gameti (eterologa), in Italia la ancora bassa numerosità dei dati non permette di esprimere una valutazione accurata del fenomeno. Sono corposi e chiari invece i dati in letteratura e i dati dei registri nazionali dei Paesi dove ormai da anni viene applicata la fecondazione eterologa, come il Regno Unito e gli Stati Uniti. Questi dati concordano nel definire la donazione di ovociti come unico ed efficace trattamento per l’infertilità correlata all’età femminile avanzata. Secondo l’ultimo report (dati 2015) dei Centers for Disease Control and Prevention che raccoglie i risultati delle tecniche PMA negli Stati Uniti la probabilità di ottenere una gravidanza a seguito di donazione di ovociti è del 24,9% per le donne con un’età inferiore a 35 anni, del 24,8% tra i 35 e i 37 anni, del 27,6% tra i 38 e i 40 anni e del 24,7% dopo i 40 anni.
L’endometrio uterino ha la capacità naturale di mantenere una gravidanza durante gli anni riproduttivi della donna, e con le nuove tecnologie come la donazione degli ovuli anche oltre gli anni riproduttivi naturali. L’età della donna quindi non influenza la risposta dell’endometrio alla stimolazione ormonale e i tassi di gravidanza da cicli con donatrici di ovociti confermano che l’età della ricevente non influisce sui tassi di gravidanza che sono invece correlati all’età della donatrice e alla relativa qualità ovocitaria. Questi dati confermano ulteriormente che la capacità riproduttiva della donna legata all’età dipende quasi esclusivamente dalla qualità degli ovociti stessi.
In conclusione, la fertilità femminile è strettamente collegata all’età per cui le giovani donne devono sapere che la “finestra fertile” femminile è limitata e vulnerabile e che la qualità degli ovociti si riduce al crescere dell’età, particolarmente dopo i 35 anni quando concepire un bambino diventa progressivamente sempre più difficile. Sebbene la possibilità di successo delle tecniche di fecondazione assistita diminuisca con l’età, la fecondazione in vitro offre ancora un più alto tasso di gravidanza e nati vivi rispetto la sola stimolazione ovarica. Allo stato attuale il solo vero efficace trattamento per l’infertilità correlata all’età e al calo della qualità ovocitaria è la donazione di ovociti. In particolare le donne con più di 35 anni dovrebbero poter disporre tempestivamente di una diagnosi e di un trattamento già dopo 6 mesi di ricerca di una gravidanza o anche prima in caso di indicazioni cliniche specifiche.
Fonti
1 Eurostat. Births and fertility in UE. Over 5.1 million babies born in 2014. 49/2016, 15 March 2016.
2 Istat Report, Natalità e Fecondità della popolazione residente (Anno 2014). 27 novembre 2015.
3 ESHRE. ART fact sheet, Update 18 February 2018.
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