Nell’ambito della PMA il tasso di successo delle diverse tecniche diminuisce con l’aumentare dell’età della coppia, con percentuali spesso molto eterogenee a seconda degli studi presi in considerazione, ma in maniera talmente significativa da poter considerare l’età materna come il fattore predittivo più importante in termini di riuscita delle terapie stesse. Si tratta di una conseguenza inevitabile derivante dalla progressiva deplezione di follicoli ovarici che inizia già durante la vita fetale e che prosegue inesorabilmente fino alla menopausa.
I fattori che guidano lo specialista in infertilità nella scelta del protocollo terapeutico migliore in termini di possibilità di successo sono diversi, e sono i cosiddetti indicatori di riserva ovarica. Infatti, sebbene l’età anagrafica sia un fattore importante nel predire la risposta al trattamento di PMA, l’età biologica è sicuramente un fattore più accurato. Inoltre, la valutazione del quadro clinico, ecografico e ormonale [con il dosaggio dei livelli plasmatici di ormone follicolo stimolante (FSH), estradiolo (E2) e ormone antimulleriano (AMH)] può infatti fornire informazioni precise circa la riserva follicolare e quindi la capacità riproduttiva di una donna.
L’esito stesso della stimolazione ormonale è da considerare strumento per indagare la capacità riproduttiva delle pazienti e determinare la scelta delle procedure. Ad esempio, dopo 2 cicli di stimolazione ormonale con recupero ovocitario inferiore a 3 ovociti la donna può essere considerata una “poor responder” (cioè donna che risponderà in modo non ottimale al trattamento di stimolazione ovarica) anche in assenza di ulteriori criteri (come per esempio l’età anagrafica). Alcuni ricercatori ritengono indispensabile eseguire un ciclo di stimolazione ovarica per procedere a qualsiasi tipo di conclusione in tal senso. Infatti, in caso di donne con un’età >40 anni e di un test di riserva ovarica anomalo è possibile parlare di “sospette” pazienti “poor responder”. Nella scelta della procedura terapeutica è anche importante ricordare che, trattandosi di donne in età avanzata rispetto all’età riproduttiva, è necessario valutare la condizione clinica generale della paziente, la sua storia clinica e familiare; infatti è prevedibile identificare in questi soggetti una più alta percentuale di patologie associate (quali ipertensione, diabete ecc.) che potrebbero aumentare il rischio farmacologico e chirurgico connesso con le procedure di PMA.
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