È ragionevole pensare che attraverso una corretta alimentazione si possa contribuire a preservare la propria fertilità, dal momento che il cuore delle funzioni riproduttive, cioè l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, è influenzabile da una serie di molecole che vengono prodotte dall’apparato digerente e dal tessuto adiposo. Questo concetto è applicabile in particolare al sistema riproduttivo femminile, che è influenzato non soltanto dal tipo di alimentazione seguita, ma anche e soprattutto dal peso corporeo e dalla quantità di grasso, dal momento che ha subito una notevole pressione evolutiva che l’ha reso sensibile alle condizioni ambientali avverse. Siccome la produzione dei gameti è 3 volte più dispendiosa nella femmina che nel maschio e i costi energetici aumentano in caso di gravidanza e allattamento, il “sistema donna” è costruito in modo tale da prevenire una gravidanza in condizioni di insufficiente apporto energetico. È necessario infatti che il 17% del peso corporeo sia costituito da adipe per avere il menarca. Tuttavia, mentre è noto che le condizioni di aumento di consumo energetico (sport agonistici per esempio) possono ritardare l’età della prima mestruazione, non esisterebbero relazioni certe con i singoli nutrienti e serviranno perciò ulteriori studi per verificare quelle che al momento sono solo minime influenze (per esempio il supplemento di vitamina A, il deficit di vitamina D e l’abbondanza di proteine animali sembrerebbero anticipare il menarca). Nelle donne in età fertile, poi, sono di nuovo il peso e la quantità di tessuto adiposo a influire sul mantenimento della regolarità dei cicli mestruali e dell’ovulazione, più che la composizione della dieta in sé. La diminuzione dell’adipe causa infatti una disfunzione ipotalamica che si manifesta con irregolarità mestruali e/o amenorrea; il sovrappeso e l’obesità sono correlati ad aumento di anovulazione e infertilità, soprattutto per le donne affette dalla sindrome dell’ovaio policistico (PCOS). In generale, l’intervallo ideale di indice di massa corporea (cioè il rapporto fra peso e altezza) nel quale è minore il rischio di infertilità da anovulazione è compreso fra 20 e 24; esso andrebbe mantenuto attraverso l’associazione di esercizio fisico regolare e corretta alimentazione. Tra i lipidi, l’apporto dietetico dovrebbe privilegiare i grassi polinsaturi, che sembrano influenzare positivamente lo sviluppo dei follicoli oofori, mentre l’eccesso di grassi saturi danneggerebbe le cellule uovo. Tra i carboidrati, il contenimento del consumo di quelli ad alto indice glicemico ridurrebbe, soprattutto nelle donne con PCOS, il rischio di anovulazione. Essenziale, infine, per lo sviluppo del follicolo e della cellula uovo sembrerebbe il giusto apporto alimentare di ferro e acido folico.
È più difficile verificare con esattezza gli effetti dell’alimentazione sulla fertilità maschile, perché gli studi scientifici usano spesso come “misura” lo spermiogramma, un’analisi con scarsa capacità predittiva, influenzabile da molteplici fattori ed eseguito per lo più in soggetti già classificati come infertili. Comunque, i nutrienti dei quali la letteratura scientifica riporta benefici effetti sono quelli che fungono da substrati energetici, plastici e modulanti la proliferazione cellulare. In particolare, gli acidi grassi Omega-3 e Omega-6, costituenti essenziali della membrana cellulare degli spermatozoi, sembrerebbero influenzare positivamente tutti i parametri del liquido seminale e stimolare la produzione ormonale. Anche l’acido folico è necessario per la corretta spermatogenesi, al punto che la carenza nella dieta di questa vitamina si assocerebbe a un aumento della frammentazione del DNA spermatico. Sostanze antiossidanti, quali vitamine A ed E, zinco e selenio, contribuirebbero infine a proteggere gli spermatozoi dal danno ossidativo da radicali liberi: la loro supplementazione dietetica sarebbe correlabile a un miglioramento del tasso di nati vivi nelle coppie infertili.
Dott.ssa Francesca Delfino
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