Dopo il parto, oltre alle fisiologiche modificazioni del corpo che torna lentamente allo stato pregravidico, si verificano notevoli cambiamenti ed assestamenti della psiche.
Il puerperio è una fase di transizione alla genitorialità caratterizzato, tra i suoi molti elementi, anche da modifiche più o meno marcate delle abitudini e dei ritmi di vita, a seconda dei bisogni del neonato.
La nascita di un bambino è un evento circondato da grandi attese e con essa si chiude un cammino di speranze e paure che lascia il posto ad un nuovo periodo di adattamento: le attenzioni che il neonato richiede comportano numerosi cambiamenti nella vita dei genitori e degli altri membri del nucleo familiare.
L’adattamento psicologico alla maternità è un processo complesso, per il quale i 9 mesi della gravidanza non sono mai del tutto sufficienti. Si tratta di un’esperienza unica, influenzata da aspettative, guidata da reazioni e sentimenti contrastanti che a volte possono sorprendere.
Molte donne hanno una scarsa esperienza nell’accudire un neonato e possono sentirsi oppresse dalle responsabilità, confuse e demoralizzate rispetto ai suggerimenti e ai consigli contrastanti che non di rado ricevono da altri; in realtà, poche sono le regole fisse da seguire per prendersi cura del neonato, ma molte delle preoccupazioni e sensazioni vissute da una madre dipendono dalla propria personalità e dalla sicurezza che ripone in lei stessa.
La vera maternità non coincide con quella idealizzata dai media: accudire un neonato richiede un impegno costante e, soprattutto all’inizio, lascia poco spazio per pensare ai propri bisogni di donna.
Fortunatamente, far fronte alle esigenze del bambino e della famiglia e adattarsi ai nuovi ritmi fa parte di un processo graduale, ma questo può comunque essere fonte di forte stress emotivo: imparare ad accudire il nuovo nato in una fase nella quale il corpo sta smaltendo la tensione accumulata durante la gravidanza, il travaglio e il parto può alimentare un miscuglio di emozioni poco definibili.
La preoccupazione, l’ansia e lo stress della nuova vita possono generare sconforto, che a volte si somma anche alla solitudine. In tali circostanze diventa complesso gestire la frustrazione e potrebbero affiorare un senso di delusione e di fallimento, i quali tendono a demotivare ed allontanare dai buoni propositi quotidiani.
Anche l’allattamento, le cui sottili leggi d’equilibrio sono fisiologicamente regolate dal corpo, può venire compromesso da timori insorgenti: la secrezione di ossitocina è influenzata dell’azione di altri ormoni rilasciati in occasione di situazioni stressanti e tanto più queste circostanze divengono croniche tanto maggiore è l’effetto “alterante” che possono avere sul processo di produzione e secrezione di latte.
Al subentrare di stanchezza, irrigidimento e isolamento è facile che durante la poppata si presenti una certa distrazione da parte della mamma; il non esserci nel “qui e ora” con il proprio bambino, il non condividere fino in fondo con lui l’esperienza potrebbe facilitare la strada all’insorgere di intoppi che, in circostanze demotivanti, possono sembrare difficili da superare: ragadi e ingorgo mammario sono purtroppo annoverati tra le prime cause di insuccesso dell’allattamento al seno e, quando non prevenuti, necessitano di essere debellati al loro primo insorgere.
Il rischio che si verifichino queste circostanze impone alla mamma la necessità di rilassarsi e ritagliarsi del tempo per se stessa: un bagno rilassante, una buona lettura o un bel massaggio mentre il piccolo dorme sono qualcosa che ogni donna dovrebbe incoraggiarsi a fare.
È altrettanto importante che l’ambiente domestico sia protetto da fonti di stress ed è fondamentale che ciascuna donna non si chiuda in se stessa, che abbia la possibilità di comunicare e confrontarsi, “scoprendosi” sempre più: questo è possibile solo ascoltandosi e mantenendo aperti i canali comunicativi. Non importa con chi (il proprio partner, la madre, la sorella, o un’ostetrica alla quale chiedere aiuto e consiglio): avere una figura di riferimento con la quale non si abbia il timore di aprirsi è una zattera di salvataggio dal maremoto di emozioni.
Uno dei lavori più duri per ogni madre è quello di non farsi indebolire dalle novità e dalle critiche e abbandonare i dubbi relativi al “non essere una buona mamma”: non c’è nulla da temere, il legame con il proprio figlio si è già costruito lungo i 9 mesi di gestazione e, dopo il parto, va a consolidarsi ogni giorno di più, arricchendosi con grande naturalezza. Ogni mamma è essenzialmente insostituibile per il proprio bambino.
Il puerperio è una fase di transizione alla genitorialità caratterizzato, tra i suoi molti elementi, anche da modifiche più o meno marcate delle abitudini e dei ritmi di vita, a seconda dei bisogni del neonato.
La nascita di un bambino è un evento circondato da grandi attese e con essa si chiude un cammino di speranze e paure che lascia il posto ad un nuovo periodo di adattamento: le attenzioni che il neonato richiede comportano numerosi cambiamenti nella vita dei genitori e degli altri membri del nucleo familiare.
L’adattamento psicologico alla maternità è un processo complesso, per il quale i 9 mesi della gravidanza non sono mai del tutto sufficienti. Si tratta di un’esperienza unica, influenzata da aspettative, guidata da reazioni e sentimenti contrastanti che a volte possono sorprendere.
Molte donne hanno una scarsa esperienza nell’accudire un neonato e possono sentirsi oppresse dalle responsabilità, confuse e demoralizzate rispetto ai suggerimenti e ai consigli contrastanti che non di rado ricevono da altri; in realtà, poche sono le regole fisse da seguire per prendersi cura del neonato, ma molte delle preoccupazioni e sensazioni vissute da una madre dipendono dalla propria personalità e dalla sicurezza che ripone in lei stessa.
La vera maternità non coincide con quella idealizzata dai media: accudire un neonato richiede un impegno costante e, soprattutto all’inizio, lascia poco spazio per pensare ai propri bisogni di donna.
Fortunatamente, far fronte alle esigenze del bambino e della famiglia e adattarsi ai nuovi ritmi fa parte di un processo graduale, ma questo può comunque essere fonte di forte stress emotivo: imparare ad accudire il nuovo nato in una fase nella quale il corpo sta smaltendo la tensione accumulata durante la gravidanza, il travaglio e il parto può alimentare un miscuglio di emozioni poco definibili.
La preoccupazione, l’ansia e lo stress della nuova vita possono generare sconforto, che a volte si somma anche alla solitudine. In tali circostanze diventa complesso gestire la frustrazione e potrebbero affiorare un senso di delusione e di fallimento, i quali tendono a demotivare ed allontanare dai buoni propositi quotidiani.
Anche l’allattamento, le cui sottili leggi d’equilibrio sono fisiologicamente regolate dal corpo, può venire compromesso da timori insorgenti: la secrezione di ossitocina è influenzata dell’azione di altri ormoni rilasciati in occasione di situazioni stressanti e tanto più queste circostanze divengono croniche tanto maggiore è l’effetto “alterante” che possono avere sul processo di produzione e secrezione di latte.
Al subentrare di stanchezza, irrigidimento e isolamento è facile che durante la poppata si presenti una certa distrazione da parte della mamma; il non esserci nel “qui e ora” con il proprio bambino, il non condividere fino in fondo con lui l’esperienza potrebbe facilitare la strada all’insorgere di intoppi che, in circostanze demotivanti, possono sembrare difficili da superare: ragadi e ingorgo mammario sono purtroppo annoverati tra le prime cause di insuccesso dell’allattamento al seno e, quando non prevenuti, necessitano di essere debellati al loro primo insorgere.
Il rischio che si verifichino queste circostanze impone alla mamma la necessità di rilassarsi e ritagliarsi del tempo per se stessa: un bagno rilassante, una buona lettura o un bel massaggio mentre il piccolo dorme sono qualcosa che ogni donna dovrebbe incoraggiarsi a fare.
È altrettanto importante che l’ambiente domestico sia protetto da fonti di stress ed è fondamentale che ciascuna donna non si chiuda in se stessa, che abbia la possibilità di comunicare e confrontarsi, “scoprendosi” sempre più: questo è possibile solo ascoltandosi e mantenendo aperti i canali comunicativi. Non importa con chi (il proprio partner, la madre, la sorella, o un’ostetrica alla quale chiedere aiuto e consiglio): avere una figura di riferimento con la quale non si abbia il timore di aprirsi è una zattera di salvataggio dal maremoto di emozioni.
Uno dei lavori più duri per ogni madre è quello di non farsi indebolire dalle novità e dalle critiche e abbandonare i dubbi relativi al “non essere una buona mamma”: non c’è nulla da temere, il legame con il proprio figlio si è già costruito lungo i 9 mesi di gestazione e, dopo il parto, va a consolidarsi ogni giorno di più, arricchendosi con grande naturalezza. Ogni mamma è essenzialmente insostituibile per il proprio bambino.
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