Laura ha 44 anni, vive a Londra, ha congelato i suoi ovuli sette anni e mezzo fa, quando aveva 36 anni ed era single ma era anche sicura che in futuro avrebbe voluto avere dei bambini. Ora però è angosciata, “ho una relazione con qualcuno, ma è troppo presto per pensare ai bambini, quindi ho un vero dilemma su cosa fare”, scrive l’Huffington Post Uk. Troppo presto per pensare ai bambini a 44 anni?
GLI OVULI IN FREEZER
Da tempo in Inghilterra la carica delle donne che si sono sottoposte a “social egg freezing”, cioè che hanno congelato i propri gameti per motivi non medici – decidendo di rimandare la gravidanza per enne motivi a “quando sarò pronta”, “quando avrò il partner giusto”, “quando avrò fatto carriera”, “quando sarà il momento” – si batte contro la legislazione che prevede un tempo di dieci anni per la conservazione del “materiale”: passati dieci anni, se la donna non li avrà usati, gli ovuli verranno distrutti. Diversamente accade per chi ricorre alla procedura per motivi medici: una donna che deve sottoporsi a chemioterapia o interventi oncologici può crioconservare i suoi gameti fino al compimento dei 55 anni.
La discriminazione, secondo le donne come Laura, è netta: non ci sarebbe nessun motivo scientifico per costringere una donna in buona salute a fare un bambino entro dieci anni per non vedere sfumato il sogno di maternità: “Questa faccenda è così sciocca, dovrebbe togliere l’ansia e la fretta, ma con un limite del genere vieni afferrata dal panico del tempo che passa già dal quinto anno”.
I SUCCESSI DELLA PROVETTA
Secondo l’Human Fertilization and Embryology Authority (Hfea), nel Regno Unito le donne che ricorrono a “egg freezing” sono aumentate in un anno del 10 per cento. Stimolazione ovarica, recupero degli ovuli, congelamento e fecondazione: il procedimento costa tra le 7 e le 8 mila sterline e arriva a quasi 11 mila in caso lo stoccaggio venga protratto per dieci anni. Per questo il Progress Educational Trust (Pet) ha lanciato la campagna #ExtendTheLimit, sposata da numerosi giornali, Telegraph in testa, chiedendo al governo di prorogare il termine: secondo l’ente protagonista di dibattiti in campo di genetica umana, fecondazione assistita e staminali, è colpa della legge se oltre due terzi delle donne si danno al “social freezing” dopo i 35 anni: “Le donne si trovano di fronte a una scelta difficile: congelare gli ovuli al momento ottimale (intorno ai vent’anni) ma essere costrette a usarli prima di quando desiderino, oppure ritardare il congelamento riducendo però le possibilità del successo della fecondazione in vitro”.
MADRI BIOLOGICHE DOPO I 45 ANNI
Sebbene molte cliniche non concedano il trattamento a donne over 50, “nel Regno Unito sarebbe possibile utilizzare i gameti dei donatori senza limiti di età”, ha ribadito la dottoressa Kylie Baldwin “pertanto, non è giusto che alle donne venga negato l’uso dei propri ovuli per concepire, nel momento in cui li donano a se stesse”. Jane, 45 anni, per esempio, ha congelato le sue uova nel 2009 e, all’inizio del 2019, ha dovuto affrontare il dramma della distruzione, “è stato straziante, senza cuore e sconvolgente. Questa era la mia unica possibilità di avere una famiglia biologica”.
C’è qualcosa di inquietante se la difesa della maternità biologica si fonda oggi sul superamento dei limiti imposti dalla biologia. E se il congelamento degli ovuli viene trattato alla stregua di una polizza assicurativa per avere un bambino. “Chi sarebbe danneggiato da una donna di 38 anni che prolunga il periodo di conservazione per utilizzare i suoi ovuli a 44 anni?”, si chiede al parlamento, perché negare così crudelmente “la speranza di un futuro fertile” o al contrario imporre la genitorialità “prima che una donna sia pronta?”. Secondo le attiviste, supportate da docenti e specialiste della fertilità, la legislazione costituisce una palese “violazione dei diritti umani” compromettendo la possibilità delle donne di diventare “madri biologiche” e discriminandole sulla base del declino della loro fertilità con l’avanzare degli anni.
MA NON CONTAVA SOLO L’AMORE?
Cinque anni fa Apple e Facebook si sono inventati i benefits per il congelamento degli ovuli: 10 mila dollari alle dipendenti che avrebbero deciso di mettere in freezer i propri gameti per diventare madri dopo aver fatto carriera. E in poche si sono sentite discriminate dal ragionamento in voga nella Silicon Valley, che al netto della retorica sul diritto a fare o non fare un figlio suona come: finché sei giovane servi all’industria, quando invecchi diventi uno scarto e puoi darti a “svaghi” rimandabili come la maternità. Sorprende che nel nuovo dibattito su come arginare il destino biologico, scongiurando gravidanze a 25 anni, ma pretendendole dopo i 45, non si parli quasi mai dei rischi del concepimento non naturale ma “assistito”, delle scarse possibilità che la gravidanza vada a termine, né delle contraddizioni di un discorso in base al quale non serve solo la biologia ma anche il momento giusto, il partner giusto, il lavoro giusto (e poi, il mercato in fiore della fecondazione assistita e delle donazioni di gameti non ci aveva insegnato che conta solo l’amore e non la biologia?).
E IL BAMBINO?
Non sorprende invece, nel ricollocamento della maternità consapevole in un orizzonte atemporale (“oggi non mi sento madre ma domani chissà”), che il grande escluso dalla mischia intorno ai diritti negati o consentiti sia ancora una volta lui, il nascituro. Non c’è una ragione scientifica, dicono le donne che accusano la legge di discriminarle, per non figliare, grazie alla scienza, ben oltre i 45 anni. Però c’è il buon senso che forse una legge “obsoleta” ha inteso preservare fino ad oggi: la possibilità per un bambino così a lungo rimandato di avere una madre dell’età biologica e anagrafica congrua alla maternità e anche alla scelta stessa di aver voluto conservare i propri giovani ovuli. Ma forse ai figli dell’amore ai tempi del “social egg freezing” è richiesta la stessa cosa che le future mamme vogliono dalla legge: “flessibilità”.
Fonte https://www.tempi.it/non-e-mai-troppo-tardi-per-avere-un-figlio-in-vitro/
GLI OVULI IN FREEZER
Da tempo in Inghilterra la carica delle donne che si sono sottoposte a “social egg freezing”, cioè che hanno congelato i propri gameti per motivi non medici – decidendo di rimandare la gravidanza per enne motivi a “quando sarò pronta”, “quando avrò il partner giusto”, “quando avrò fatto carriera”, “quando sarà il momento” – si batte contro la legislazione che prevede un tempo di dieci anni per la conservazione del “materiale”: passati dieci anni, se la donna non li avrà usati, gli ovuli verranno distrutti. Diversamente accade per chi ricorre alla procedura per motivi medici: una donna che deve sottoporsi a chemioterapia o interventi oncologici può crioconservare i suoi gameti fino al compimento dei 55 anni.
La discriminazione, secondo le donne come Laura, è netta: non ci sarebbe nessun motivo scientifico per costringere una donna in buona salute a fare un bambino entro dieci anni per non vedere sfumato il sogno di maternità: “Questa faccenda è così sciocca, dovrebbe togliere l’ansia e la fretta, ma con un limite del genere vieni afferrata dal panico del tempo che passa già dal quinto anno”.
I SUCCESSI DELLA PROVETTA
Secondo l’Human Fertilization and Embryology Authority (Hfea), nel Regno Unito le donne che ricorrono a “egg freezing” sono aumentate in un anno del 10 per cento. Stimolazione ovarica, recupero degli ovuli, congelamento e fecondazione: il procedimento costa tra le 7 e le 8 mila sterline e arriva a quasi 11 mila in caso lo stoccaggio venga protratto per dieci anni. Per questo il Progress Educational Trust (Pet) ha lanciato la campagna #ExtendTheLimit, sposata da numerosi giornali, Telegraph in testa, chiedendo al governo di prorogare il termine: secondo l’ente protagonista di dibattiti in campo di genetica umana, fecondazione assistita e staminali, è colpa della legge se oltre due terzi delle donne si danno al “social freezing” dopo i 35 anni: “Le donne si trovano di fronte a una scelta difficile: congelare gli ovuli al momento ottimale (intorno ai vent’anni) ma essere costrette a usarli prima di quando desiderino, oppure ritardare il congelamento riducendo però le possibilità del successo della fecondazione in vitro”.
MADRI BIOLOGICHE DOPO I 45 ANNI
Sebbene molte cliniche non concedano il trattamento a donne over 50, “nel Regno Unito sarebbe possibile utilizzare i gameti dei donatori senza limiti di età”, ha ribadito la dottoressa Kylie Baldwin “pertanto, non è giusto che alle donne venga negato l’uso dei propri ovuli per concepire, nel momento in cui li donano a se stesse”. Jane, 45 anni, per esempio, ha congelato le sue uova nel 2009 e, all’inizio del 2019, ha dovuto affrontare il dramma della distruzione, “è stato straziante, senza cuore e sconvolgente. Questa era la mia unica possibilità di avere una famiglia biologica”.
C’è qualcosa di inquietante se la difesa della maternità biologica si fonda oggi sul superamento dei limiti imposti dalla biologia. E se il congelamento degli ovuli viene trattato alla stregua di una polizza assicurativa per avere un bambino. “Chi sarebbe danneggiato da una donna di 38 anni che prolunga il periodo di conservazione per utilizzare i suoi ovuli a 44 anni?”, si chiede al parlamento, perché negare così crudelmente “la speranza di un futuro fertile” o al contrario imporre la genitorialità “prima che una donna sia pronta?”. Secondo le attiviste, supportate da docenti e specialiste della fertilità, la legislazione costituisce una palese “violazione dei diritti umani” compromettendo la possibilità delle donne di diventare “madri biologiche” e discriminandole sulla base del declino della loro fertilità con l’avanzare degli anni.
MA NON CONTAVA SOLO L’AMORE?
Cinque anni fa Apple e Facebook si sono inventati i benefits per il congelamento degli ovuli: 10 mila dollari alle dipendenti che avrebbero deciso di mettere in freezer i propri gameti per diventare madri dopo aver fatto carriera. E in poche si sono sentite discriminate dal ragionamento in voga nella Silicon Valley, che al netto della retorica sul diritto a fare o non fare un figlio suona come: finché sei giovane servi all’industria, quando invecchi diventi uno scarto e puoi darti a “svaghi” rimandabili come la maternità. Sorprende che nel nuovo dibattito su come arginare il destino biologico, scongiurando gravidanze a 25 anni, ma pretendendole dopo i 45, non si parli quasi mai dei rischi del concepimento non naturale ma “assistito”, delle scarse possibilità che la gravidanza vada a termine, né delle contraddizioni di un discorso in base al quale non serve solo la biologia ma anche il momento giusto, il partner giusto, il lavoro giusto (e poi, il mercato in fiore della fecondazione assistita e delle donazioni di gameti non ci aveva insegnato che conta solo l’amore e non la biologia?).
E IL BAMBINO?
Non sorprende invece, nel ricollocamento della maternità consapevole in un orizzonte atemporale (“oggi non mi sento madre ma domani chissà”), che il grande escluso dalla mischia intorno ai diritti negati o consentiti sia ancora una volta lui, il nascituro. Non c’è una ragione scientifica, dicono le donne che accusano la legge di discriminarle, per non figliare, grazie alla scienza, ben oltre i 45 anni. Però c’è il buon senso che forse una legge “obsoleta” ha inteso preservare fino ad oggi: la possibilità per un bambino così a lungo rimandato di avere una madre dell’età biologica e anagrafica congrua alla maternità e anche alla scelta stessa di aver voluto conservare i propri giovani ovuli. Ma forse ai figli dell’amore ai tempi del “social egg freezing” è richiesta la stessa cosa che le future mamme vogliono dalla legge: “flessibilità”.
Fonte https://www.tempi.it/non-e-mai-troppo-tardi-per-avere-un-figlio-in-vitro/
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