È caduto il divieto sul numero di embrioni prodotti e l’obbligo all’impianto contemporaneo di tutti quelli prodotti. È caduto il divieto di eterologa e anche quello di accesso alla coppie fertili portatrici di malattie genetiche e la selezione degli embrioni. E nel frattempo la fecondazione assistita è stata inserita nei Lea, Livelli essenziali di assistenza, almeno così dovrebbe essere. Cosa rimane, viene da chiedersi, che non funziona o potrebbe funzionare meglio oggi nella fecondazione assistita, uno dei temi sentiti dallo scomparso Marco Pannella?
Un percorso lungo e costoso
A suggerire qualche risposta sono, in parte, i dati appena resi noti dalla ricerca Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Ibsa, che fotografano la situazione dal punto dei vista dei genitori. Da chi alle tecniche di fecondazione assistita è ricorso, e sappiamo, secondo gli ultimi dati disponibili che sono stati in tanti: nel 2013 sono state quasi 90mila le coppie che hanno avuto accesso alle tecniche di Pma (tutte, comprese quelle di primo livello) per un totale di circa 14mila nati vivi.
A suggerire qualche risposta sono, in parte, i dati appena resi noti dalla ricerca Diventare genitori oggi: il punto di vista delle coppie in Pma realizzata dal Censis in collaborazione con la Fondazione Ibsa, che fotografano la situazione dal punto dei vista dei genitori. Da chi alle tecniche di fecondazione assistita è ricorso, e sappiamo, secondo gli ultimi dati disponibili che sono stati in tanti: nel 2013 sono state quasi 90mila le coppie che hanno avuto accesso alle tecniche di Pma (tutte, comprese quelle di primo livello) per un totale di circa 14mila nati vivi.
A leggere i dati raccolti dal Censis appare chiaro che ricorrere alla procreazione assistita è un percorso lungo e costoso. Lungo soprattutto se ci si rivolge alle strutture pubbliche, e costoso – con una media di 4mila euro per chi ha pagato di tasca propria – soprattutto nelle regioni dove è forte la presenza di strutture private, come il Centro e il Sud. E di fatto i problemi amministrativi e di accessibilità sono ancora quelli che pesano maggiormente in materia di procreazione assistita, come hanno spiegato a Wired.it anche due esperti.
L’accesso non è uguale per tutti
“Dal punto di vista delle tecniche, soprattutto per l’omologa, non abbiamo più problemi”, spiega infatti Elisabetta Chelo, ginecologa presso il Centro di procreazione assistita Demetra, in Toscana:“Discorso diverso per quanto riguarda le possibilità di accesso, soprattutto al Meridione”. Molte regioni infatti hanno un’offerta da parte del sistema sanitario non corrispondente alle richieste o non hanno le tecniche di procreazione assistita tra quelle pagate dal servizio sanitario. “Questo fa sì che si osservi uno spostamento cospicuo di coppie in cerca di un bambino lungo il territorio nazionale, con migrazioni soprattutto verso quelle regioni con offerte maggiori, come la Toscana e la Lombardia”. Una mobilità passiva, aggiunge Antonino Guglielmino responsabile del centro Hera di Catania, che ha raggiunto il 27% sul territorio nazionale: ben oltre quell’8% considerato fisiologico per ogni condizione: “La mobilità passiva per la pma per la sola Sicilia per esempio ha prodotto una spesa di 8 milioni di euro l’anno, che la nostra regione pagava in regime di compensazione per i servizi offerti ai propri assistiti alla Lombardia”.
“Dal punto di vista delle tecniche, soprattutto per l’omologa, non abbiamo più problemi”, spiega infatti Elisabetta Chelo, ginecologa presso il Centro di procreazione assistita Demetra, in Toscana:“Discorso diverso per quanto riguarda le possibilità di accesso, soprattutto al Meridione”. Molte regioni infatti hanno un’offerta da parte del sistema sanitario non corrispondente alle richieste o non hanno le tecniche di procreazione assistita tra quelle pagate dal servizio sanitario. “Questo fa sì che si osservi uno spostamento cospicuo di coppie in cerca di un bambino lungo il territorio nazionale, con migrazioni soprattutto verso quelle regioni con offerte maggiori, come la Toscana e la Lombardia”. Una mobilità passiva, aggiunge Antonino Guglielmino responsabile del centro Hera di Catania, che ha raggiunto il 27% sul territorio nazionale: ben oltre quell’8% considerato fisiologico per ogni condizione: “La mobilità passiva per la pma per la sola Sicilia per esempio ha prodotto una spesa di 8 milioni di euro l’anno, che la nostra regione pagava in regime di compensazione per i servizi offerti ai propri assistiti alla Lombardia”.
Detto in altre parole: se qualcosa è difficile averlo in una regione ci si muove, ma la regione dovrà poi rimborsare chi ha prestato il servizio per i suoi assistiti. Qualcosa però negli ultimi tempi è cambiato. Ma non per l’arrivo della Pma nei Lea nazionali come annunciato; al momento di fatto la Pma si trova nei Lea solo per alcune regioni, come Piemonte, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Umbria, Toscana e Veneto. “Alcune regioni in regime controllato e che non hanno la Pma nei Lea devono autorizzare i propri assistiti a ricevere prestazioni al di fuori della propria regione”, continua Chelo. E se alcune regioni sono più permissive, vedi il Lazio, altre hanno cominciato a negare queste autorizzazioni, appunto perché si trovano già in difficoltà e non possono sostenere i costi relativi alle compensazioni verso le altre regioni che erogano il servizio.
È il caso per esempio della Campania, dell’Abruzzo o della Sicilia, che negano la maggior parte delle richieste. “L’arrivo dei Lea nazionali eliminerebbe il bisogno di questa autorizzazione ma non basterebbe automaticamente ad aumentare le prestazioni a livello regionale”, precisa Chelo. Per potenziare il servizio pubblico servirebbe potenziare le strutture in loco o allargare il servizio convenzionato. Senza rimarrebbero, da una parte – soprattutto al Sud – i centri privati a farla da padroni, con costi ingenti per chi decide di rivolgersi alla pma e si vede di fatto negata la possibilità di cambiare regione per farlo; dall’altra lunghe liste di attesa nei centri pubblici, anche al Nord.
Eterologa, mancano i gameti
Nel 2014 un altro dei paletti della legge 40, quello considerato tra i più proibizionisti, cadeva: il divieto di ricorrer alla fecondazione eterologa, ovvero alla possibilità di usufruire di gameti (spermatozoi e ovociti) esterni alla coppia. Ma a differenza dell’omologa qui rimangono ancora delle problematiche di tipotecnico. “L’eterologa”, spiega Chelo, “è estremamente richiesta sul territorio nazionale, ma noi ci ritroviamo a fare i conti con il fatto che non abbiamo i gameti perché non abbiamo i donatori”.
Nel 2014 un altro dei paletti della legge 40, quello considerato tra i più proibizionisti, cadeva: il divieto di ricorrer alla fecondazione eterologa, ovvero alla possibilità di usufruire di gameti (spermatozoi e ovociti) esterni alla coppia. Ma a differenza dell’omologa qui rimangono ancora delle problematiche di tipotecnico. “L’eterologa”, spiega Chelo, “è estremamente richiesta sul territorio nazionale, ma noi ci ritroviamo a fare i conti con il fatto che non abbiamo i gameti perché non abbiamo i donatori”.
Un problema che per il ministro è da ricondursi a questioni burocratiche e a lungo iter di attuazione. Di fatto però, come ha ricordato anche Filomena Gallo, segretario dell’Associazione Luca Coscioni la sentenza era ed è immediatamente esecutiva, tanto che le eterologhe in Italia si fanno. Come? Ricorrendo ai gameti provenienti dall’estero o ai gameti che ogni centro può avere dai suoi donatori.
“Ma di fatto ad oggi siamo fermi” spiega Chelo: “Senza campagne che invitino le persone a donare, senza la possibilità a oggi di rimborsare le spese dei donatori, mancano i gameti necessari a rispondere alle grandi richieste che ci arrivano”.
Il (discusso) regolamento che dovrebbe appunto contenere le indicazioni in materia di donazioni di gameti già approvato dal Consiglio auperiore di sanità e dalla Conferenza Stato Regioni, sarebbe fermo a Palazzo Chigi. Questo a più di due anni dalla caduta del divieto di eterologa. Ma non solo: “Si ipotizza un livello altissimo di complessità per le analisi da compiere sui gameti destinati alla donazione”, aggiunge Guglielmino. L’idea, per entrambi, è quella di voler rendere un atto come la donazione estremamente complesso, dando finte garanzie di sicurezza, con l’unico risultato di scoraggiarla. Ma non solo: “Alcuni centri esteri, come quelli spagnoli, sono già sbarcati in Italia con i loro gameti, aggirando così i limiti imposti dalle nostre leggi”, aggiunge Chelo.
Oltre i gameti, la donazione degli embrioni
La questione degli embrioni congelati è particolarmente delicata, e non solo per il divieto di utilizzarli ai fini di ricerca, come ancora previsto dalla legge 40. Gli embrioni congelati – quanti siano a oggi non è chiaro, almeno 10mila quelli abbandonati o in stato di abbandono – potrebbero forse essere anche donati, azzarda Guglielmino: “in un paese in cui è accettata la doppia eterologa, ovvero la possibilità di procedere con tecniche di pma usufruendo della donazione sia di spermatozoi che di ovociti, perché non immaginare anche una donazione di embrioni?”.
La questione degli embrioni congelati è particolarmente delicata, e non solo per il divieto di utilizzarli ai fini di ricerca, come ancora previsto dalla legge 40. Gli embrioni congelati – quanti siano a oggi non è chiaro, almeno 10mila quelli abbandonati o in stato di abbandono – potrebbero forse essere anche donati, azzarda Guglielmino: “in un paese in cui è accettata la doppia eterologa, ovvero la possibilità di procedere con tecniche di pma usufruendo della donazione sia di spermatozoi che di ovociti, perché non immaginare anche una donazione di embrioni?”.
Il problema delle linee guida
Quelle vecchie furono condannate. Nel 2008, il Tar del Lazio riconosceva infatti nelle linee guida un testo che dovrebbe unicamente essere per definizione regolativo e funzionare da raccomandazioni per le attività del medico, un abuso di potere, sancendo il divieto della diagnosi genetica preimpianto non previsto dalla legge. Anche quelle nuove, a lungo attese, sono invece già in discussione: “Nel documento non si parla per esempio della diagnosi preimpianto per le coppie fertili”, spiega Guglielmino: “un’apertura che non è solo formale: qualcosa che manca nelle linee guida implica delle difficoltà per l’applicazione delle procedure nei centri. E spesso genera ignoranza, sebbene non giustificata, tanto che se qualcosa non c’è si crede che non possa essere fatto"
Quelle vecchie furono condannate. Nel 2008, il Tar del Lazio riconosceva infatti nelle linee guida un testo che dovrebbe unicamente essere per definizione regolativo e funzionare da raccomandazioni per le attività del medico, un abuso di potere, sancendo il divieto della diagnosi genetica preimpianto non previsto dalla legge. Anche quelle nuove, a lungo attese, sono invece già in discussione: “Nel documento non si parla per esempio della diagnosi preimpianto per le coppie fertili”, spiega Guglielmino: “un’apertura che non è solo formale: qualcosa che manca nelle linee guida implica delle difficoltà per l’applicazione delle procedure nei centri. E spesso genera ignoranza, sebbene non giustificata, tanto che se qualcosa non c’è si crede che non possa essere fatto"
Fonte http://www.wired.it/scienza/medicina/2016/05/20/fecondazione-assistita-problemi/
Nessun commento:
Posta un commento