I trent’anni storicamente sono l’età della ragione ma, purtroppo, sono anche l’età delle domande. Tra queste, per signore e signorine, se ne nasconde una particolarmente insidiosa. Il quesito è, all’apparenza, piuttosto semplice (ma sicuramente non innocuo) e inizia, sostanzialmente, con uno sguardo pensieroso, prosegue con una rapida occhiata alle mani (in cerca di fedi o diamanti) e si concretizza in un soffio “Quando lo fai un figlio?”. Panico.
D’altra parte lo sanno tutti che non esiste un’età ideale per diventare mamme perché le variabili da considerare sono tante e, soprattutto, sono varie e cambiano a seconda della storia personale. Volendo però trovare un dato scientifico in tutto questo complesso di emozioni e di sentimenti intimi ecco la ricerca che fa al caso nostro che arriva dall’Inghilterra, è stata pubblicata dall’autorevole Health and Social Behaviour Journal e – soprattutto – fornisce un dato preciso: l’età migliore per affrontare gravidanza, parto e pannolini è 34 anni.
le misure da adottare non variano e i controlli sono gli stessi che vengono consigliati alle primipare 20enni, con visite periodiche ogni 4-6 settimane e la scelta di sottoporsi, o meno, alle analisi prenatali e ai test di screening. Dunque ecco il suggerimento della scienza ma, in concreto, che cosa significa essere mamme a 30 anni? Per cercare di capirlo bisogna tenere separati due aspetti. Da un lato, infatti, esiste un quadro clinico che non è più quello dei vent’anni e che, per esempio, porta all’80% la probabilità di concepire in un anno di rapporti non protetti e alza di 15 punti percentuali il rischio di abortività precoce. Dati da tenere a mente ma che, in sostanza, non modificano troppo la situazione generale anche perché
Dall’altra parte, però, ci sono anche dei concreti vantaggi e il primo di tutti è la programmazione. Superato il periodo strettamente post-universitario, infatti, la donna trentenne generalmente può contare su alcuni punti fermi nelle relazioni sentimentali, nelle amicizie e soprattutto nella consapevolezza di quello che desidera davvero. A questo si aggiunge un’energia che non è (troppo) minore rispetto a quella del decennio precedente e anche, in generale, la possibilità di poter contare sulla collaborazione dei nonni (che, dati Istat alla mano, si occupano del 51,4% nel corso dei loro primi due anni di vita).
Insomma considerando vantaggi e svantaggi sembra davvero che gli studiosi inglesi abbiano ragione: sarà davvero così?
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