La ricerca del Weill Cornell Medical College di New York City sul dialogo eterologa con il bambino
Il ricorso alla tecnica della fecondazione assistita eterologa (ovvero con uso dei gameti esterni alla coppia per avere un figlio) è ancora visto come un argomento molto difficile e delicato: ne è la prova il fatto che i ricercatori hanno invitato 459 famiglie con bambini nati per mezzo della fecondazione eterologa a partecipare ad un seminario il cui scopo era quello di discutere su tempi e modalità con cui comunicare ai bambini in merito all’eterologa.
Di queste famiglie, solo 26 hanno scelto di partecipare all’evento: ciò significa che è ancora tanta la difficoltà di parlare della fecondazione eterologa e che molte coppie, pur scegliendo di accedere alla fecondazione assistita eterologa, non riescono a parlare con consapevolezza e con tranquillità di questo argomento. Soprattutto, credono che informare il bebè di essere nato con eterologa sia un argomento da rimandare il più possibile.
Il motivo di questa (consapevole o meno?) scelta? Senso di inadeguatezza, paura, vergogna di essere giudicati o che il bambino possa avere crisi di identità: le motivazioni sono le più svariate. Ma c’è anche un dato positivo, che fa ben sperare: delle famiglie che hanno partecipato, circa la metà avevano già parlato con i figli informandoli di essere nati proprio grazie a questa tecnica. Segno evidente che, forse, qualcosa sta cambiando e che probabilmente tra qualche anno saranno sempre di meno i genitori che rimandano il dialogo con i figli e sempre di più, invece, coloro che decidono di informare con consapevolezza i bambini sui metodi con cui sono stati concepiti.
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