Diversamente opera invece la crioconservazione degli ovociti, per la quale si procede pur sempre a una progressiva diminuzione della temperatura ove gli ovociti sono conservati. Altrimenti, è possibile procedere attraverso una vitrificazione, ossia attraverso un congelamento immediato del campione di ovociti, portati in meno di sessanta secondi a una temperatura di -196 gradi centigradi.
Altrimenti, è possibile procedere a crioconservazione del tessuto ovarico, la quale permette di garantire che la totale funzione ovarica sia conservata; essa, oltretutto, diversamente dalla crioconservazione degli ovociti, richiede tempistiche più rapide, né rende necessaria una preventiva stimolazione ovarica. È chiaro che la scelta tra questa o la precedente tecnica di crioconservazione dovrà essere attentamente valutata dal vostro medico curante nel singolo caso specifico, avuto riguardo alle esigenze proprie e alle caratteristiche mediche della donna.
È chiaro dunque che la tecnica della crioconservazione si rivela quanto mai opportuna in particolari ipotesi patologiche. L’attenzione verso la loro differenza e le loro specifiche dipende dalla analisi e dalla anamnesi che il medico opererà sulla donna. Va comunque considerato anche che la crioconservazione ha alcuni limiti: innanzitutto, un limite temporale pari a circa 5 anni. Ciò comporta che, trascorsi 5 anni, l’embrione già formato che dovesse essere impiantato nell’utero della donna avrà scarsissime possibilità di attecchimento.
Ciò dipende chiaramente dalle condizioni proprie degli embrioni e dei gameti, sicché pare opportuna una corretta e completa informazione da parte di chi volesse sottoporsi a tali tecniche: approfittate della conoscenza del vostro medico curante in materia, e cercate di chiarire tutti i dubbi che potreste avere sulle diverse tecniche di crioconservazione e, più in generale, su tutta la procedura di fecondazione assistita cui intendete sottoporvi.
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